T3 - Come si possa rimediare alla tirannide (Della tirannide)

T3

Come si possa rimediare alla tirannide

Della tirannide, libro II, cap. 7

Nel capitolo qui proposto, dal secondo libro del trattato, Alfieri analizza i due modi principali con cui un regime tirannico può essere abbattuto: l’uso della forza da parte di un uomo di «forte sentire» e la degenerazione del tiranno stesso, il quale, comportandosi in modo sempre più scellerato, finisce per esasperare gli animi fino alla rottura dell’equilibrio su cui si reggeva il suo potere. L’autore si scaglia anche contro il dispotismo illuminato e la tirannide moderata, sistemi di governo che all’epoca venivano invece esaltati da molti intellettuali illuministi. Per Alfieri, infatti, la tirannide non è meno pericolosa quando è moderata; lo è anzi di più, perché sottrae goccia a goccia il sangue ai sudditi, in forma subdola e corruttrice, invece di abbandonarsi agli eccessi e quindi rendersi palese. La tirannide, insomma, è un male in sé, sotto qualunque aspetto si presenti, perché toglie all’essere umano quello che ha di più prezioso: l’istinto della libertà e l’impulso a compiere azioni generose.

La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà

e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla. Ma, se nelle nostre

tirannidi l’universale non ha idea d’altro governo, come si può egli arrivare ad

infondere in tutti, o nei più, questo nuovo pensiero di libertà?Risponderò, piangendo,2

5      che mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha; e

che ne’ paesi dove la tirannide da molte generazioni ha preso radice, moltissime ve

ne vuole prima che la lenta opinion la disvelga.3

E già mi avveggo, che in grazia di questa fatal verità, mi perdonano i tiranni

europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare.Ma, per

10    moderare alquanto questa loro non meno stolta che inumanissima gioja, osserverò;

che ancorché non vi siano efficaci e pronti rimedj contro la tirannide, ve ne

sono molti tuttavia ed uno principalissimo, rapidissimo, ed infallibile, contra i

tiranni.5

Stanno i rimedj contro al tiranno in mano d’ogni qualunque più oscuro privato:6

15    ma i più efficaci e brevi e certirimedj contra la tirannide, stanno (chi ’l

crederebbe?) in mano dello stesso tiranno: e mi spiego. Un animo feroce e libero,8

allor quando è privatamente oltraggiato, o quando gli oltraggi fatti all’universale

vivissimamente il colpiscono, può da sé solo in un istante e con tutta certezza efficacemente

rimediare al tiranno, col ferro:e, se molti di questi animi allignassero

20    nelle tirannidi, ben presto anco la moltitudine stessa cangierebbe il pensiero,10

e si verrebbe così a rimediare ad un tempo stesso alla tirannide. Ma, siccome gli

animi di una tal tempra sono cosa rarissima, e principalmente in questi scellerati

governi;11 e siccome lo spegnere12 il solo tiranno null’altro opera per lo più, che

accrescere la tirannide;13 io sono costretto, fremendo, a scrivere qui una durissima

25    verità; ed è, che nella crudeltà stessa, nelle continue ingiustizie, nelle rapine, e nelle

atroci disonestà del tiranno, sta posto14 il più breve, il più efficace, il più certo

rimedio contra la tirannide. Quanto più reo e scellerato è il tiranno, quanto più

oltre spinge manifestamente l’abuso dell’abusiva sua illimitata autorità; tanto più

lascia egli luogo a sperare, che la moltitudine finalmente si risenta; e che ascolti ed

30    intenda e s’infiammi del vero; e ponga quindi solennemente fine per sempre a un

così feroce e sragionevol15 governo. È da considerarsi, che la moltitudine rarissimamente

si persuade della possibilità di quel male che ella stessa provato non abbia,

e lungamente provato:16 quindi gli uomini volgari la tirannide non reputano per

un mostruoso governo, finché uno o più successivi mostri imperanti non ne han

35    fatto loro funesta ed innegabile prova con mostruosi eccessi inauditi.

Se in verun conto mai17 un buon cittadino potesse divenire ministro d’un tiranno,

ed avesse fermato in sé stesso il sublime pensiero di sagrificare la propria

vita, e di più anche la propria fama, per sicuramente ed in breve tempo spegnere

la tirannide, costui non avrebbe altro migliore né più certo mezzo, che di consigliare

40    in tal modo il tiranno, di secondare e perfino talmente instigare la sua

tirannesca natura, che abbandonandosi egli ad ogni più atroce eccesso rendesse

ad un tempo del pari la sua persona e la sua autorità odiosissima e insopportabile

a tutti. E dico io espressamente queste tre parole; La sua persona, la sua autorità, e

a tutti; perché ogni eccesso privato del tiranno non nuocerebbe se non a lui stesso;

45    ma ogni pubblico eccesso, aggiuntosi ai privati, egualmente a furore movendo

l’universale e gl’individui, nuocerebbe ugualmente alla tirannide ed al tiranno; e

li potrebbe quindi ad un tempo stesso interamente entrambi distruggere.18 Questo

infame ed atrocissimo mezzo (che io primo il conosco per tale)19 indubitabilmente

pure sarebbe, come sempre lo è stato, il solo efficace e brevissimo mezzo ad

50    una impresa così importante e difficile. Inorridito ho nel dirlo; ma vie più20 inorridisco

in pensare quai siano questi governi, ne’ quali se un uomo buono operar

pur volesse colla maggior certezza e brevità il sommo bene di tutti, si troverebbe

costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame, ovvero a desistersi dall’altramente

ineseguibile impresa. Quindi è, che un tal uomo non si può mai ritrovare;

55    e che questo sopraccennato rapido effetto dell’abuso della tirannide non si può

aspettare se non per via di un ministro scellerato davvero. Ma questi, non volendo

perdere del proprio altro che la fama (che già per lo più mai non ebbe); e volendo

egli assolutamente conservare la usurpata autorità, le prede, e la vita; questi lascierà

bensì diventare il tiranno crudele e reo quanto è necessario per fare infelicissimi i

60    sudditi, ma non mai a quell’eccesso che si bisognerebbe per tutti destargli a furore

e a vendetta.21

Da ciò proviene, che in questo mansuetissimo secolo cotanto si è assottigliata22

l’arte del tiranneggiare, ed ella (come ho dimostrato nel primo libro) si appoggia

su tante e così ben velate e varie e saldissime basi, che non eccedendo i tiranni, o

65    rarissimamente eccedendo i modi coll’universale, e non gli eccedendo quasiché

mai co’ privati, se non sotto un qualche velo di apparente legalità, la tirannide si è

come assicurata in eterno.

Or ecco, ch’io già mi sento dintorno gridare: «Ma, essendo queste tirannidi

moderate e soffribili, perché con tanto calore ed astio svelarle e perseguirle?». Perché

70    non sempre le più crudeli ingiurie son quelle che offendono più crudelmente;

perché si debbono misurare i mali dalla loro grandezza e dai loro effetti, più che

dalla lor forza; perché, in somma, colui che ti cava ogni giorno poche oncie23 di

sangue ti uccide a lungo andare ugualmente che colui che ad un tratto ti svena, ma

ti fa stentare assai più. Tutte le facoltà dell’animo nostro intorpidite; tutti i diritti

75    dell’uomo menomati o ritolti;24 tutte le magnanime volontà impedite o deviate

dal vero; e mille e mille altre simili continue offese, che troppo lungo e pomposo

declamatore parrei, se qui ad una ad una annoverarle volessi; ove la vita vera

dell’uomo consista nell’anima e nell’intelletto, il vivere in tal modo tremando, non

è egli un continuo morire? E che rileva25 all’uomo, che nato si sente al pensare e

80    all’operare altamente, di conservare tremante la vita del corpo, gli averi, e l’altre

sue cose (e queste né anco sicure) per poi perdere, senza speranza di riacquistarli

giammai, tutti, assolutamente tutti, i più nobili e veri pregi dell’anima?

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La riflessione politica di Alfieri è radicale quanto utopica: egli aborre il dispotismo con tutto sé stesso, ma non approda alla proposta di un sistema politico alternativo; non ragiona sulle possibili vie che la politica potrebbe perseguire per costruire un sistema di governo nuovo né, tanto meno, è animato da uno spirito di riforma che possa correggere e migliorare lo stato presente delle cose. Walter Binni ha osservato in proposito che Alfieri non solo «si distacca dalle più comuni posizioni del riformismo illuministico, ma le combatte apertamente, distrugge l’ideale settecentesco del dispotismo illuminato e del “buon principe” […] preferendo le tirannidi estreme a quelle moderate».

Alfieri è infuocato da un’idea distruttiva, vagheggiata però in termini piuttosto astratti. Per abbattere la tirannide non si può fare affidamento sull’universale (r. 3), cioè sul popolo, sulla moltitudine, sempre dipinta come cieca, sorda e destinata a subire in eterno l’oppressione del potere; la speranza è semmai riposta nelle mani di pochi individui dotati di un animo feroce e libero (r. 16), capaci di eliminare fisicamente il tiranno. Ma si tratta di una soluzione illusoria: un nuovo tiranno, reso ancor più crudele dalla paura di perdere il potere e la vita, sostituirebbe il primo.

