TEMI nel TEMPO - L’autobiografia

TEMI nel TEMPO

L’autobiografia

Letteralmente la parola “autobiografia” – utilizzata per la prima volta in Inghilterra all’inizio del XIX secolo – significa “scrittura della propria vita”. È un genere già diffuso nell’antichità, la cui fortuna dura ininterrotta fino ai giorni nostri. L’autore, che scrive generalmente in prima persona, è di solito un personaggio famoso che intende raccontare gli avvenimenti della propria esistenza; nella narrazione si alternano però eventi privati e pubblici, cosa che fa del testo un documento di interesse non solo letterario, ma spesso anche storico.

L’ordine di esposizione è solitamente cronologico, ma c’è chi sceglie un punto di partenza diverso, per poi introdurre flashback e prolessi.

L’autobiografia antica e medievale

Nonostante gli elementi ricorrenti, la storia della letteratura offre esempi di testi autobiografici completamente diversi, frutto del mutamento dei gusti del pubblico, delle mode letterarie, delle intenzioni degli scrittori, ma anche delle differenti concezioni e dei differenti gradi di conoscenza dell’io. L’autobiografia per eccellenza dell’età classica e cristiana è costituita dalle Confessioni (397-398) di Agostino d’Ippona, il cui titolo, già di per sé, mette in guardia il lettore: non si tratta di un semplice resoconto, ma di una vera e propria ammissione degli errori e dei peccati commessi dall’autore prima della conversione al cristianesimo.

Durante il Medioevo nascono nuove forme di autobiografia, dalle raccolte epistolari ai cosiddetti libri di famiglia e di ricordi, che assolvono anche a funzioni differenti, come la gestione dell’economia domestica o la volontà di consegnare insegnamenti alle generazioni future. Spesso la narrazione riflette l’animo, le caratteristiche culturali e la fisionomia morale di chi si descrive: Il Milione (1298 ca) di Marco Polo è avventuroso e pittoresco; la Vita nuova (1292-1293) di Dante è insieme intima ed esemplare; il Secretum (1353) di Petrarca è tutto rivolto alla redenzione interiore.

Dal Rinascimento all’Illuminismo

Un’autobiografia che testimonia appieno dello spirito rinascimentale è la Vita (1558-1566) del grande scultore e orafo Benvenuto Cellini. In quest’opera domina uno stile fresco, brioso, vivace, in cui si percepisce la spontaneità del racconto, finalizzata a istituire un patto di fiducia tra scrittore e lettore.

Un caso di autobiografia poco attendibile, perché mirata a costruire un’immagine del protagonista orientata anche in senso ideologico, sono i Mémoires (1787) di Carlo Goldoni, scritti quando l’autore si trova a Parigi, ormai da tempo lontano dall’Italia. Questo testo – per molti aspetti tipico del clima culturale dell’Illuminismo – è una rielaborazione di ricordi e osservazioni disseminati in vari diari e nelle prefazioni dello stesso Goldoni alle proprie commedie. Ogni evento e ogni omissione sono intenzionali, e in molti casi le dichiarazioni di sincerità non possono essere accolte acriticamente.

Particolarmente avventurosa è, sempre nel Settecento, la narrazione autobiografica condotta da Giacomo Casanova (1725-1798). Rinchiuso nei Piombi (il celebre carcere veneziano) con l’accusa di aver tentato di diffondere la massoneria, l’autore narra della propria rocambolesca evasione in un testo in francese (nel frattempo aveva infatti riparato Oltralpe) dal titolo Histoire de ma fuite (Storia della mia fuga, 1788). Ma la sua fama è legata soprattutto ai Mémoires (scritti anch’essi in francese e pubblicati postumi nel 1825), sostanzialmente veridici quanto alla rappresentazione della società settecentesca, ma un po’ monotoni per il ritratto che l’autore fa di sé stesso quale genio della seduzione.

Da Pellico a Pavese

Ricca di autobiografie è anche l’età romantica e risorgimentale, durante la quale hanno grande successo Le mie prigioni (1832) di Silvio Pellico, un resoconto scritto negli anni di prigionia trascorsi nella fortezza asburgica dello Spielberg, da cui emergono l’animo equilibrato e cristianamente pietoso dell’autore e il suo ideale di un’Italia unita ancora di là da venire.

Nel XX secolo, alla vasta produzione di autobiografie si sono aggiunte molte pubblicazioni di diari e di lettere. Tra queste, una delle più significative è Il mestiere di vivere (1952) di Cesare Pavese, pubblicato postumo, che si caratterizza per i pensieri brevi e le annotazioni incisive, scritte con uno stile asciutto e molto originale. Pavese tiene in considerazione i più noti autori di autobiografie (Agostino e Petrarca in primis), ma dà al suo testo un’impronta nuova, in cui dominano il monologo e il confronto con sé stesso.

Non solo scrittori

A darci narrazioni autobiografiche non sono, però, soltanto gli scrittori. Soprattutto nel Novecento diversi uomini politici hanno affidato alla pagina scritta il racconto della propria vita. Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), il Mahatma (ossia “la grande anima”), promotore dell’indipendenza dell’India dal controllo britannico (poi ottenuta nel 1947 attraverso il metodo della non-violenza), ha affidato a una serie di scritti autobiografici pubblicati tra il 1925 e il 1929 (tradotti e raccolti nel volume La mia vita per la libertà, 1973) la grandiosa lezione morale che la sua esperienza consegna alla Storia contemporanea.

Particolarmente intensa è anche la testimonianza di Nelson Mandela (1918-2013), leader sudafricano del movimento contro l’apartheid: nel volume Lungo cammino verso la libertà (1994) l’autore racconta la sua esperienza, dalle campagne del Transkei alle township di Johannesburg, dalla prima militanza politica ai ventisette anni di carcere, dal premio Nobel per la pace alla presidenza del Sudafrica.

Un genere che non tramonta

L’autobiografia è oggi più viva che mai, vista la potenza con cui i media e internet portano alla ribalta artisti e celebrità; essa non è più appannaggio esclusivo di intellettuali e uomini di Stato, ma è il mezzo espressivo scelto anche da musicisti, attori, personalità dello spettacolo e dello sport. Un esempio eloquente è costituito dal testo firmato dal celebre tennista americano Andre Agassi, alla cui stesura ha contribuito un importante scrittore, il premio Pulitzer J.R. Moehringer, che è riuscito a donare all’opera una pregevole qualità di scrittura. Open (2011) è stato un vero e proprio caso editoriale, sia per la fama del suo protagonista, sia perché capace di porre al centro della narrazione il dramma di un uomo che fin da bambino ha odiato profondamente il tennis, per il quale però ha rivelato un talento straordinario a cui ha finito per arrendersi.

Vola alta parola - volume 3
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento