A prima vista, le cose sulle quali si posa lo sguardo del poeta sono minute, quotidiane, semplici, come gli elementi naturali nei quadri degli impressionisti; ma questa attenzione per il dettaglio, ereditata da una formazione positivista, non ha la scopo di illustrare oggettivamente la realtà, per quanto essa sia nominata con estrema precisione. Per fare degli esempi, tra gli uccelli che incontriamo nei suoi versi ci sono rondini, pettirossi, capinere, cuculi, fringuelli, assiuoli, puffini, cinciallegre..., e tra i fiori e le piante troviamo mandorli, biancospini, viburni, meli, pioppi, gelsomini, digitali, acanti, tamerici...
Pascoli tende però a riferirsi alle cose non per come sono, ma per come le sente e le vede mediante un’«ottica rovesciata» (Bàrberi Squarotti) e visionaria che scruta al di là del fenomeno, alterando prospettive, rapporti e proporzioni. Dunque, se a prima vista può sembrare che gli elementi della natura siano rappresentati con realismo, essi tuttavia non vanno considerati in sé, bensì all’interno dei nessi emozionali che li legano alla dimensione interiore dell’io poetico. Dunque il poeta non ha interesse a perlustrare e registrare la varietà superficiale della natura: suo compito è invece quello di percepire «non so quali raggi X che illuminano a lui solo le parvenze velate e le essenze celate», leggendo il mondo come la foresta di simboli già immaginata da Baudelaire.