La vera soluzione sta allora nell’azione degli stessi tiranni che, divenendo irragionevoli e sfrenati nel loro esercizio del potere, possono portare il popolo all’esasperazione e alla rivolta. Per argomentare questi passaggi del suo pensiero, Alfieri presenta delle situazioni ipotetiche e paradossali: solo un buon cittadino (r. 36) che si facesse ministro di un tiranno potrebbe spingere costui all’eccesso; ma una tale figura di uomo buono (r. 51) non esiste, perché si troverebbe costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame (rr. 52-53); d’altra parte, un ministro scellerato davvero (r. 56) non spingerebbe il tiranno alla rovina, sapendo che la fine del despota sarebbe anche la sua. Questi paradossi sono funzionali al rigore dell’argomentazione, e mostrano come i punti di riferimento dell’analisi politica alfieriana siano il razionalismo classico e la spregiudicatezza di Machiavelli, mentre la sua sfiducia verso il popolo è indice di un pessimismo che ha le proprie radici culturali nel pensiero reazionario. Il risultato di questa concezione è l’individuazione della più grande minaccia nel dispotismo illuminato e nella tirannide moderata, ossia in quei governi, allora diffusi in Europa, che mascherano e attenuano le forme esteriori dell’autorità, assicurandosi, proprio in virtù di questa mancanza di gesti estremi, una lunga durata.

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Le scelte stilistiche

La scrittura trattatistica di Alfieri è carica di tensione, finalizzata com’è a persuadere e a scaldare l’animo dei lettori. In questo passo, come in altri brani della stessa opera, essa si sviluppa con un tono incalzante, accompagnata da un uso insistito del polisindeto (La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla, rr. 1-2) che conferisce al testo un ritmo sostenuto. Il procedere del discorso è quello tipico delle dimostrazioni: il ritmo rallenta quando l’autore vuole puntualizzare meglio le sue tesi; si trovano allora anche delucidazioni e domande retoriche, con un frequente uso dei due punti. Il lessico è di facile comprensione; qualche difficoltà nella lettura può invece essere generata dall’alto numero di inversioni e dalla preferenza per un ordine sintattico non lineare (mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha, r. 5). Quest’ultima caratteristica formale risponde da un lato alla ricerca di uno stile oratorio alto, che ha i suoi modelli nella prosa latina, dall’altro alla tendenza alla concisione e alla concentrazione espressiva tipica anche delle tragedie.

In alcuni passaggi è particolarmente evidente il coinvolgimento emotivo dell’autore: per esempio quando afferma che mi perdonano i tiranni europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare (rr. 8-9), cioè che rinunciano a perseguitarlo, avendo egli dimostrato la saldezza del loro potere; oppure quando dichiara di dire piangendo (rr. 4-5) la verità che ha compreso. Il tono neutro di un’esposizione che aspira a presentarsi come oggettiva è dunque abilmente variato da componenti maggiormente espressive, intese a ottenere l’adesione psicologica dei lettori.

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Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In che modo, secondo Alfieri, può essere abbattuto un regime tirannico?


2 Perché l’autore preferisce una tirannide estrema e violenta a una moderata?


3 Fai la parafrasi delle rr. 14-16.

Analizzare

4 Trova nel testo alcuni esempi di sintassi non lineare (anastrofi, iperbati, asimmetrie).


5 Evidenzia altri passaggi (oltre a quelli segnalati nell’analisi) in cui emerga il coinvolgimento emotivo dello scrittore.

interpretare

6 A quale secolo si riferisce l’espressione mansuetissimo secolo (r. 62)? E perché viene definito mansuetissimo?

Produrre

7 Scrivere per esporre. Tra i casi più recenti di tirannie rovesciate si possono annoverare gli eventi delle cosiddette “primavere arabe” del 2010 e 2011. Svolgi una ricerca sull’argomento e illustra il fenomeno, evidenziandone gli aspetti positivi ma anche le conseguenze negative, in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

8 Nel passo che hai letto, Alfieri giustifica l’uso della forza e della violenza quando lo scopo è l’abbattimento di un tiranno: sei d’accordo con lui o ritieni che bisognerebbe tentare prima altre strade? Discutine con i compagni.

