I grandi temi

I grandi temi

1 Cortesia e borghesia

Sono principalmente due gli universi ideologici e valoriali nel cui ambito Boccaccio si forma e che rifletterà nelle sue opere: quello cortese e quello borghese. Ne parleremo ancora a proposito del capolavoro dello scrittore, il Decameron, nella seconda parte dell’Unità. Ma intanto vediamo come Boccaccio si rapporta, attraverso le esperienze della sua vita, a questi due mondi così diversi eppure in lui decisamente complementari.

Il periodo trascorso a Napoli (1327-1340), oltre che il momento dell’apprendistato tecnico in materia economica e della definitiva affermazione della vocazione letteraria, costituisce per l’autore un’esperienza umana e culturale di ampiezza e ricchezza straordinarie.

Napoli in quei decenni è non solo una delle maggiori metropoli europee, una città portuale vivace e culturalmente assai stimolante, un mercato variegatissimo e cosmopolita, ma anche la sfavillante sede della corte angioina, erede del gusto cortese che aveva caratterizzato i secoli precedenti, soprattutto per quanto riguarda la produzione letteraria (si pensi alle corti provenzali e a quella siciliana). E proprio sulla compresenza del mondo commerciale-borghese e di quello culturale-cortese si modella la produzione di Boccaccio degli anni napoletani, ma anche quella dei successivi anni fiorentini, che vedranno la concezione e la stesura del Decameron.

È in tale contesto che Boccaccio inventa la leggenda delle sue nobili origini, immaginando che la madre discendesse niente meno che dai reali di Francia. Del resto lo si può capire: si trova a Napoli, in un ambiente cortigiano frequentato da liete compagnie di giovani cortesi e di illustre casato. Costoro lo considerano loro amico, lo frequentano, lo invitano alle loro feste. Giovanni impara i gesti e i modi gentili, esercita il fascino che gli deriva da un ingegno acuto, è amato e vezzeggiato dalle belle dame di corte, ma sa di essere pur sempre il figlio naturale di un mercante: troppo forte la tentazione di ingentilire il proprio sangue con la vaga allusione a una nobiltà parigina.

L’orizzonte di Boccaccio muta sensibilmente con il ritorno a Firenze insieme al padre, che ha esaurito la propria missione finanziaria a Napoli: d’ora in poi la sua prospettiva sociale e ideologica sarà stabilmente quella borghese, seppure lo scrittore continuerà a coltivare una struggente nostalgia verso il mondo dorato della corte.

Ma che città è la Firenze di quegli anni? Prima di diventare, nel periodo storico successivo (tra Umanesimo e Rinascimento), l’avanguardia del rinnovamento culturale nel campo della letteratura e dell’arte, già nel Trecento, con i suoi banchieri e mercanti, Firenze è uno dei principali centri dell’economia mondiale (nel 1252 il fiorino d’oro era stato immesso nel mercato finanziario internazionale) e sino alla metà del secolo la città vive un’impetuosa espansione.

Negli anni tra Due e Trecento (lo si è visto a proposito dell’età di Dante) le lotte civili tra le opposte fazioni – prima i guelfi e i ghibellini e successivamente, divenuta Firenze stabilmente guelfa, i neri e i bianchi – riflettevano i contrasti tra gruppi sociali diversi: in particolare il ceto dei ricchi mercanti e banchieri (rappresentato dalle arti maggiori), i piccoli artigiani (associati nelle arti minori) e i rappresentanti della nobiltà feudale (magnati). Boccaccio appartiene al primo ceto, ma conosce da vicino anche gli altri: un mondo che con il Decameron ritrarrà in tutte le sue molteplici sfaccettature.

Vola alta parola - volume 1
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Dalle origini al Trecento