T12 - Federigo degli Alberighi

T12

Federigo degli Alberighi

Decameron, V, 9

Siamo ancora nella quinta giornata, dedicata agli amori felici: Fiammetta racconta questa novella il cui protagonista riuscirà a conquistare la donna amata, e a lungo inutilmente corteggiata, grazie a quelle virtù cavalleresche che Boccaccio addita all’emergente borghesia mercantile.

Federigo degli Alberighi ama e non è amato, e in cortesia spendendo si consuma e rimangli
         un sol falcone, il quale, non avendo altro, dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa;
         la qual, ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fallo ricco.


[…]

         Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi,1 il quale fu nella nostra 

5      città, e forse ancora è, uomo di grande e di reverenda auttorità ne’ dì nostri, e
per costumi e per vertù molto più che per nobiltà di sangue chiarissimo2 e degno
d’eterna fama, essendo già d’anni pieno,3 spesse volte delle cose passate co’ suoi
vicini e con altri si dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine
e con maggior memoria e ornato parlare che altro uom seppe fare. Era usato4 di 

10    dire, tra l’altre sue belle cose, che in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo di
messer Filippo Alberighi,5 in opera d’arme e in cortesia pregiato6 sopra ogni altro
donzel7 di Toscana. Il quale, sì come il più de’ gentili uomini avviene,8 d’una gentil
donna chiamata monna Giovanna s’innamorò, ne’ suoi tempi tenuta delle9 più 
belle donne e delle più leggiadre che in Firenze fossero; e acciò che egli l’amor di 

15    lei acquistar10 potesse, giostrava, armeggiava,11 faceva feste e donava, e il suo senza
alcun ritegno spendeva; ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose
per lei fatte né di colui si curava che le faceva.

         Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando,12
sì come di leggiere adiviene,13 le ricchezze mancarono e esso rimase povero, 

20    senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa,14 delle rendite
del quale strettissimamente15 vivea e oltre a questo un suo falcone de’ miglior del
mondo. Per che, amando più che mai né parendogli più potere essere cittadino
come disiderava,16 a Campi,17 là dove il suo poderetto era, se n’andò a stare. Quivi,
quando poteva uccellando18 e senza alcuna persona richiedere,19 pazientemente la 

25    sua povertà comportava.20

         Ora avvenne un dì che, essendo così Federigo divenuto allo stremo, che il marito
di monna Giovanna infermò, e veggendosi alla morte venire fece testamento;

         e essendo ricchissimo, in quello lasciò suo erede un suo figliuolo già grandicello
e appresso questo, avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il 

30    figliuolo senza erede legittimo morisse, suo erede substituì,21 e morissi.22

         Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza è delle nostre donne,
l’anno di state23 con questo suo figliuolo se n’andava in contado a una sua possessione
assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello24
s’incominciò a dimesticare25 con Federigo e a dilettarsi d’uccelli e di cani; e avendo 

35    veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente26 piacendogli, forte
disiderava d’averlo ma pure non s’attentava27 di domandarlo, veggendolo a lui esser
cotanto caro. E così stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermò; di che
la madre dolorosa molto, come colei che più no’ n’avea28 e lui amava quanto più si
poteva, tutto il dì standogli dintorno non restava29 di confortarlo e spesse volte il30 

40    domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele31 dicesse,
ché per certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come l’avesse.32
Il giovanetto, udite molte volte queste proferte,33 disse: «Madre mia, se voi fate
che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire».
La donna, udendo questo, alquanto sopra sé stette34 e cominciò a pensar quello 

45    che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente l’aveva amata, né mai da lei
una sola guatatura
35 aveva avuta, per che ella diceva: «Come manderò36 io o andrò
a domandargli questo falcone, che è, per quel che io oda, il migliore che mai volasse
e oltre a ciò il mantien nel mondo?
37 E come sarò io sì sconoscente,38 che a un
gentile uomo al quale niuno altro diletto è più rimaso, io questo gli voglia torre?».
39 

50    E in così fatto pensiero impacciata, come che40 ella fosse certissima d’averlo se ’l
domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si stava.
41
Ultimamente42 tanto la vinse l’amor del figliulo,43 che ella seco dispose,44 per contentarlo,
che che esser ne dovesse,
45 di non mandare ma d’andare ella medesima
per esso e di recargliele,
46 e risposegli: «Figliuol mio, confortati e pensa di 

55    guerire di forza,47 ché io ti prometto che la prima cosa che io farò domattina, io
andrò per esso e sì il ti recherò».
48 Di che il fanciullo lieto il dì medesimo mostrò
alcun miglioramento.

         La donna la mattina seguente, presa un’altra donna in compagnia, per modo
di diporto49 se n’andò alla piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare.50 Egli, 

60    per ciò che non era tempo, né era stato a quei dì, d’uccellare, era in un suo orto e
faceva certi suoi lavorietti acconciare;51 il quale, udendo che monna Giovanna il
domandava alla porta, maravigliandosi forte, lieto là corse.
La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza52 levataglisi incontro,
avendola già Federigo reverentemente salutata, disse: «Bene stea Federigo!»
53

65    seguitò: «Io son venuta a ristorarti54 de’ danni li quali tu hai già avuti per me amandomi
più che stato non ti sarebbe bisogno:
55 e il ristoro è cotale,56 che io intendo
con questa mia compagna insieme desinar teco dimesticamente
57 stamane».
Alla qual Federigo umilmente rispose: «Madonna, niun danno mi ricorda mai
avere ricevuto per voi
58 ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo 

70    vostro valore e per l’amore che portato v’ho adivenne.59 E per certo questa vostra
liberale
60 venuta m’è troppo più cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da
spendere quanto per adietro ho già speso, come che a povero oste siate venuto»;
61
e così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette e di
62 quella nel suo
giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tener compagnia a altrui,
63 

75    disse: «Madonna, poi che altri non c’è, questa buona donna moglie di questo lavoratore64
vi terrà compagnia tanto che io vada a far metter la tavola».

         Egli, con tutto che la sua povertà fosse strema,65 non s’era ancor tanto avveduto,
quanto bisogno gli facea, che egli avesse fuor d’ordine spese le sue richezze;66
ma questa mattina niuna cosa trovandosi di che potere onorar la donna, per amor 

80    della quale egli già infiniti uomini onorati avea, il fé ravedere.67 E oltre modo angoscioso,68
seco stesso maledicendo la sua fortuna, come uomo che fuor di sé fosse
or qua e or là trascorrendo,69 né denari né pegno70 trovandosi, essendo l’ora tarda e
il disidero grande di pure onorar d’alcuna cosa la gentil donna e non volendo, non
che altrui, ma il lavorator suo stesso richiedere,71 gli corse agli occhi il suo buon 

85    falcone, il quale nella sua saletta vide sopra la stanga;72 per che, non avendo a che
altro ricorrere, presolo e trovatolo grasso, pensò lui esser degna vivanda di cotal
donna. E però,73 senza più pensare, tiratogli il collo, a una sua fanticella74 il fé prestamente,
pelato e acconcio,75 mettere in uno schedone76 e arrostir diligentemente;
e messa la tavola con tovaglie bianchissime, delle quali alcuna ancora avea, con lieto 

90    viso ritornò alla donna nel suo giardino e il desinare, che per lui far si potea,77
disse essere apparecchiato. Laonde78 la donna con la sua compagna levatasi andarono
a tavola e, senza saper che si mangiassero, insieme con Federigo, il quale con
somma fede
79 le serviva, mangiarono il buon falcone.

         E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate,80 

95    parendo alla donna tempo di dire quello per che andata era, così benignamente
verso Federigo cominciò a parlare: «Federigo, ricordandoti tu della tua preterita81
vita e della mia onestà, la quale per avventura82 tu hai reputata durezza e crudeltà,
io non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione83
sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o 

100 avessi avuti, per li quali84 potessi conoscere di quanta forza sia l’amor che lor si
porta, mi parrebbe esser certa che in parte m’avresti per iscusata.85 Ma come che tu
no’ n’abbia,86 io che n’ho uno, non posso però87 le leggi comuni dell’altre madri
fuggire; le cui forze seguir convenendomi,88 mi conviene, oltre al piacer mio89 e oltre
a ogni convenevolezza90 e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente 

105 t’è caro: e è ragione, per ciò che91 niuno92 altro diletto, niuno altro diporto,93
niuna consolazione lasciata t’ha la tua strema fortuna;94 e questo dono è il falcon
tuo, del quale il fanciul mio è sì forte invaghito, che, se io non gliele porto, io temo
che egli non aggravi tanto nella infermità la quale ha, che poi ne segua cosa per la
quale io il95 perda. E per ciò ti priego, non per l’amore che tu mi porti, al quale tu 

110 di niente se’ tenuto,96 ma per la tua nobiltà, la quale in usar cortesia s’è maggiore
che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi, acciò che io per
questo dono possa dire d’avere ritenuto
97 in vita il mio figliuolo e per quello averloti
sempre obligato».
98

         Federigo, udendo ciò che la donna adomandava e sentendo che servir non 

115 ne la potea per ciò che mangiar gliele avea dato, cominciò in presenza di lei a
piagnere anzi che alcuna parola risponder potesse. Il qual pianto la donna prima
credette che da dolore di dover da sé dipartire99 il buon falcon divenisse più che da
altro,100 e quasi fu per101 dire che nol volesse;102 ma pur sostenutasi,103 aspettò dopo
il pianto la risposta di Federigo, il qual così disse: «Madonna, poscia104 che a Dio 

120 piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m’ho reputata la fortuna
contraria e sonmi di lei doluto;105 ma tutte sono state leggieri a rispetto di quello
che ella mi fa al presente,106 di che io mai pace con lei aver non debbo, pensando
che voi qui alla mia povera casa venuta siete, dove, mentre che ricca fu, venir non
degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella abbia sì fatto, che io donar nol vi 

125 possa: e perché questo esser non possa vi dirò brievemente. Come io udi’ che voi,
la vostra mercé,107 meco desinar volavate, avendo riguardo alla vostra eccellenzia
e al vostro valore,108 reputai degna e convenevole cosa che con più cara vivanda
secondo la mia possibilità io vi dovessi onorare, che con quelle che generalmente
per l’altre persone s’usano:
109 per che, ricordandomi del falcon che mi domandate 

130 e della sua bontà,110 degno cibo da voi il reputai, e questa mattina arrostito l’avete
avuto in sul tagliere, il quale io per ottimamente allogato avea;
111 ma vedendo ora
che in altra maniera il disideravate, m’è sì gran duolo che servire non ve ne posso,
che mai pace non me ne credo dare».
E questo detto, le penne e’ piedi e ’l becco le fé in testimonianza di ciò gittare 

135 avanti. La qual cosa la donna vedendo e udendo, prima il biasimò d’aver per dar
mangiare a una femina ucciso un tal falcone, e poi la grandezza dell’animo suo,
la quale la povertà non avea potuto né potea rintuzzare,
112 molto seco medesima
commendò.
113 Poi, rimasa fuori114 della speranza d’avere il falcone e per quello della
salute del figliuolo entrata in forse,
115 tutta malinconosa si dipartì116 e tornossi al 

140 figliuolo. Il quale, o per malinconia che il falcone aver non potea o per la ’nfermità
che pure a ciò il dovesse aver condotto,
117 non trapassar molti giorni che egli con
grandissimo dolor della madre di questa vita passò.

         La quale, poi che piena di lagrime e d’amaritudine fu stata alquanto, essendo
rimasa ricchissima e ancora giovane, più volte fu da’ fratelli costretta118 a rimaritarsi. 

145 La quale, come che voluto non avesse,119 pur veggendosi infestare,120 ricordatasi
del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così
fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli: «Io volentieri, quando vi piacesse, mi
starei;121 ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò
mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi».

150 Alla quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero: «Sciocca, che è ciò che tu
di’?122 come vuoi tu lui che non ha cosa del mondo?».123
A’ quali ella rispose: «Fratelli miei, io so bene che così è come voi dite, ma io
voglio avanti
124 uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno
d’uomo».

155 Li fratelli, udendo l’animo di lei e conoscendo Federigo da molto, quantunque
povero fosse, sì come ella volle, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono.
Il quale così fatta donna e cui125 egli cotanto amata avea per moglie vedendosi,
e oltre a ciò ricchissimo, in letizia con lei, miglior massaio fatto,126 terminò gli
anni suoi.

 >> pagina 642 
Riscrittura in italiano moderno di Bianca Pitzorno

Viveva un tempo a Firenze un giovane chiamato Federigo, figlio di messer Filippo Alberighi, il quale era valoroso e cortese, e per queste sue qualità veniva assai stimato e ritenuto superiore a tutti gli altri giovanotti della Toscana.

Come avviene spesso agli uomini di nobili sentimenti, Federigo si innamorò d’una gentildonna, chiamata monna Giovanna, che godeva fama d’essere una delle più belle e leggiadre giovani di Firenze. Per conquistare l’amore della bella dama, Federigo cominciò a mettersi in mostra, duellando, partecipando a giostre e tornei, offrendo grandi feste e sontuosi regali e spendendo senza alcun riguardo il suo denaro.

La donna però, ch’era onesta quanto bella ed era sposata, non si curava affatto di lui, né di tutte queste imprese compiute per attirare la sua attenzione.

Da un lato Federigo spendeva oltre le proprie possibilità, dall’altro non aveva entrate che compensassero tali spese. E come avviene facilmente in questi casi, arrivò il momento che le sue ricchezze si prosciugarono ed egli cadde in miseria. Di tutto il suo gran patrimonio gli era rimasto soltanto un poderetto, le cui rendite gli bastavano a stento per sopravvivere, e un falcone, che era però tra i migliori che ci fossero al mondo.

Quando si rese conto che non poteva continuare a condurre in città la vita lussuosa di un tempo, benché fosse ancora innamorato della donna, Federico decise di ritirarsi a vivere in campagna, presso Campi, dov’era il suo piccolo podere. Per procurarsi il cibo, quando il tempo lo permetteva, andava a caccia col falcone. Per il resto sopportava pazientemente la sua estrema povertà senza chiedere niente a nessuno.

Ora avvenne che, mentre Federigo conduceva una vita così grama, il marito di monna Giovanna si ammalò gravemente e, vedendosi prossimo alla morte, fece testamento. Era ricchissimo e lasciò tutto il patrimonio al suo unico figlio, ch’era già grandicello. Ma poiché aveva molto amato la moglie, fece aggiungere nel testamento che se il figlio fosse morto senza eredi legittimi, tutte le sue ricchezze dovevano andare, come unica erede, a monna Giovanna.

Poco tempo dopo l’ammalato morì e monna Giovanna restò vedova.

L’estate successiva, come è abitudine delle donne toscane, la dama se ne andò a villeggiare col figlio in una sua campagna che era assai vicina al poderetto di Federigo.

Fu così che il fanciullo fece amicizia col gentiluomo impoverito e prese l’abitudine di passare molto tempo con lui, appassionandosi di cani e d’uccelli. Il falcone, che aveva visto molte volte levarsi in volo, gli piaceva in modo straordinario. Ardeva dal desiderio di averlo, ma non osava chiederlo perché vedeva quanto fosse caro a Federigo.

Le cose stavano a questo punto, quando il ragazzo si ammalò. La madre, che lo amava profondamente e che aveva solo lui, lo circondava di cure, non lo lasciava un attimo e lo supplicava continuamente di dirle se desiderasse qualcosa. Gli prometteva che, qualunque cosa fosse, se appena fosse stato possibile, avrebbe fatto in modo di accontentarlo.

Il fanciullo, sentendo ripetere molte volte questa promessa, alla fine le disse: - Madre mia, se voi fate in modo che io abbia il falcone di Federigo, credo che in poco tempo guarirò.

Monna Giovanna non si aspettava questa richiesta. Rimase perplessa e cominciò a riflettere. Sapeva che Federigo l’aveva lungamente amata, senza ricevere in cambio da lei neppure uno sguardo, e si diceva: «Come potrei chiedergli, o mandargli a chiedere questo falcone che, a quanto ho sentito, è tra i migliori che ci siano al mondo? E che, oltre a ciò, è il suo principale mezzo di sostentamento? Come potrei essere così egoista e ingrata da voler togliere a un gentiluomo, che ha perduto tutto, l’unica cosa cara che gli sia rimasta?»

Turbata da questi pensieri, sebbene fosse certissima di ottenere il falcone se lo avesse domandato, non sapeva cosa fare e prendeva tempo, senza dare risposta alle richieste del figlio. Ma a lungo andare l’amore per il fanciullo prevalse sugli scrupoli e, per accontentarlo, monna Giovanna decise che, qualunque conseguenza ne fosse derivata, non avrebbe mandato a chiedere il falcone, ma sarebbe andata lei stessa a prenderlo e glielo avrebbe portato.

«Figlio mio, consolati e pensa a guarire. Ti prometto che la prima cosa che farò domattina sarà di andare a prenderti il falcone».

Il fanciullo se ne rallegrò e in quello stesso giorno la sua salute mostrò qualche miglioramento.

La mattina dopo la madre prese per compagnia un’altra donna e, fingendo di andare a passeggio, arrivò alla casa di Federigo e lo fece chiamare.

Poiché non era tempo di andare a caccia col falcone, né lo era stato nei giorni precedenti, Federigo stava nell’orto, intento a certi suoi lavoretti. Quando gli dissero che monna Giovanna chiedeva di lui, si meravigliò, e, pieno di gioia, corse alla porta di casa per accoglierla con tutti gli onori.

Ella, vedendolo arrivare, gli andò incontro con affabilità tutta femminile e lo salutò: – Buon giorno, Federigo! Sono venuta per ripagarti dei danni che hai avuto a causa mia, amandomi più di quanto io non meritassi. E questo è il compenso per i tuoi dispiaceri: che oggi io, con questa mia compagna, mi fermerò a pranzare familiarmente con te nella tua casa.

Al che Federigo umilmente le rispose: «Madonna, non ricordo d’aver mai ricevuto alcun danno per causa vostra, ma soltanto del bene. Perché, se mi sono elevato spiritualmente e ho raggiunto qualche valore, l’ho fatto per essere all’altezza del valor vostro. La vostra generosità nel venirmi oggi a trovare mi fa tanto piacere quanto me ne farebbe se potessi ancora spendere, per ricevervi, tanto denaro quanto ne ho speso nel passato. Sappiate che siete venuta a trovare un ospite molto povero».

La fece entrare e la ricevette, pieno di vergogna per la miseria della casa. Poi la fece accomodare in giardino e, non avendo nessuno da cui farle tenere compagnia, le disse: «Madonna, poiché non ho altra servitù, questa povera donna, moglie del contadino, vi farà compagnia intanto che io vado a far mettere la tavola».

Sebbene la sua povertà fosse estrema, Federigo non si era reso conto fino a quel momento di quanto fosse disperata la situazione in cui era finito per aver sperperato senza criterio tutte le sue ricchezze. Lo capiva soltanto adesso, rendendosi conto che in casa non c’era alcun cibo con cui fare onore alla donna per conquistare la quale aveva riempito di onori tanti uomini.

Pieno di angoscia, maledicendo la sorte, andava come impazzito da una stanza all’altra, senza trovare né denaro né alcun oggetto da dare in pegno. Era tardi, voleva ricevere degnamente la donna offrendole un buon pranzo, ma non sapeva risolversi a chiedere niente a nessuno, neppure al contadino... In quella lo sguardo gli cadde sopra il suo buon falcone che stava sul trespolo nella saletta. Era la sua unica risorsa. Lo prese, lo trovò grasso e pensò che sarebbe stato una vivanda degna della donna tanto amata... Per cui, senza stare a pensarci su, gli tirò il collo e lo dette a una sguattera che subito lo spennò, lo pulì e lo mise diligentemente ad arrostire su uno spiedo.

Federigo aveva ancora qualche bella tovaglia bianchissima. Fece apparecchiare la tavola e col viso lieto tornò in giardino e disse a monna Giovanna che il modesto pranzo che le poteva offrire era pronto.

La donna e la sua accompagnatrice si misero a tavola e, senza sapere cosa avevano nel piatto, insieme a Federigo che le serviva pieno di sollecitudine mangiarono di gusto il buon falcone. Finito il pranzo, conversarono piacevolmente per un poco, finché alla donna parve arrivato il momento di dire il motivo per cui era venuta.

«Federigo» disse parlandogli con grande dolcezza, «se consideri tutto quello che facesti per me nel passato, se ripensi alla mia onestà che ti potè forse sembrare segno d’un animo duro e crudele, ti meraviglierai della una presunzione quando saprai perché ti sono venuta a trovare. Tu non hai mai avuto figli e non sai quanto è forte l’amore che ci lega alle nostre creature. Altrimenti mi scuseresti almeno in parte. Tu non hai figli. Io però ne ho uno, e non mi posso sottrarre alla legge comune a tutte le madri. È l’amore materno che mi costringe a fare una cosa che non mi piace, che non è né giusta né conveniente: a chiederti in dono una cosa cui so che tieni moltissimo. E a buona ragione, perché è l’unica consolazione, l’unico svago, l’unico piacere, l’unica risorsa che ti ha lasciato la tua estrema sfortuna. Il dono che ti chiedo è il tuo falcone. Mio figlio se ne è invaghito così forte che, se non glielo porto, temo che la malattia che l’ha colpito si aggravi e che io rischi di perderlo. Non te lo chiedo per l’amore che mi porti, in nome del quale tu non mi devi niente. Ma per la tua grandezza d’animo, che si è mostrata maggiore di ogni altra proprio nella generosità e nella munificenza, ti prego di volermelo donare. Il tuo dono salverà la vita a mio figlio e io te ne sarò riconoscente per sempre».

Quando Federigo si rese conto che la donna gli chiedeva proprio quello che lui le aveva offerto da mangiare e che quindi non poteva più darle, scoppiò in un pianto così dirotto che non riusciva a parlare.

Monna Giovanna sulle prime pensò che piangesse per il dolore di separarsi dal falcone e fu per dirgli che non lo voleva più. Ma si trattenne e decise di aspettare che si calmasse e potesse rispondere. Quando fu in grado di parlare, Federigo le disse: – Madonna, da quando piacque a Dio che io mi innamorassi di voi, la sorte mi è stata sempre nemica e di molte cose ho avuto motivo di lamentarmi. Ma tutte le mie passate disgrazie sono niente rispetto a quello che mi capita oggi, per cui non avrò mai più pace e sempre maledirò la mia sorte. Quando la mia casa era ricca, voi non vi degnaste di venirci. Ci venite ora che è povera e mi chiedete un piccolo dono. E la sorte fa in modo che io non ve lo possa dare.

E raccontò alla donna come, non avendo altro da offrirle per il pranzo, avesse ucciso e fatto cucinare per lei proprio il falcone. E per dare maggior credito alle sue parole, le fece gettare davanti le penne, le zampe e il becco dell’uccello.

Viste e udite tali cose, monna Giovanna lo rimproverò perché aveva ucciso un falcone di tale valore per dare da mangiare a una donna. Ma insieme lo elogiò per la sua grandezza d’animo, che la miseria non era riuscita a fiaccare.

Però il falcone non lo poteva più avere. Piena di malinconia e preoccupata per la salute del figlio, la donna se ne tornò a casa.

Il fanciullo, vuoi per la tristezza di non aver avuto il falcone, vuoi per la malattia che lo doveva comunque portare a quel punto, dopo pochi giorni, con grandissimo dolore della madre, morì.

Monna Giovanna lo pianse a lungo e amaramente. Ma i suoi fratelli, poiché era ancora giovane e adesso ricchissima, dopo qualche tempo cominciarono a fare pressioni per convincerla a risposarsi. Lei non voleva, ma quelli insistevano tanto che alla fine si decise. E ricordando la grandezza d’animo di Federigo e il suo ultimo gesto di magnificenza, disse ai fratelli: «Quanto a me, se a voi piacesse, preferirei restare così come sono. Ma se voi volete che mi risposi, allora vi dico che nessun altro uomo diventerà mio marito se non Federigo degli Alberighi».

A tale risposta i fratelli, facendosi beffe di lei, le dicevano: «Sciocca, ma cosa dici? Vuoi sposare proprio lui che non possiede niente al mondo?»

E monna Giovanna: «Fratelli miei, io so bene che quello che voi dite è vero. Ma preferisco sposare un uomo privo di patrimonio che un patrimonio privo d’uomo».

Era così determinata che i fratelli, che conoscevano da molto tempo Federigo, nonostante fosse povero gliela dettero in moglie con tutte le sue ricchezze.

Così Federigo non solo finì per sposare una donna di così nobili sentimenti e che tanto a lungo aveva amato, ma si trovò anche ricchissimo. Diventò miglior amministratore delle sue sostanze e trascorse con lei felice e contento tutto il resto della sua vita.

 >> pagina 644 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La novella rappresenta l’esempio forse più significativo della celebrazione, da parte di Boccaccio, dell’etica cortese. L’autore si diverte a rovesciare il topos del “cuore mangiato” (tipico della letteratura d’amore), presente persino nella Vita nuova di Dante ( T12, p. 309). Infatti in questa novella, elegante eppure appassionata, non è il cuore dell’amato a essere mangiato dalla dama, ma il corpo del falcone, che il protagonista Federigo, caduto in povertà, non esita a sacrificare pur di imbandire un pranzo degno della sua amata. Questa estrema generosità sarà infine premiata, non senza un grave sacrificio, dall’amore della dama stessa. Si tratta di un racconto che rende bene la fede di Boccaccio nei sentimenti più puri come fondamento di una società disinteressata e sincera.

Federigo è presentato come il tipico nobiluomo feudale. Nei confronti della donna ha un atteggiamento di reverenza e sottomissione. Di tale atteggiamento è emblematico anche un piccolo dettaglio, cioè il fatto che sia lui a servirla a tavola (il quale con somma fede le serviva, rr. 92-93), quasi un simbolo della sua “servitù d’amore”. Neppure il falcone è una presenza scelta a caso dall’autore: si tratta infatti di un vero e proprio elemento costitutivo dell’identità del cavaliere medievale, in quanto rinvia a una delle attività più consuete praticate dai signori feudali, cioè la caccia. Esso dunque sottolinea la nobiltà di Federigo, che di tutto si vorrebbe privare, ma non di questa sorta di simbolo della propria condizione sociale.

 >> pagina 645 

La novella è di ambientazione aristocratica e aristocratici sono i valori messi in campo da Federigo: prima la noncuranza nei confronti del denaro e lo splendore nello spendere per impressionare con lo sfarzo monna Giovanna, poi la generosità insita nel sacrificare per la donna amata quanto di più caro gli è rimasto (il falcone). Eppure Boccaccio non sembra aderire pienamente a questi valori, perché, se estremizzati, possono condurre alla rovina (come è accaduto a Federigo, rimasto senza un soldo).

Coerentemente con il complessivo progetto culturale e ideologico a cui è ispirato tutto il Decameron, ciò che egli propone è una sintesi tra valori aristocratici e valori borghesi: nel caso di questa novella, tipicamente borghese è, per esempio, la cura del risparmio, che induce a non sperperare inutilmente le proprie sostanze. Per l’autore la borghesia deve apprendere le virtù della nobiltà, ma anche quest’ultima ha qualcosa da imparare dalla nuova classe emergente. Perciò possiamo dire che la conclusione della novella – miglior massaio fatto (r. 158) – rappresenta per Boccaccio la perfetta sintesi tra questi due sistemi di valori.

Le scelte stilistiche

Federigo appare, già all’epoca di Boccaccio, come un personaggio d’altri tempi e, in fondo, parole d’altri tempi sono diversi vocaboli che ricorrono nel tessuto lessicale della novella, come nobiltà (rr. 6 e 110), cortesia (rr. 1, 11 e 110), valore (rr. 70, 127 e 146), magnificenzia (r. 146) ecc. Si tratta di parole chiave che si stagliano in un racconto poco giocato sull’intreccio e molto sulla psicologia dei personaggi. Al narratore sembrano stare a cuore soprattutto questi ultimi e i mutamenti del loro animo, più che lo sviluppo degli eventi esterni. Per questo – coerentemente con l’estrazione sociale altolocata degli attori della vicenda – Boccaccio utilizza uno stile alto: oltre al lessico selezionato, troviamo un periodare ampio e a tratti solenne, in cui l’ipotassi prevale sulla paratassi.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi la trama della novella, individuando le principali sequenze narrative.


2 La qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uom seppe fare (rr. 8-9): a quale cosa si riferisce la frase? Chi ne è il soggetto?


3 Perché inizialmente monna Giovanna è insensibile al corteggiamento di Federigo?


4 Perché alla fine della novella Federigo si ritrova ricchissimo (r. 158)?


5 Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F).


a Prima di uccidere il falcone, Federigo esita e pensa a lungo, giacché gli spiace privarsi di questo animale che gli è tanto caro.

  •   V       F   

b Federigo non ha il coraggio di uccidere il falcone e chiede di farlo a una fanticella.

  •   V       F   

c Quando monna Giovanna chiede a Federigo il suo falcone, l’uomo piange non tanto per la richiesta in sé, quanto perché, non avendola potuta prevedere, ha già ucciso e servito in tavola il falcone.

  •   V       F   

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Analizzare

6 Nella frase in opera d’arme e in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana (rr. 11-12), sopra ogni altro donzel di Toscana è

  • a complemento di tempo.
  • b complemento di luogo.
  • c complemento di paragone.
  • d complemento di limitazione.

7 Nel periodo come che ella fosse certissima d’averlo se ’l domandasse […] non rispondeva al figliuolo ma si stava (rr. 50-51), la frase come che ella fosse certissima d’averlo è

  • ala principale.
  • b una subordinata temporale.
  • c una subordinata comparativa.
  • d una subordinata concessiva.

8 Sulla scorta di quanto abbiamo scritto nella nostra analisi, evidenzia nel testo i vocaboli pertinenti all’ideologia cortese.

Interpretare

9 Rileggi le righe 12-13 e 60-70 e prova a spiegare il senso di queste frasi – la prima riferita a Federigo, la seconda da lui pronunciata – pensando a quanto hai appreso sullo Stilnovo.


10 Una delle ragioni che inizialmente trattengono monna Giovanna dal chiedere a Federigo il suo falcone è il fatto che – come riflette la donna – questo falcone il mantien nel mondo (r. 48). In che senso il falcone tiene in vita Federigo?


11 E così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette (r. 73): perché Federigo riceve monna Giovanna vergognosamente?


12 Io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo (rr. 152-154): come vanno interpretate queste parole di monna Giovanna?


13 I fratelli di Giovanna lei con tutte le sue ricchezze gli [= a Federigo] donarono (r. 156). Come nella novella di Lisabetta da Messina anche qui è la componente maschile della famiglia a decidere della sorte della donna. Esistono però anche alcune sostanziali differenze tra l’atteggiamento dei fratelli di Lisabetta e quello dei fratelli di Giovanna. Quali?

COMPETENZE LINGUISTICHE

14 Nella novella sono presenti alcuni termini che, dal Trecento ad oggi, hanno modificato il loro significato. Indica, nella tabella, il significato secondo cui la parola è usata nel Decameron e quello contemporaneo di uso comune.


 

Nel Decameron

Oggi

chiarissimo

   

armeggiare

   

acquistare

   

possessione

   

garzoncello

   

attentare

   

acconciare

   

ristorare

   

oste

   

infestare

   

Produrre

15 Scrivere per esporre. Una volta che Giovanna rimane vedova, i fratelli insistono affinché si risposi. La condizione della vedovanza nel Medioevo era infatti considerata socialmente problematica. Svolgi una breve ricerca sul tema e scrivi un testo di circa 30 righe, provando a spiegare quali erano i pericoli a cui in quell’epoca le vedove andavano incontro.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento