Lo stile e la lingua
Dialoghi e monologhi
Nella sua modernità, la commedia riformata di Goldoni non abbandona del tutto uno dei capisaldi del teatro antico, ossia il rispetto delle unità di tempo, di luogo e di azione che Aristotele aveva individuato come caratteristiche del teatro antico. Nel Cinquecento, in seguito alla traduzione in latino della Poetica del filosofo greco, le cosiddette unità aristoteliche erano state assunte come un canone prescrittivo nella produzione drammatica (in particolare nella tragedia, sua massima espressione). Secondo tale canone, le opere teatrali dovevano mettere in scena vicende semplici, incentrate su pochi personaggi (unità d’azione), e svolgersi nell’arco di una sola giornata (unità di tempo) e in un unico luogo (unità di luogo), per conferire credibilità e verosimiglianza alla rappresentazione.
Goldoni si attiene a queste norme soltanto nella misura in cui esse risultino utili ai suoi scopi. Nella Bottega del caffè, le unità di luogo e di tempo sono salvaguardate: la vicenda si apre al mattino e si chiude alla sera, e si svolge sempre, come si è visto, nella piazzetta su cui si affaccia la caffetteria; non si può dire lo stesso per l’azione, che risulta invece estremamente frammentata e ruota attorno a più protagonisti, alcuni dei quali – in primo luogo Don Marzio – sono tali pur occupando la scena per una parte minore della commedia.
La varietà linguistica
Le scelte stilistiche adottate da Goldoni in questa commedia rientrano nella concezione di una lingua intesa come mezzo di comunicazione efficace ed esteso a un pubblico quanto più vasto possibile. Per questo motivo, l’idioma utilizzato dai diversi personaggi è sostanzialmente basato sul toscano, anche se l’ambientazione in una piazzetta veneziana comporta l’impiego di termini gergali e di espressioni proverbiali tipiche del luogo.
Il linguaggio, come di consueto in Goldoni, è uno dei mezzi più efficaci per connotare i caratteri. Molto studiata, per esempio, è la lingua di Ridolfo: di norma piana e limpida, presenta qualche elevazione nei discorsi moralmente più impegnati, giungendo ad apparire insolita per un semplice caffettiere. Il suo modo di esprimersi è talvolta sentenzioso e conciso («non istà bene che il padrone della bottega giuochi anche lui, perché se perde, si fa burlare, e se guadagna, fa sospettare»), ma in alcune battute lo stile si abbassa, per rendere meglio l’immediatezza delle reazioni istintive («Sempre giuoco; sempre moglie; sempre il diavolo, che se lo porti»).
Dalla lingua di Trappola scaturisce invece un effetto comico: egli mescola espressioni popolari e gergali («A quel cane frutta sempre bene; guadagna nelle carte, guadagna negli scrocchi, guadagna a far di balla coi baratori») e termini aulici che, usati impropriamente o senza consapevolezza, producono un risultato esilarante, facendo rivivere anche il gusto per l’equivoco proprio della commedia dell’arte («Eccolo che viene. Lupus est in fabula. […] Vuol dire: il lupo pesta la fava»). Il parlato di Don Marzio, che tenta di far pesare la propria presunta superiorità con termini tecnici o vocaboli latini, è invece ripetitivo, e rende la sua stolida ottusità.
I testi
Temi e motivi dei brani antologizzati
T6 |
Il lavoro e il denaro Atto I, scene I-II |
• l’ambiente vivo della piazza • il contrasto fra l’onestà di Ridolfo e il desiderio di guadagno facile di Pandolfo |
T7 |
La malalingua di Don Marzio Atto I, scene IV-VI |
• la forza di diffusione della maldicenza • il carattere parassitario della nobiltà |
T8 |
La dignità di una moglie caparbia Atto I, scena XX |
• il matrimonio borghese come questione economica più che come legame affettivo • la dignità femminile |
T9 |
La lezione morale di Ridolfo Atto II, scena II |
• la morale borghese di Ridolfo • le finalità pedagogiche e morali di Goldoni |
T10 |
La tragicomica resa dei conti Atto II, scene XXIII-XXVI |
• la mancanza di valori morali come origine del disordine sociale |
T11 |
L’esilio di Don Marzio Atto III, scene XXIV-ultima |
• l’incontro con Beatrice nove anni dopo • il prezzo da pagare in conseguenza dei propri vizi e delle proprie debolezze |
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento