2 - L’amore come sentimento terreno

2 L’amore come sentimento terreno

Gli anni napoletani sono per Boccaccio il periodo dell’esperienza della vita di corte e, insieme, di una concezione dell’amore legata a un’immagine idealizzata di questo sentimento, vissuto sulla base della lunga tradizione culturale e letteraria che andava dal trattato De amore di Andrea Cappellano alla lirica erotica in lingua d’oc e al romanzo cavalleresco in lingua d’oïl del ciclo bretone (in particolare Chrétien de Troyes e la storia di Tristano e Isotta).

Non mancano tuttavia spunti nuovi che vanno nella direzione poi compiutamente sviluppata dal Decameron. Nelle opere scritte in questo periodo, a partire dal Filocolo, si coglie infatti una rappresentazione più articolata dell’amore, declinata in tutta la gamma del patetico e dell’appassionato: le storie narrate esibiscono rimpianti malinconici, vagheggiamenti sensuali e tutte le diverse gradazioni del sentimento, analizzate per toccare la sensibilità del raffinato pubblico cortigiano, desideroso di sogni, lacrime e intrattenimento. In effetti, il motivo amoroso appare a Boccaccio l’occasione per proporre un’elegante occasione di consolatoria ed idillica evasione.

Al tempo stesso, nel lieto fine matrimoniale che suggella la travagliata vicenda di Florio e Biancifiore, possiamo cogliere un aspetto poi spesso affiorante anche nelle novelle del Decameron: la revisione dei princìpi cortesi dell’amore come semplice diletto. Lo slancio erotico istintivo e generoso, esaltato nelle poesie dei trovatori, viene ora corretto e normalizzato dalle regole morali che integrano valori cristiani e istanze borghesi nella celebrazione del vincolo coniugale.

All’interno dell’amore si misurano, in tal modo, i diritti della ragione e quelli della passione: attraverso questa contrapposizione si misura la grande capacità di Boccaccio di illuminare la psicologia degli innamorati. Ne è un esempio l’opera più importante scritta durante il periodo fiorentino, l’Elegia di Madonna Fiammetta, nella quale l’autore immagina che la nobildonna napoletana Fiammetta scriva una lunga lettera alle donne innamorate. In essa ripercorre le tappe salienti della propria relazione extraconiugale con il mercante fiorentino Panfilo: la nascita improvvisa della passione, gli incontri clandestini, la disperazione quando Panfilo, costretto a rientrare a Firenze, non mantiene l’impegno di tornare a Napoli, fino a un tentativo di suicidio.

Rievocando la storia del suo amore, la protagonista descrive le tempeste interiori, le speranze ingannevoli, il peso dell’angoscia sul suo cuore, la dolcezza dei ricordi ispirati dai luoghi teatro della sua gioia effimera, confessa il rimorso provocato dall’affetto del marito ignaro, analizza gli effetti dolorosi della gelosia. Fiammetta sembra per certi versi una delle eroine tragiche della classicità sedotte e poi tradite e abbandonate, ma il suo racconto-diario ci mostra un personaggio modernissimo, catturato dal furore, vittima di un amore che non è, come per Dante, peccaminoso “traviamento” destinato prima o poi ad essere superato, ma delirio senza speranza di guarigione, desiderio incontrollato. Assistiamo così al superamento dei rigidi stilemi dell’amore cortese e stilnovistico, nella direzione di una maggiore concretezza e di un più credibile realismo psicologico.

La concezione dell’amore presentata da Boccaccio – nell’Elegia di Madonna Fiammetta, ma anche e soprattutto nel Decameron – è di assoluta novità: lo scrittore ne parla sempre come di un’esperienza pienamente umana e terrena, descrivendo anche gli aspetti più concreti della passione: l’attrazione fisica, la dimensione sessuale, la naturalità del richiamo dei sensi.

In diverse novelle del Decameron, in particolare, si farà difensore dei “diritti della natura”, polemizzando apertamente con quell’ideale ascetico, tipicamente medievale, che vedeva nella rinuncia, nell’astinenza e nella castità la via più certa alla salvezza dell’anima.

Vola alta parola - volume 1
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Dalle origini al Trecento