3 Il rifiuto del proprio tempo

Dopo la conversione letteraria, la cifra esistenziale di Alfieri è la solitudine. L’isolamento in cui il poeta si chiude appare come una rivendicazione di unicità rispetto alla massa e al proprio tempo; la stessa scelta del genere tragico – di cui in Italia si deplorava a quel tempo la decadenza ma a cui nessuno aveva trovato il coraggio di accostarsi per recuperarne il prestigio – è una scelta programmatica di originalità e indipendenza, che rimarca l’eccezionalità dell’artista, incline a esprimersi con modalità personali e a cimentarsi in generi poco frequentati.

Questo sdegnoso isolamento deve però essere interpretato anche alla luce dei cambiamenti sociali in atto all’epoca. La ribellione di Alfieri nasce infatti, come si legge nell’incipit della Vita, dalla cappa soffocante rappresentata dalla provincia piemontese in cui egli è nato, circondato da un’aristocrazia incapace di rinnovarsi in un momento di profonde trasformazioni sociali, nell’ambito delle quali la borghesia va assumendo un ruolo sempre più preponderante sul piano economico e politico.

Dall’altra parte, Alfieri non riesce a farsi interprete delle spinte riformistiche che attraversano il secolo dei Lumi. Il suo rapporto con il pensiero illuministico emerge bene dai suoi trattati: esso rappresenta inizialmente una fonte di ispirazione, ma gli elementi razionali vengono presto superati da aspetti emotivi, esistenziali e psicologici che nulla hanno a che spartire con lo spirito empirico dei philosophes.

Assetato di alte imprese e dotato di superba e indomita volontà, Alfieri supera il razionalismo settecentesco per dedicarsi invece a una letteratura soggettiva, che pone al centro sentimenti, movimenti dell’animo, aspirazioni, desideri e frustrazioni dell’individuo. Se la sua ideologia politica si rivela antiquata, indecisa com’è tra ribellismo utopistico e posizioni conservatrici, gli aspetti esistenziali e psicologici costituiscono un elemento di novità della sua opera, dando voce alle tendenze preromantiche che si stanno imponendo alla fine del Settecento, e di cui il poeta avverte per primo, in Italia, la forza. Si spiega così la predilezione, nelle tragedie e nelle Rime, per l’individualismo e gli slanci titanici, che esaltano i gesti eclatanti dei protagonisti o dell’io poetico.

Questo nuovo spazio assegnato al mondo interiore dei personaggi ha reso Alfieri un vero e proprio precursore della sensibilità romantica. Non è un caso che proprio dai Romantici egli sarà amato, se non addirittura idolatrato, in un processo di mitizzazione che contribuirà a cristallizzare l’immagine del poeta come eroe ribelle.

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L’originalità di Alfieri non si riduce comunque all’anticipazione di alcune importanti istanze romantiche. Nelle tragedie, ma anche nei trattati e nelle Rime, sono molti i momenti in cui la brama di libertà diventa desiderio di affermazione di sé, frustrato però da leggi e vincoli che non consentono la realizzazione individuale. Sotto questo aspetto, la letteratura alfieriana intende riflettere una profonda impotenza e incapacità di vivere: in essa si trovano espresse, sia pur trasfigurate da un ego debordante, le problematiche psicologiche che legano l’essere umano alle proprie incertezze, facendolo sprofondare nella malinconia e in un destabilizzante senso di vuoto e di solitudine.

T4

Sublime specchio di veraci detti

Rime, 167

In questo sonetto del 1786 il poeta delinea un proprio autoritratto, in cui alla descrizione dell’aspetto fisico segue quella del carattere e della psicologia.


Metro Sonetto.
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Audiolettura

Sublime specchio di veraci detti,

mostrami in corpo e in anima qual sono:

capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;

4      lunga statura, e capo a terra prono;


sottil persona in su due stinchi schietti;

bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;

giusto naso, bel labro, e denti eletti;

8       pallido in volto, più che un re sul trono:


or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;

irato sempre, e non maligno mai;

11    la mente e il cor meco in perpetua lite:


per lo più mesto, e talor lieto assai,

or stimandomi Achille, ed or Tersite:

14    uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

 >> pagina 575 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In questo celebre sonetto, l’esaltazione della propria personalità esemplare si traduce nella convenzionale costruzione di un autoritratto ideale. Il componimento inaugura il fortunato genere della descrizione di sé, in cui si cimenteranno – per non fare che gli esempi più illustri – Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni, l’inglese George Byron e il francese François-René de Chateaubriand, indicando proprio questa lirica come modello.

Il testo è divisibile in due parti. Nelle quartine compare un lungo elenco di qualità fisiche che descrivono l’autore: Alfieri ha capelli rossi ormai diradati, è alto, tiene il capo abbassato in segno di meditazione o forse perché chino sui libri, è magro, di carnagione chiara, ha occhi azzurri e, nel complesso, ha un aspetto che definisce sano.

Il pallore del volto, paragonato a quello di un re sul trono, prepara la seconda parte, in cui si analizza il carattere. La costruzione della frase si basa qui (si vedano i vv. 9-10) sull’accostamento di aggettivi appartenenti allo stesso campo semantico ma di significato opposto. Il poeta delinea così la propria indole soggetta a repentini cambi di umore (proprio come quella degli eroi delle sue tragedie): a tratti brusco e a tratti mite, sempre adirato ma mai malvagio e, soprattutto, con una parte razionale e una emotiva (mente e cor, v. 11) in perenne contrasto. L’umore oscilla dalla tristezza alla gioia, dall’autoesaltazione (quando si sente un Achille indomito e trionfante) al disprezzo di sé (quando si paragona invece al vile Tersite, che nell’Iliade sobilla la massa contro i re ma finisce per essere ridicolizzato dall’esercito greco: un’identificazione, questa, che forse assillava l’autore, abituato a inveire contro monarchi e tiranni).

Alla luce di questa descrizione Alfieri propone, in chiusura, una sentenza che va oltre l’ambito autobiografico: egli sostiene che il giudizio definitivo sul carattere di un individuo si possa stabilire soltanto al momento della morte. L’affermazione di carattere generale trasporta così l’autorappresentazione di sé in una dimensione più ampia e assoluta.

Le scelte stilistiche

La solennità del testo è resa dalla presenza di molte figure retoriche. Dopo l’apostrofe del primo verso, segue un’enumerazione che occupa le due quartine e forma una compatta sequenza descrittiva, conclusa dall’efficace metafora del re sul trono (v. 8), un richiamo diretto al tema della tirannide ricorrente in tutta l’opera alfieriana. Nelle terzine domina invece l’antitesi degli aggettivi (duro e acerbo contro pieghevol e mite, v. 9; irato opposto a non maligno, v. 10; mesto contro lieto, v. 12, e così via), rimarcata dall’antonomasia di Achille e Tersite (v. 13).

 >> pagina 576 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Fai la parafrasi del sonetto.


2 Quale tipo di carattere emerge dalla lirica?


3 Quali colori prevalgono nella descrizione dell’aspetto fisico?

Analizzare

4 Ricava lo schema delle rime.


5 Quale figura retorica riconosci nell’espressione Sublime specchio (v. 1)? Individua un altro esempio della stessa figura retorica.


6 A quali campi semantici fa riferimento il lessico utilizzato?


7 In bianca pelle, occhi azzurri (v. 6) c’è una figura retorica. Quale?

  • a Chiasmo. 
  • b Climax
  • c Metafora. 
  • d Iperbato.

Interpretare

8 C’è corrispondenza tra la descrizione fisica e quella caratteriale? Motiva la tua risposta.


9 Perché la morte viene vista come una sorta di giudice?

Produrre

10 Scrivere per argomentare. Osserva a p. 461 il celebre ritratto di François- Xavier Fabre di Vittorio Alfieri. Rispetto al ritratto “a parole” fornito dal sonetto, quali somiglianze e differenze noti? Per quali motivi, secondo te? Scrivi al riguardo un testo espositivo-argomentativo di circa 20 righe.


11 Scrivere per descrivere. Sull’esempio della poesia, scrivi un tuo autoritratto di circa 15 righe in cui vi sia spazio sia per la descrizione fisica sia per quella del carattere e della psicologia.

I grandi temi di Alfieri

1 La visione tragica

• l’affinità di temperamento tra Alfieri e gli eroi tragici

 la semplificazione delle trame, funzionale alla concentrazione espressiva e all’analisi psicologica dei personaggi

 i conflitti esterni (libertà/tirannide) e quelli interiori dei protagonisti

2 La tensione antitirannica

• il rifiuto di ogni costrizione morale e politica

 la tirannide come figura astratta e come metafora dei limiti imposti alla libertà individuale

 l’esaltazione dell’uomo libero e dello scrittore eroe, che soli possono opporsi alla tirannide

3 Il rifiuto del proprio tempo

la sdegnosa solitudine di Alfieri

 la sostanziale estraneità allo spirito riformistico settecentesco

una letteratura dell’io che anticipa elementi della sensibilità preromantica e romantica

 la modernità di Alfieri: malessere esistenziale e incapacità di vivere del personaggio eroe

Vola alta parola - volume 3
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento