L’hidalgo Cervantes
Soldato, schiavo, fuggiasco, esattore delle tasse, poeta, scrittore. La romanzesca e tribolata vita di Miguel de Cervantes incarna uno dei tratti essenziali della sua epoca: la stretta relazione che passa tra esperienza personale e letteratura. Il suo immortale e folle cavaliere intraprende una straordinaria avventura appunto perché confonde la realtà con le storie narrate nei libri che ama.
Il conflitto con la realtà
Don Chisciotte vive un conflitto aperto con la vita reale, come conflittuale è il rapporto del suo autore con quella che lo circonda, spesso causa di frustrazioni. Inoltre, la dolente umanità dell’hidalgo della Mancia, involontariamente comico nella sua rettitudine, riflette quella del suo creatore, affinatasi in mezzo al popolino che incontra tra i compagni d’armi, nelle celle delle carceri, nei vicoli sivigliani, lungo le polverose strade della Spagna del Siglo de oro.
Un primo elemento del carattere di Cervantes, che si può ricavare dalla lettura delle sue opere, è dunque l’empatia verso i più svariati comportamenti umani, con il loro corredo di miserie e nobiltà.
Un autoritratto impietoso
Alla propria vita, però, non attinge solo come a una fonte d’ispirazione per la creazione di personaggi fittizi. In costanti difficoltà economiche e senza patrocinatori che ne divulghino il mito, Cervantes lascia concreta traccia di sé nelle pagine che scrive. Come nel prologo delle Novelle esemplari, in cui offre una dettagliata descrizione della propria figura: «Colui che qui vedete, con profilo aquilino, capelli castani, fronte liscia e spaziosa, occhi vivaci e naso adunco, quantunque ben proporzionato, barba d’argento, che non son vent’anni che tuttavia era d’oro; grandi baffi, bocca piccola, denti né minuti né grossi, seppur non ne ha altro che sei e anche questi malridotti e peggio combinati, infatti non hanno corrispondenza gli uni con gli altri; il corpo a mezza strada tra il piccolo e il grande, il colorito vivace, più bianco che bruno, un po’ curvo di spalle e non tanto leggero sui piedi; questo, vi dico, è l’aspetto dell’autore della Galatea e del Don Chisciotte della Mancia […]. Per molti anni fu soldato, e prigioniero per cinque e mezzo, onde apprese ad avere pazienza nelle avversità. Nella battaglia navale di Lepanto perdette la mano sinistra per un’archibugiata, ferita che, per quanto brutta alla vista, egli tiene per bella, poiché la ricevette nella più memorabile e alta occasione che abbian mai veduto i secoli passati…».
Realistico ritratto di un uomo piegato dal tempo, amareggiato per l’uso improprio che si fa delle sue opere e rassegnato davanti alla sfortuna, eppure autentico hidalgo spagnolo, orgoglioso della propria storia.