T6 - La vergine cuccia

T6

La vergine cuccia

Il Mezzogiorno, vv. 503-556

L’episodio della vergine cuccia (qui riprodotto secondo il testo dell’edizione del Mezzogiorno del 1765) è uno dei più noti del Giorno, e costituisce un esempio delle condizioni cui doveva sottostare la servitù nelle case dei nobili. Un servitore, la cui unica colpa consiste nell’aver reagito contro una cagnetta che l’ha morso, viene immediatamente licenziato, e la sua famiglia finisce in miseria. Lo sprezzo della sofferenza umana in nome di una malintesa sensibilità “animalista” mostra in maniera tragicomica le conseguenze della disuguaglianza tra individui di diverse classi sociali. Lo spunto per ricordare l’episodio è fornito alla dama dalla perorazione a favore degli animali da parte di un commensale vegetariano (riportata tra virgolette all’inizio del brano).


Metro Endecasillabi sciolti.

«Pera colui che prima osò la mano

armata alzar su l’innocente agnella,

505 e sul placido bue: né il truculento

cor gli piegàro i teneri belati

né i pietosi mugiti né le molli

lingue lambenti tortuosamente

la man che il loro fato, ahimè, stringea».

510 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto

al suo pietoso favellar dagli occhi

de la tua Dama dolce lagrimetta

pari a le stille tremule, brillanti

che a la nova stagion gemendo vanno

515 dai palmiti di Bacco entro commossi

al tiepido spirar de le prim’aure

fecondatrici. Or le sovviene il giorno,

ahi fero giorno! allor che la sua bella

vergine cuccia de le Grazie alunna,

520 giovenilmente vezzeggiando, il piede

villan del servo con l’eburneo dente

segnò di lieve nota: ed egli audace

con sacrilego piè lanciolla: e quella

tre volte rotolò; tre volte scosse

525 gli scompigliati peli, e da le molli

nari soffiò la polvere rodente.

Indi i gemiti alzando: aita aita

parea dicesse; e da le aurate volte

a lei l’impietosita Eco rispose:

530 e dagl’infimi chiostri i mesti servi

asceser tutti; e da le somme stanze

le damigelle pallide tremanti

precipitàro. Accorse ognuno; il volto

fu spruzzato d’essenze a la tua Dama;

535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore

l’agitavano ancor; fulminei sguardi

gettò sul servo, e con languida voce

chiamò tre volte la sua cuccia: e questa

al sen le corse; in suo tenor vendetta

540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti

vergine cuccia de le Grazie alunna.

L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo

udì la sua condanna. A lui non valse

merito quadrilustre; a lui non valse

545 zelo d’arcani uficj: in van per lui

fu pregato e promesso; ei nudo andonne

dell’assisa spogliato ond’era un giorno

venerabile al vulgo. In van novello

Signor sperò; ché le pietose dame

550 inorridìro, e del misfatto atroce

odiàr l’autore. Il misero si giacque

con la squallida prole, e con la nuda

consorte a lato su la via spargendo

al passeggiere inutile lamento:

555 e tu vergine cuccia, idol placato

da le vittime umane, isti superba.

 >> pagina 516 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

L’episodio trae spunto dalle parole di un commensale vegetariano (il vegetarianismo, presso le classi più elevate, esisteva già nel Settecento), che, deprecando l’abitudine di cibarsi di carne, augura la morte a chi a questo scopo uccide gli animali. La dama che il giovin signore accompagna in qualità di cavalier servente, sentendo tali parole, si commuove, e rievoca un episodio accadutole in passato. Per buona parte del brano (vv. 517-541) il poeta assume il suo punto di vista, e con un’immagine di gusto arcadico e classicistico – dall’effetto, ancora una volta, ironico –, paragona le lacrime della donna alle gocce di linfa che stillano sui tralci della vite a primavera (la similitudine è ispirata alle Georgiche di Virgilio, II, 330-335). All’ironia dell’immagine bucolica si aggiunge il sarcasmo rivolto all’assurda ipersensibilità della dama, tanto piena di attenzioni e di morbosa empatia verso la sua cagnetta quanto indifferente al destino dei suoi servi.

Questa mancanza di senso delle proporzioni – per cui si asseconda il (presunto) capriccio di una cagnetta al prezzo della rovina di un essere umano e della sua famiglia – è il segno inequivocabile, per Parini, della decadenza di una classe sociale che ha smarrito i valori più importanti (quelli cristiani o quelli genericamente umani propugnati dagli Illuministi).


1 Come viene descritta la vergine cuccia? Quale effetto vuole dare il poeta?


2 Quali meriti del servo non vengono considerati dalla dama?

 >> pagina 517 

Dal v. 542 il punto di vista torna a essere quello del poeta, che può così descrivere crudamente la disumanità con cui viene liquidato il servitore e le condizioni disperate in cui egli è gettato insieme alla sua famiglia. Questa parte della narrazione è condotta attraverso immagini ed espressioni forti, volte a suscitare la partecipazione emotiva del lettore (la squallida prole, v. 552; la nudità del servo e della moglie, vv. 546 e 552-553). L’ipocrisia e l’insensibilità della dama diventano così evidenti da apparire agghiaccianti, e a questo punto «si sente che il poeta non ha il tempo di sorridere, perché sente impegnata tutta la sua più vera realtà umana» (Bettalli).


3 Individua nel testo i termini che rendono più vivo il dramma della famiglia del servitore.


4 Con quali termini viene descritta la reazione delle altre dame alla notizia? Che tipo di procedimento retorico puoi individuare?

Le scelte stilistiche

Rispetto alla gran parte dell’opera, Parini abbandona qui, temporaneamente, l’attitudine all’osservazione e alla descrizione minuziosa, per svolgere invece una vera e propria narrazione di tenore tragicomico (la vicenda è comica per la reazione esagerata della dama, tragica per il destino di sofferenza cui è condannato il servo). Per denunciare l’arroganza – che sconfina nella spietatezza – delle classi dominanti, Parini non si esercita in un discorso teorico, ma sceglie la strada del racconto, come se volesse far parlare i fatti stessi.


5 Il testo può essere diviso in quattro sequenze: indica nella tabella i versi corrispondenti e dai a ciascuna un titolo.


I

vv.

 

II

vv.

 

III

vv.

 

IV

vv.

 

6 Da quale punto di vista vengono narrati i fatti?

Anche in questo caso la strategia retorica dominante è l’ironia. In tale chiave vanno lette l’umanizzazione e poi addirittura la divinizzazione della cagnetta: essa è de le Grazie alunna (vv. 519 e 541); ai suoi guaiti risponde la ninfa Eco, emotivamente partecipe del suo dramma (a lei l’impietosita Eco rispose, v. 529); come una divinità, infine, è placata soltanto da sacrifici umani (idol placato / da le vittime umane, vv. 555-556). Non a caso, il servo che ha osato mancarle di rispetto viene definito empio (v. 542) e il suo piede sacrilego (v. 523).

Ironica è anche la ripresa di moduli propri dell’epica classica in riferimento a una materia non certo eroica, ma anzi decisamente prosaica se non addirittura comica: il modulo deprecativo del v. 503 (Pera colui che), peraltro tipico della poesia pariniana (si trova per esempio al v. 25 della Salubrità dell’aria, T2, p. 485); l’esclamazione ai vv. 517-518, con la ripetizione dello stesso termine (Or le sovviene il giorno, / ahi fero giorno!); la formula omerica dell’iterazione del numerale al v. 524 (tre volte rotolò; tre volte scosse), simmetricamente richiamata, in relazione non più alla cagnetta ma alla dama che risponde al suo grido d’aiuto, al v. 538 (chiamò tre volte la sua cuccia); l’epiteto formulare de le Grazie alunna, al v. 519 e poi di nuovo al v. 541.

Ancora, nella perifrasi eufemistica – che rimanda all’ipocrita punto di vista della dama – con cui viene indicato il morso dato dalla vergine cuccia al servo (il piede / villan del servo con l’eburneo dente / segnò di lieve nota, vv. 520-522), si possono notare il valore nobilitante dell’aggettivo eburneo, oltre che del singolare per il plurale (dente anziché “denti”), e l’attenuazione aulica e di derivazione classica di lieve nota. Sarcastico, infine, è l’aggettivo pietose riferito alle dame al v. 549: la loro pietà, infatti, si esercita unicamente verso gli animali, tanto da esaurirsi prima di potersi indirizzare verso gli esseri umani.


7 Quali strategie retoriche usa il poeta per descrivere l’accorrere in soccorso della vergine cuccia (vv. 527-535)? Quale effetto producono?


8 A quale genere letterario rimandano le numerose ripetizioni e gli epiteti presenti nel testo?


9 Scrivere per argomentare. Animali ed esseri umani possono essere messi sullo stesso piano? Si possono attribuire loro gli stessi diritti? Sviluppa l’argomento in un testo argomentativo di circa 40 righe, facendo se possibile riferimento al dibattito attuale e a fatti realmente accaduti.

 >> pagina 518 

T7

Notti antiche e notti moderne

La Notte, vv. 1-54

È la parte iniziale dell’ultima sezione del Giorno: scende la notte, una notte assai diversa da quella degli avi, quando al calar del sole il mondo veniva sommerso nelle tenebre profonde, popolate di fantasmi. Ora anche le ore notturne sono illuminate dai bagliori artificiali che provengono dai palazzi aristocratici.


Metro Endecasillabi sciolti.

Né tu contenderai benigna Notte,

che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi

con gli estremi precetti entro al tuo regno.

Già di tenebre involta e di perigli,

5      sola squallida mesta alto sedevi

su la timida terra. Il debil raggio

de le stelle remote e de’ pianeti,

che nel silenzio camminando vanno,

rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo

10    a sentirli assai più. Terribil ombra

giganteggiando si vedea salire

su per le case e su per l’alte torri

di teschi antiqui seminate al piede.

E upupe e gufi e mostri avversi al sole

15    svolazzavan per essa; e con ferali

stridi portavan miserandi augurj.

E lievi dal terreno e smorte fiamme

sorgeano in tanto; e quelle smorte fiamme

di su di giù vagavano per l’aere

20    orribilmente tacito ed opaco;

e al sospettoso adultero, che lento

col cappel su le ciglia e tutto avvolto

entro al manto sen gìa con l’armi ascose,

colpìeno il core, e lo strignean d’affanno.

25    E fama è ancor che pallide fantasime

lungo le mura de i deserti tetti

spargean lungo acutissimo lamento,

cui di lontano per lo vasto buio

i cani rispondevano ululando.

30    Tal fusti o Notte allor che gl’inclit’avi,

onde pur sempre il mio garzon si vanta,

eran duri ed alpestri; e con l’occaso

cadean dopo lor cene al sonno in preda;

fin che l’aurora sbadigliante ancora

35    li richiamasse a vigilar su l’opre

de i per novo cammin guidati rivi

e su i campi nascenti; onde poi grandi

furo i nipoti e le cittadi e i regni.

Ma ecco Amore, ecco la madre Venere,

40    ecco del gioco, ecco del fasto i Genj,

che trionfanti per la notte scorrono,

per la notte, che sacra è al mio signore.

Tutto davanti a lor tutto s’irradia

di nova luce. Le inimiche tenebre

45    fuggono riversate; e l’ali spandono

sopra i covili, ove le fere e gli uomini

da la fatica condannati dormono.

Stupefatta la Notte intorno vedesi

riverberar più che dinanzi al sole

50    auree cornici, e di cristalli e spegli

pareti adorne, e vesti varie, e bianchi

omeri e braccia, e pupillette mobili,

e tabacchiere preziose, e fulgide

fibbie ed anella e mille cose e mille.

 >> pagina 520 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Nei primi tre versi il poeta invita la Notte, personificata, a permettergli di continuare ad ammaestrare il suo allievo, anche dopo che il suo dominio è subentrato a quello del giorno. Segue una rievocazione di un remoto Medioevo in cui la vita della città si spegneva al calare delle tenebre: la Notte sedeva come una regina al di sopra della terra (alto sedevi / su la timida terra, vv. 5-6), spandendo ovunque il buio, insieme alla paura e alla trepidazione; in quel tempo, anche gli antenati delle odierne casate aristocratiche si coricavano al tramonto, risvegliandosi all’alba per vigilare sulle loro proprietà.

Ma ciò riguarda il passato (Tal fusti o Notte, v. 30); ben diverse sono le notti aristocratiche del presente: piene di luci festose, interamente dedicate alla vita mondana, alle galanterie (Amore, Venere, v. 39), al gioco d’azzardo e al godimento della ricchezza (ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, v. 40). L’antico buio è cancellato dalle luci delle torce e dai mille riverberi dei monili e delle suppellettili preziose che adornano i nobili e i loro palazzi, tanto che la Notte stessa rimane stupefatta (v. 48) da tale luminosità artificiale.

Proprio come nei vv. 33-143 del Mattino ( T5, p. 509), anche qui si nota un esplicito contrasto fra la natura, a contatto della quale vivevano in origine gli stessi antenati duri ed alpestri (v. 32) del giovin signore (che da uomini sobri e accorti nell’amministrazione delle loro proprietà erano intenti a migliorare le coltivazioni e a farle fruttare), e l’artificiosa esistenza delle classi agiate. Il raccordo con l’inizio del poemetto è riscontrabile anche negli accenni al sonno pesante dei lavoratori stanchi, cui fa da contrasto la vivacità degli aristocratici, che, rimasti oziosi tutto il giorno, si dedicano ora febbrilmente ai piaceri notturni.

Le scelte stilistiche

L’esordio della Notte inaugura la sezione conclusiva del poemetto, in cui la critica ha visto, alternativamente, un affievolirsi dell’ispirazione poetica di Parini, oppure, al contrario, un nuovo e inedito afflato sperimentale. Di certo si tratta della parte più dissimile dal resto del Giorno, come si nota già in questo brano iniziale. Nella sequenza dei vv. 4-29, in particolare, la suggestiva descrizione delle tenebre medievali è costruita secondo il gusto “sepolcrale” che proprio alla fine del Settecento si diffonde in Europa come espressione della sensibilità preromantica (il poeta Giosuè Carducci parlerà, a proposito di questi versi, di «vero presentimento del Romanticismo»): in tale direzione vanno alcuni dettagli visivi, come la terribil ombra che giganteggiando si vedea salire (vv. 10-11), l’alte torri / di teschi antiqui seminate al piede (vv. 12-13), l’aere / orribilmente tacito ed opaco (vv. 19-20). Non manca il riferimento agli uccelli notturni, upupe e gufi e mostri avversi al sole (v. 14), che la tradizione reputava di malaugurio e che erano una presenza tipica della poesia sepolcrale, al pari delle pallide fantasime (v. 25), che emettono lugubri lamenti cui i cani rispondono ululando (vv. 27-29). Significativi al fine della resa complessiva di un’atmosfera inquietante e orrorifica sono anche alcune peculiarità foniche, come il fitto alternarsi delle u e delle o ai vv. 26-29 (lungo le mura de i deserti tetti / spargean lungo acutissimo lamento, / cui di lontano per lo vasto buio / i cani rispondevano ululando), che sembra riprodurre un’eco onomatopeica del lamento spettrale e dell’ululato dei cani.

Con questa parte cupa e tetra contrastano i vv. 39-54, nei quali si descrive con vivacità di immagini lo splendore delle feste dei ricchi, in cui tutto, compresa la luce, è artificiale.

 >> pagina 521 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Quali sensazioni generava, nei tempi antichi, la notte?


2 Qual è l’unica presenza umana nella descrizione della notte antica?


3 In che senso il poeta sembra qui apprezzare gli antenati del giovin signore?

Analizzare

4 Quali sono gli elementi orrorifici contenuti nel brano?


5 Elenca i termini presenti nel testo riferibili agli opposti campi semantici del buio e della luce. Tra questi ultimi distingui poi quelli inerenti alla luce naturale e quelli relativi alla luce artificiale.


Buio Luce naturale Luce artificiale
     
     
     
     


6 Al v. 26 deserti tetti è

  • a una sineddoche
  • b un’onomatopea.
  • c una metonimia.
  • d un’ipallage. 

Interpretare

7 Sulla base di quali elementi possiamo ritenere che ai vv. 4-29 il poeta, parlando genericamente di un passato remoto, alluda in realtà al Medioevo?


8 Che cosa ti sembra voler dimostrare l’autore attraverso la contrapposizione delle due scene della notte antica e di quella moderna?

COMPETENZE LINGUISTICHE

9 Individua nel testo i termini scritti con una grafia ormai antiquata.

Produrre

10 Scrivere per descrivere. Descrivi brevemente (in circa 20 righe) una notte urbana dei giorni nostri in contrapposizione con una notte rurale.


11 Scrivere per descrivere. Ispirandoti liberamente alla visione pariniana della notte mondana del Settecento, descrivi in circa 30 righe un ritrovo serale tipico dei tuoi coe­tanei (cinema, concerto, discoteca, festa in casa di amici, bar e simili); usa, a tua scelta, un tono serio o ironico.

Vola alta parola - volume 3
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento