La vita

La vita

Una giovinezza irrequieta 

Carlo Goldoni nasce a Venezia nel 1707, primogenito di una famiglia borghese; il nonno paterno è un notaio originario di Modena, città nella quale conserva interessi e qualche proprietà, il padre è un medico che svolge la professione compiendo anche frequenti viaggi.

Il piccolo Carlo dà prove di un’intelligenza precoce: a quattro anni sa già leggere e scrivere; a otto compone l’abbozzo di una commedia, suscitando l’orgoglio di parenti e precettori.

Dopo la primissima formazione a Venezia, Goldoni conclude gli studi umanistici e di retorica presso i gesuiti, a Perugia. Poiché il padre lo vuole medico, dal 1720 viene mandato a Rimini a studiare filosofia«la logica, che apre la carriera a tutte le scienze fisiche e speculative», scrive l’autore nei Mémoires, in riferimento al fatto che a quel tempo la carriera medica iniziava proprio con lo studio della filosofia –, mentre il resto della famiglia si stabilisce a Chioggia. Dopo un anno, però, Carlo fugge con una compagnia di commedianti e abbandona gli studi di medicina per iniziare quelli di giurisprudenza.

Dopo essere stato praticante presso lo zio Giampaolo Indric, procuratore a Venezia, ottiene un posto nel prestigioso collegio cattolico Ghislieri di Pavia. Qui conduce una vita libera e spregiudicata, e nel 1725 viene espulso dall’istituto per aver scritto una satira contro le ragazze di Pavia. Superata l’effimera intenzione di farsi frate cappuccino, fa pratica presso la cancelleria criminale di Chioggia e nel 1729 ottiene un impiego a Feltre come coadiutore del cancelliere criminale (un ufficiale dotato di poteri giudiziari).

La passione di una vita: il teatro 

Alla morte del padre, nel 1731, Goldoni si laurea in Giurisprudenza a Padova e inizia a esercitare la professione di avvocato, prima a Venezia, poi a Milano, a Crema e in diverse altre città dell’Italia settentrionale.

Nel 1733 conosce il genovese Giuseppe Imer, direttore di una compagnia che si esibisce in uno spettacolo teatrale cui egli assiste all’Arena di Verona; Imer, apprezzando molto una sua tragicommedia scritta nei mesi precedenti, Belisario, gli commissiona degli intermezzi, brevi composizioni comiche accompagnate da musica e rappresentate tra un atto e l’altro di tragedie e melodrammi. Goldoni inizia così a scrivere opere di carattere vario per il teatro e si procura immediati consensi da parte del pubblico e degli addetti ai lavori.

Seguendo Imer in diverse località d’Italia, Goldoni comincia a essere noto negli ambienti teatrali. Dopo varie avventure galanti e alcune travagliate esperienze amorose giunge a Genova, dove conosce e sposa Nicoletta Connio, figlia di un notaio del collegio cittadino: «Sposai», scriverà nell’autobiografia, «una giovane donna, saggia, onesta e affascinante, che mi risarcì di tutti i brutti tiri che mi avevano giocato le donne e mi riconciliò col gentil sesso».

Senza rinunciare all’attività forense e ricoprendo, senza compensi, la carica di console di Genova presso la Repubblica veneziana, tra il 1737 e il 1741 Goldoni dirige il teatro San Giovanni Crisostomo, a Venezia. In questo periodo può dedicarsi alla scrittura, dando inizio, con Momolo cortesan (1738) e, più tardi, con La donna di garbo (1743), a una radicale riforma della commedia. Nel 1745, però, dovendo far fronte a ingenti debiti dovuti a una truffa subita dal fratello, è costretto a trasferirsi a Pisa per esercitare a tempo pieno l’avvocatura.

In Toscana, grazie alle relazioni intessute dopo l’ingresso nella sezione locale dell’Accademia dell’Arcadia, si procura una buona clientela: «Lavoravo giorno e notte, avevo più cause di quante ne potessi sostenere», ricorda. Nonostante il gravoso impegno professionale, comunque, egli coglie l’occasione offertagli da Antonio Sacchi, famoso attore del tempo e celebrato interprete di Arlecchino, che lo esorta a comporre una commedia tagliata su misura su di lui: scrivendo di notte, nel 1745 Goldoni porta a termine Arlecchino servitore di due padroni, che riscuote grande successo al teatro San Samuele di Venezia.

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Nel 1747, a Livorno, avviene un incontro decisivo per la sua carriera: il capocomico Girolamo Medebach gli propone di tornare a Venezia per lavorare con lui. Goldoni accetta: lascia definitivamente l’avvocatura e firma con l’impresario un contratto di durata quadriennale, in cui si impegna a fornire otto commedie all’anno da mettere in scena al teatro Sant’Angelo. Tra il 1748 e il 1749 vengono rappresentate, tra le altre, La vedova scaltra (1748), La putta onorata (1748), La famiglia dell’antiquario (1749).

Non mancano momenti di crisi, dovuti ad alcuni insuccessi e alla concorrenza di altri autori, primo fra tutti Pietro Chiari (1712-1785), che è al servizio di un altro teatro veneziano, il San Samuele. Goldoni riesce tuttavia a mantenere il suo pubblico, nella stagione 1750-1751, annunciando la composizione di ben sedici nuove commedie, alcune delle quali costituiranno i più importanti frutti della sua arte: Il teatro comico, La bottega del caffè, I pettegolezzi delle donne.

Intanto, però, malgrado la soddisfazione degli spettatori, si incrinano i rapporti con Medebach, che non solo esclude Goldoni dai guadagni di questa produzione supplementare, ma si oppone anche alla pubblicazione delle commedie da parte dell’autore, ritenendosene il proprietario e autorizzandone la prima edizione a stampa presso l’editore veneziano Giuseppe Bettinelli, nel 1750.

Scaduto l’impegno con Medebach, nel 1753 Goldoni stipula un contratto con il nobile Antonio Vendramin, proprietario del teatro San Luca, impegnandosi anche in questo caso a scrivere otto commedie all’anno, a condizioni più favorevoli quanto a libertà d’azione e compensi, ma meno soddisfacenti per la qualità della compagnia. Per attirarsi i favori del pubblico, l’autore compone anche alcune commedie di ambientazione esotica, che rispondono a una moda del momento.

Le gratificazioni ottenute in vari teatri d’Italia sono periodicamente turbate dalla depressione che perseguita Goldoni da quando è ragazzo: «Per natura ero allegro, ma, fin dall’infanzia, andavo soggetto a certi vapori ipocondriaci e malinconici che offuscavano il mio spirito». Aver riunito nella propria casa la madre, il fratello vedovo e i nipoti non allevia le sue sofferenze: «I miei vapori mi attaccarono più violentemente del solito. La nuova famiglia che ospitavo in casa mia mi rendeva indispensabile più che mai la salute, e la paura di perderla accresceva il mio male. I miei attacchi erano fisici oltre che psicologici; a volte un’eccessiva esaltazione mi scaldava la mente, a volte l’apprensione mi disturbava l’equilibrio fisico; lo spirito è così strettamente legato al corpo che, senza la ragione, la quale è propria dell’anima immortale, noi non saremmo altro che macchine».

La sua opera continua comunque a essere apprezzata. Nel 1756 è insignito dal duca di Parma del titolo di marchese di Felino e gli vengono commissionate tre commedie, grazie alle quali ottiene anche una pensione annua. Più tardi, a Roma, viene accolto con molti onori presso la curia pontificia ed è ricevuto in udienza da papa Clemente XIII.

Nel 1756, mentre si accende la contesa con Carlo Gozzi (1720-1806), un altro tenace avversario della sua riforma e artefice di favole teatrali fantasiose in cui sopravvivono alcune caratteristiche della commedia dell’arte, Goldoni mette in scena a Venezia Il campiello, commedia in versi di ambientazione veneziana, cui seguono altri capolavori, come I rusteghi (1760) e Le baruffe chiozzotte (1762).

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Gli ultimi anni 

La notorietà di Goldoni supera anche le Alpi. Il primo attore della Comédie Italienne (il celebre teatro italiano operante sotto la protezione del re di Francia) lo invita a Parigi, dove è conosciuto e apprezzato, chiedendogli di rinnovare il repertorio della compagnia. Per l’autore si tratta di una scelta difficile, ma la necessità di assicurarsi un’adeguata collocazione professionale e una rendita su cui contare negli anni della vecchiaia – cose che a Venezia non gli vengono garantite – lo spinge a partire.

Nel 1762 Goldoni si trasferisce a Parigi con la moglie e il figlio del fratello. Qui, però, si trova a dover fronteggiare l’ostilità degli attori, inclini all’improvvisazione e impreparati alla recitazione di testi d’autore, e del pubblico francese, abituato a identificare il teatro comico italiano con le maschere fisse e i canovacci della commedia dell’arte: «I miei cari compatrioti non facevano che rappresentare commedie ormai logore, commedie all’improvviso [improvvisate] di un genere pessimo, quel genere che io avevo riformato in Italia. Ci penserò io, mi dicevo, ci penserò io a dare caratteri, sentimento, progressione, condotta, stile». In effetti, dopo i primi insuccessi, Goldoni ottiene ampi riconoscimenti, sia pure con una produzione lontana dalla sua vena più autentica. In conseguenza del prestigio acquisito, nel 1765 viene chiamato a Versailles in qualità di insegnante di italiano delle figlie di re Luigi XV, incarico ricoperto fino al 1770, quando, ormai cieco da un occhio, ottiene una pensione che gli garantisce una certa tranquillità economica.

Nel 1792, durante la Rivoluzione francese, l’Assemblea legislativa sopprime tutti gli emolumenti di corte ed egli perde la pensione di quattromila lire annue concessagli nel 1769. Goldoni avanza una supplica e la pensione gli viene restituita, ma la comunicazione è recapitata soltanto il 7 febbraio 1793. Troppo tardi: lo scrittore era morto il giorno prima.

il CARATTERE

  Un genio malinconico

Ci si può fare un’idea della personalità di Goldoni attraverso un’at­tenta lettura dei Mémoires, dell’epistolario e delle prefazioni alle commedie (le Memorie italiane), cercando, nella natura soggettiva di tali fonti, gli indizi di una realtà spesso mascherata dall’autore.

Le inquietudini di un borghese insoddisfatto

Goldoni eredita dal nonno e dal padre una certa svagatezza, la prodigalità, la passione per il tea­tro e la propensione ai frequenti spostamenti, dettati non solo dalla necessità di seguire le rappresentazioni degli spettacoli, ma anche da un’inquietudine interiore, che genera l’esigenza di cambiare spesso ambiente.

Al tempo stesso, egli sa assumersi responsabilità e impegni, dimostrandosi competente e abile nell’esercitare l’avvocatura e negli incarichi ricoperti in vari ambiti. Non gli mancano il senso pratico e la caparbietà tipicamente borghesi, con cui affronta le sfide dei teatri rivali; e nemmeno l’autoironia: nei Mémoires, per esempio, racconta di aver suscitato imbarazzo per essersi dimenticato di baciare la «sacra pantofola» al papa nel congedarsi dopo l’udienza.

Il genio turbato dalle ansie

Le vicende alterne che segnano la sua esistenza sono affrontate dallo scrittore con un profondo coinvolgimento emotivo, alla ricerca di un difficile equilibrio psicologico. Egli soffre di periodiche crisi di ipocondria, e anche gli amori sono spesso fonte di ansie e tribolazioni. In questa situazione, la moglie rappresenta un punto di riferimento sicuro per un uomo inappagato e in cerca di una serenità che non raggiungerà mai definitivamente.

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CRONACHE dal PASSATO

  Le invidie dell’ambiente teatrale

Il colpo basso di un acerrimo nemico


Quando vengono portate sulla scena, le commedie goldoniane suscitano puntualmente, oltre che lodi e apprezzamenti, anche un vespaio di polemiche, in gran parte dovute alle invidie di concorrenti e detrattori (che non ne oscurano comunque il successo). Durante il carnevale del 1749, in particolare, la rappresentazione della Vedova scaltra accende grandissimi entusiasmi, tanto da essere replicata trenta volte.

Un attacco ad personam

Nell’ottobre dello stesso anno compaiono a Venezia le locandine che annunciano l’allestimento, presso il teatro San Samuele, di una commedia intitolata La scuola delle vedove. Circola voce che si tratti di una parodia del fortunatissimo testo di Goldoni; recatosi alla prima con il volto coperto dalla maschera, come si usava allora, l’autore si rende subito conto che, più che una semplice parodia, quello che viene messo in scena è un vero e proprio attacco contro la sua persona. Il testo, infatti, è proprio quello della Vedova scaltra, ma in risposta alle battute originali, un coro di attori grida: «Sciocchezze, sciocchezze!», «Bestialità, bestialità!», e altri analoghi insulti.

La difesa di Goldoni

Rientrato a casa, Goldoni stende una lettera di denuncia contro la satira oltraggiosa cui ha assistito, sostenendo che essa offende la dignità della Repubblica veneziana e invocando il rispetto degli interessi della società civile. Anziché indirizzarla al governo, però, la fa stampare e distribuire in città, appellandosi così direttamente al pubblico, oltre che alle istituzioni. La strategia è indovinata: la rappresentazione della Scuola delle vedove è sospesa e viene introdotto l’obbligo di sottoporre all’esame censorio le opere destinate alla messa in scena. Nei Mémoires, raccontando l’episodio, Goldoni non fa il nome dell’autore della parodia oltraggiosa («non nominerò mai le persone che hanno cercato di farmi del male»), ma si tratta di un segreto di Pulcinella: tutti sanno che l’opera è stata una trovata, mal riuscita, del suo eterno rivale, Pietro Chiari.

Le opere

La produzione letteraria di Goldoni è vasta e variegata: le relazioni tra le singole opere, tra queste e le vicende biografiche dell’autore, tra la rappresentazione delle commedie e la loro pubblicazione in volume, presentano una tale quantità di spunti interpretativi da rendere inadeguata ogni schematizzazione. Per chiarezza didattica, oltre che per comprendere meglio il significato assunto dai testi nei vari momenti della sua storia personale, è comunque possibile distinguere una serie di fasi nella produzione dell’autore.

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Le prime opere e l’avvio della riforma

Dopo aver scritto, da ragazzo, sonetti e madrigali d’occasione, Goldoni compone le prime opere per il teatro cimentandosi nei generi allora più popolari: intermezzilibretti per melodrammatragedie lirichetragicommedie in versi come il Belisario (1733), che gli guadagna, come abbiamo visto, i favori dell’impresario Imer.

Già negli anni della collaborazione con Imer, Goldoni inizia la sua riforma della commedia, che attua gradualmente per abituare il pubblico e per verificarne i risultati. Superando la consuetudine della commedia dell’arte, basata su canovacci che definivano solo lo sviluppo generale dell’intreccio e lasciavano all’estro degli attori l’invenzione delle battute di dialogo, Goldoni scrive tutte le parti del copione e introduce la caratterizzazione dei personaggi, prima ridotti a tipologie fisse, sottraendo le maschere ai cliché della tradizione e rendendo più verosimili le figure che compaiono in scena. Momolo cortesan (1738), La donna di garbo (1743) e La vedova scaltra (1748) rappresentano i passaggi salienti di questo percorso.

In quegli stessi anni scrive diverse altre commedie – di cui citiamo solo due esempi – che pongono le basi del suo duraturo successo.

Arlecchino servitore di due padroni

L’opera, pubblicata nel 1745 e incentrata sulla figura di Arlecchino, valorizza l’attore che ne è protagonista (il celebre interprete Antonio Sacchi) e rivitalizza il tradizionale personaggio di Zanni, il servo furbo della commedia dell’arte. La vicenda racconta di come Arlecchino cerchi di trarre maggiori guadagni servendo, all’insaputa dell’uno e dell’altro, due diversi padroni, vittime anche di un inganno a sfondo sentimentale.

La putta onorata

Di ambientazione popolare, questa commedia del 1748 è ispirata alla quotidianità veneziana, resa dall’autore in modo realistico (i gondolieri veneziani, per esempio, parlano nel loro gergo e con espressioni dialettali spontanee dall’effetto esilarante). L’intreccio ruota attorno alla figura di Bettina, un’orfana onesta e virtuosa che, dopo una serie di complicazioni e di colpi di scena, riesce a sposare il suo amato Pasqualino.

La fase “eroica” della riforma

Dal 1750, la riforma goldoniana si realizza pienamente attraverso l’alternanza di lingua italiana e dialetto veneziano, la creazione di personaggi nuovi e il rinnovamento di quelli tradizionali, la riflessione sui valori morali e sui vizi, la rappresentazione delle relazioni sociali e delle mille sfaccettature della realtà. Della corposa produzione di questa fase, andata in scena al teatro Sant’Angelo di Venezia, citiamo qualche esempio significativo.

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Il teatro comico

L’opera, scritta nel 1750 e divisa in tre atti, è una sorta di esperimento metateatrale, di “tea­tro nel teatro” in cui l’autore propone una riflessione sulla commedia attraverso la commedia stessa. Utilizzando lo strumento della drammatizzazione, egli esplicita la sua poetica e manifesta al pubblico le motivazioni e i contenuti della riforma: la vicenda è infatti ambientata in un teatro, durante le prove di una commedia dello stesso Goldoni, e i dialoghi tra i personaggi fanno riferimento all’attività teatrale e alle scelte dell’autore.

La bottega del caffè

Goldoni offre uno spaccato della vita veneziana ambientando quest’opera in una piccola piazza della città. Qui, attorno a un caffè, si incontrano individui appartenenti a tutti i ceti sociali. Di questa commedia, scritta nel 1750, tratteremo nella seconda parte dell’Unità ( p. 422).

I pettegolezzi delle donne
Scritta anch’essa nel 1750 e divisa in tre atti, questa commedia corale è ambientata in una realtà popolare. Gli eventi che ne costituiscono l’intreccio sono originati da un pettegolezzo, a causa del quale Cecchina rischia di non poter concludere il matrimonio con il promesso sposo. Alla fine, però, la verità mette a tacere le malelingue, e le nozze possono essere celebrate
La locandiera
Commedia in tre atti scritta nel 1752, è ambientata a Firenze, fatto che garantisce a Goldoni una certa libertà nel mettere in ridicolo alcuni personaggi della nobiltà veneziana, che avrebbero potuto facilmente riconoscersi se la vicenda fosse stata collocata in laguna. La scelta del luogo mostra inoltre la volontà dell’autore di rivolgersi a un pubblico più vasto di quello della sua città.

La protagonista, Mirandolina, è una donna intelligente e indipendente, abituata a tenere i conti della locanda di famiglia da quando, dopo la morte del padre, gestisce da sola l’attività. Bella e consapevole del proprio fascino, conquista i cuori del facoltoso (ma di recente e acquisita nobiltà) Conte d’Albafiorita e del nobile ma spiantato Marchese di Forlipopoli, i quali la vorrebbero come amante. Mirandolina non cede alle lusinghe dei due nobili, approfittando però dei loro servigi per fare gli interessi della locanda. Un giorno giunge un nuovo ospite, il Cavaliere di Ripafratta, che si dichiara misogino e si comporta in modo burbero con Mirandolina. La donna, punta nell’orgoglio, decide di fare innamorare di sé il Cavaliere, ci riesce, ma alla fine sposa il cameriere Fabrizio, collaboratore capace e fedele, individuando in lui un marito che mai limiterà la sua libertà di donna saggia e scaltra, padrona del suo destino.

La locanda è frequentata da personaggi di tutte le classi socialinobili come il Marchese di Forlipopoli, il Conte d’Albafiorita e il Cavaliere di Ripafratta, messi in ridicolo nella loro presunzione di superiorità sociale; borghesi come Mirandolina, laboriosa e attenta al guadagno fino al cinismo; popolani lavoratori e leali come Fabrizio, desideroso di cogliere l’occasione per una scalata sociale. I personaggi sono resi vivi e verosimili attraverso i brevi e vivaci dialoghi e i monologhi, che ne mettono in luce i caratteri nella concretezza delle situazioni.

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La produzione per il teatro San Luca

La stagione teatrale 1753-1754 segna il passaggio di Goldoni dal teatro Sant’Angelo al San Luca. L’autore deve fare i conti con la nuova compagnia, non avvezza al suo modo di concepire la commedia, e con le polemiche suscitate dai rivali. Non sorprende quindi che il percorso di Goldoni verso l’emancipazione dal repertorio convenzionale non sia lineare. Egli si trova costretto ad andare incontro ai gusti del pubblico – che si è formato con la commedia dell’arte e viene costantemente ammaliato dai canovacci comici o sentimentali di altri autori – scrivendo tragicommedie di ambientazione esotica, come La sposa persiana (1753) e La peruviana (1754), o antica, come Terenzio

Questo non significa che Goldoni rinunci a proseguire nella direzione della commedia riformata. Tra le opere prodotte e rappresentate tra il 1753 e il 1762, infatti, ci sono diversi capolavori in cui l’autore esprime una nuova visione della società maturata in quegli anni. La borghesia mercantile, inizialmente vista come ceto dinamico e aperto e considerata un modello economico e morale, viene sempre più giudicata una classe moralmente corrotta e avida. Sceglie quindi di ambientare le commedie in un contesto popolare, dove la partecipazione corale alle vicende, la spontaneità nei comportamenti e la naturale semplicità dei personaggi suggeriscono come il popolo sia l’unico ceto sociale ancora capace di incarnare valori positivi e di manifestare i sentimenti in modo autentico.
Il campiello

Il titolo di questa commedia in versi, scritta nel 1756 in dialetto veneziano, allude alla vera protagonista dell’opera: una delle tante piazze che si aprono tra i canali della città lagunare, circondata, come scrive l’autore, «da casucce abitate da gente del basso popolo» e in cui «si gioca, si balla, si fa chiasso». La dimensione corale è qui prevalente, e le vicende, ambientate durante un giorno del Carnevale, ruotano attorno a pettegolezzi, intrighi e gelosie, in uno scambio vivacissimo di battute e in un proliferare di equivoci.

La casa nova e la Trilogia della villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura)

In queste commedie scritte tra il 1760 e il 1761 Goldoni mette alla berlina la tendenza della borghesia a sperperare denaro per l’inutile esibizione del lusso (come l’acquisto di case sfarzose o la moda dei viaggi). Tali costumi esprimono la frivolezza e la sciocca mondanità degli ambienti borghesi, in cui l’eccessivo peso dato all’apparire innesca rivalità e invidie, e sono lo specchio di un universo corrotto, che ha rinunciato a esprimere una concezione sobria e moralmente responsabile della vita e dei rapporti sociali.

I rusteghi e Sior Todero brontolon
In queste due opere, scritte in dialetto veneziano rispettivamente nel 1760 e 1762, gli anziani padri rappresentano una borghesia chiusa in modo ottusamente tradizionalista al rinnovamento, avara e sorda al desiderio di autonomia delle nuove generazioni. I genitori, infatti, combinano le nozze dei giovani in base ai propri interessi e senza tener conto delle loro esigenze, ma alla fine, dopo alcuni momenti di tensione, l’amore ha la meglio grazie all’intervento delle donne di casa, più aperte e sensibili.

 >> pagina 382

Le baruffe chiozzotte

Goldoni scrive questa commedia nel 1762, nel dialetto di Chioggia, città in cui ambienta alcune liti – il titolo significa letteralmente “I litigi di Chioggia” – all’interno di una comunità di pescatori, ritratti con simpatia e bonaria ironia. Mentre gli uomini sono in mare, piccoli malintesi fanno nascere tra le loro donne gelosie e sospetti che, deformati dal pettegolezzo e dall’ingenuità, scatenano zuffe e scontri al ritorno dei mariti. L’ordine viene ristabilito dal cancelliere criminale, che pacifica gli animi e dirime tutte le questioni.

L’ultima fase: fra teatro e prosa autobiografica

Giunto a Parigi, Goldoni scopre che le sue commedie più apprezzate dal pubblico francese sono quelle che appagano maggiormente il desiderio di intrattenimento leggero e di divertimento disimpegnato. Egli si adatta pertanto a scrivere canovacci che sfruttano situazioni e intrecci collaudati; fanno eccezione le commedie riformate Le Bour­ru bienfaisant (1771) e L’Avare fastueux (1776), riscritte poi in italiano con i titoli di Il burbero benefico e L’avaro fastoso.

I Mémoires

In questi anni, Goldoni si dedica anche alla prosa autobiografica. Tra il 1783 e il 1787 scrive in francese i Mémoires, rielaborando anche le cosiddette Memorie italiane, cioè le prefazioni alle edizioni a stampa delle sue opere, in cui raccontava le occasioni della loro stesura e spiegava, talora difendendole, le proprie scelte.

L’opera è divisa in 3 parti. Nella prima prevale la narrazione: Goldoni dà largo spazio alle vicende della giovinezza, al delinearsi della vocazione teatrale e alla realizzazione della sua riforma, illustrando come quest’ultima si avvii e si compia attraverso le varie opere. Nella seconda si sofferma in modo più particolareggiato sulle sue opere, riassumendo le trame, commentando i personaggi e offrendo chiavi interpretative. Nella terza, infine, descrive gli anni trascorsi in Francia.


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Come tutte le autobiografie, anche questa non è priva di deformazioni e omissioni: all’autore sta a cuore in primo luogo guardare alla propria vita attraverso una visione d’insieme distaccata e ormai matura, che tende a fornire un’idea “costruita” – e perciò non obiettiva – della sua esperienza. Insistente, per esempio, è la volontà di presentare sé stesso come persona equilibrata e serena, e la propria attività teatrale come destino cui era predestinato, in un certo senso, fin dalla nascita.

La vita

 

Le opere

•  Nasce a Venezia

1707

 

• Studia giurisprudenza in diverse università dell’Italia settentrionale

1721-1731

 

•  Muore il padre e Goldoni rientra a Venezia

• Si laurea in Giurisprudenza a Padova

1731

 

•  Conosce Giuseppe Imer, che gli commissiona lavori teatrali

1733

Belisario

• Dirige il teatro San Giovanni Crisostomo a Venezia

1737-1741

 
  1738 Momolo cortesan 
  1743 La donna di garbo
  1745 Arlecchino servitore di due padroni

Inizia l’attività presso il teatro Sant’Angelo con la compagnia di Girolamo Medebach

1747

La vedova scaltra

  1748 La putta onorata
  1750 La bottega del caffè
  1752

Il teatro comico

I pettegolezzi delle donne

La locandiera

Inizia l’attività presso il teatro San Luca di Antonio Vendramin

1753-1754

 
  1756 Il campiello
  1760 I rusteghi
La casa nova
  1760-1761 Trilogia della villeggiatura

• Si trasferisce a Parigi per scrivere per la Comédie Italienne

1762

Sior Todero brontolon

Le baruffe chiozzotte

 Viene chiamato a Versailles come precettore delle figlie di Luigi XV

1765

 
  1787 Mémoires

• Muore a Parigi

1793

 

Vola alta parola - volume 3
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento