La vita
La giovinezza di un genio precoce
Galileo Galilei nasce a Pisa nel 1564 da Vincenzo, valente musicista e commerciante, e Giulia Ammannati, che molti biografi descrivono di carattere sanguigno e prepotente: da lei, si dice, il figlio avrebbe ereditato certi atteggiamenti polemici e talvolta scontrosi. Dopo l’infanzia vissuta a Firenze e i primi studi di musica, disegno e letteratura, viene iscritto all’Università (che a quel tempo si chiamava Studio) di Pisa, per conseguire la laurea in Medicina, ritenuta dal padre l’unica in grado di garantire un florido futuro economico.
Lo studente è però molto più attratto dalla fisica e dalla matematica, discipline per le quali rivela subito uno straordinario talento: nel 1583, per esempio, a partire dall’osservazione dei movimenti del lampadario nel duomo di Pisa, egli arriva a scoprire che le oscillazioni di piccola ampiezza del pendolo sono isocroniche, cioè hanno tutte la stessa durata. Cosciente della propria vocazione scientifica e intenzionato a seguirla fino in fondo, Galileo abbandona lo Studio pisano senza aver conseguito alcun titolo accademico e torna a Firenze, dove si dedica soprattutto alla geometria e alla matematica applicata.
il CARATTERE
Un temperamento sanguigno e determinato
Secondo il Racconto istorico della vita di Galileo, scritto nel 1654 da Vincenzo Viviani (1622-1703), che fu alunno e primo curatore dell’opera dello scienziato, questi era «di gioviale e giocondo aspetto», robusto, generoso e di temperamento sanguigno; amante dei piaceri della vita, intenditore e collezionista di buoni vini, si adirava con facilità e ben difficilmente era incline a scendere a compromessi.
Il piacere della competizione
Questo ritratto coincide, in effetti, con l’immagine che emerge dalle sue opere e dalla infinita galleria delle sue diatribe, in cui affiora sempre una grande vis polemica, venata spesso dall’ironia corrosiva nei confronti dei malcapitati antagonisti.Certamente a Galileo non mancava l’autostima, che lo portava a coltivare il piacere della competizione o, meglio, della contrapposizione. Si era o con lui o contro di lui: da una parte i pochi discepoli fedeli, dall’altra i molti nemici giurati, sui quali lo scienziato – in molte circostanze della sua vita maestro di tolleranza intellettuale – si accaniva con una spietatezza quasi crudele.
L’umorismo rivelatore
Galileo sapeva, del resto, di essere dotato dell’arma dell’arguzia.È sufficiente pensare a una delle sue prime provocazioni, che saranno destinate ad alimentare contro di lui malumori e inimicizie: il poemetto satirico Contro il portar la toga, che Galileo scrive nel corso della sua esperienza di insegnante all’Università di Pisa, è tutto teso a mettere in ridicolo i magniloquenti professori universitari, i quali nascondono la propria pochezza sotto la toga. Pur trattandosi di un testo giovanile e burlesco, costituisce un’eloquente testimonianza della personalità del suo autore, desideroso di smascherare le convenzioni e le false apparenze.
La drammatica lotta di uno spirito libero
Nel 1605 Galileo viene chiamato a far parte dell’Accademia della Crusca, e poco dopo la granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena, lo vuole come precettore del proprio figlio Cosimo, che più tardi diverrà granduca di Toscana e principale sostenitore dello scienziato.
L’anno successivo pubblica Le operazioni del compasso geometrico et militare, un manuale sulle applicazioni pratiche di uno strumento da lui inventato, il compasso proporzionale, che conosce subito un’enorme fortuna: «è stato talmente abbracciato dal mondo», scriverà qualche anno dopo, «che veramente adesso non si fanno altri strumenti di questo genere, e io so che sin ora ne sono stati fabbricati alcune migliaia» (Lettera a Belisario Vinta, 7 maggio 1610). L’improvvisa fama raggiunta espone però Galileo anche all’invidia di altri studiosi: poco dopo la pubblicazione del libro, l’autore è costretto a scrivere la Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra, per proteggersi dalle accuse di plagio rivoltegli da uno scienziato rivale.
L’opera viene dedicata a Cosimo II de’ Medici, il quale propone a Galileo di trasferirsi a Firenze, come «primario matematico e filosofo», senza obbligo d’insegnamento; lo scienziato accetta, sia per ritornare in patria, sia per potersi dedicare interamente alla ricerca.
Il Sidereus nuncius mette fortemente in discussione le teorie aristoteliche sulle quali si basa la cosmografia fondata da Tommaso d’Aquino (1225 o 1226 - 1274) e accettata dalla Chiesa del tempo; per questo l’autore si trova a dover difendere «con la lingua e con la penna» (Lettera a Paolo Sarpi, 12 febbraio 1611) le proprie scoperte dagli attacchi di studiosi e religiosi fautori della tradizionale visione del mondo aristotelico-tolemaica. Il primo testo cui Galileo affida questa coraggiosa battaglia scientifica e culturale è il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, del 1612, nel quale vengono confutate alcune teorie aristoteliche relative al galleggiamento dei corpi.
Anche dopo il processo lo scienziato continua però a confrontarsi con tematiche “pericolose”. Nel 1623 pubblica Il Saggiatore, con cui entra in polemica con il padre gesuita Orazio Grassi (1583-1654) il quale, usando argomentazioni aristoteliche, aveva contestato le posizioni di Galileo sulla natura delle comete, accusandolo inoltre di essersi immeritatamente attribuito l’invenzione del telescopio. L’elezione al soglio pontificio di Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, un cardinale che aveva in precedenza dato prova di un atteggiamento illuminato nei confronti dei nuovi studi scientifici, lo illude su un possibile nuovo corso ecclesiastico.
Le cose vanno però diversamente e Galileo deve attendere a lungo che la sua nuova opera, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, riceva l’imprimatur (letteralmente il “si stampi”, un atto formale con il quale le autorità ecclesiastiche concedevano il permesso di pubblicare un libro). Dopo pochi mesi lo stesso pontefice ordina di ritirare il volume dal mercato e di processare nuovamente l’autore, dimostratosi sordo agli inviti alla cautela ricevuti nei mesi precedenti da molte autorità della Chiesa.
Agli effetti della reclusione si aggiungono i primi sintomi della cecità. Nel 1637 scrive: «Mi trovo talmente impedito da una flussione [infiammazione] nell’occhio destro, che mi toglie con mio grandissimo dispiacere il poter né scrivere né leggere pur una sola parola» (Lettera a Lorenzo Realio, 5 giugno 1637).
Ormai anziano, reso quasi infermo dalle lunghe notti passate all’aperto per osservare il cielo stellato, isolato e lontano dalla comunità scientifica, Galileo trova comunque la forza di consegnare al mondo la sua ultima opera, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicata a Leida (in Olanda) nel 1638. Si spegne ad Arcetri nel 1642: le sue spoglie riposano a Firenze, nella basilica di Santa Croce.
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento