La vita

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I primi anni e l’esperienza napoletana

Giovanni Boccaccio nasce nel 1313, non è certo se a Firenze o a Certaldo (villaggio nei pressi di Firenze), figlio naturale di Boccaccino di Chellino e di una donna di cui non si hanno notizie, probabilmente di umili condizioni. Il padre, mercante, lo accoglie in casa propria e lo avvia agli studi, con l’intenzione di indirizzarlo al suo stesso lavoro.

«Mio padre fece ogni tentativo, sin dalla mia fanciullezza, perché diventassi mercante», scriverà più tardi Boccaccio. «Mi affidò come discepolo a un grande mercante, presso il quale per sei anni null’altro feci che consumare invano tempo non recuperabile» (De genealogia deorum gentilium, XV, 10). Ben presto emerge però la sua vera vocazione, quella letteraria: vocazione che si manifesta molto precocemente se è vero che – a quanto afferma egli stesso – Boccaccio scrive i primi componimenti poetici quando non ha ancora compiuto sette anni.

Nel 1327 il padre porta Giovanni con sé a Napoli, dove si è trasferito come rappresentante della compagnia dei Bardi, potenti banchieri fiorentini. Spera così che il figlio, attraverso la pratica, si appassioni al mondo della finanza, degli affari e dei commerci. L’interesse per la letteratura avrà però definitivamente il sopravvento.

Quelli napoletani sono anni di intense letture: i classici latini e greci (questi ultimi in traduzione perché, come Petrarca, Boccaccio non imparò mai il greco); la produzione cortese-cavalleresca, ampiamente diffusa e coltivata nella raffinata corte angioina; ma anche l’opera dantesca, scritta in quel volgare che proprio allora andava affermandosi nella poesia. In seguito sarà proprio Boccaccio, con il Decameron, a codificare in volgare la prosa letteraria.

Bene accolto alla corte di Roberto II d’Angiò, stringe amicizia con personalità importanti (scienziati, giuristi, teologi), ma condivide anche la vita spensierata ed elegante dei giovani aristocratici suoi coetanei, che, non badando alle differenze sociali, lo considerano uno di loro.

Il soggiorno napoletano è importante perché consente allo scrittore un’osservazione attenta della varia umanità presente nella città campana, che, sempre nel Decameron, Boccaccio saprà rappresentare nelle sue diverse componenti sociali: nobiltà, borghesia, popolo. A questi stessi anni risale la composizione delle prime opere: le Rime, il Filocolo, la Caccia di Diana, il Filostrato, il Teseida.

A Napoli Boccaccio incontra una donna, che indicherà con lo pseudonimo di Fiammetta. L’incontro è descritto nel Filocolo prendendo a modello quello tra Dante e Beatrice nella Vita nuova. Boccaccio nota Fiammetta in una chiesa e subito se ne innamora: la «mirabile bellezza» della donna genera in lui un «tremore» che inizialmente lo spaventa, prima che accetti di buon grado la “servitù d’amore”.

Il ritorno a Firenze

Nel 1340 la crisi della compagnia dei Bardi determina l’improvviso ritorno di Boccaccino a Firenze. Giovanni è costretto, suo malgrado, a seguire il padre. Si interrompe così per lui, all’età di ventisette anni, il periodo allegro e spensierato nella città partenopea. In seguito continuerà a sperare di potervi tornare stabilmente, magari attraverso un incarico presso la corte degli Angiò; ma tale speranza andrà frustrata.

Negli anni successivi si reca prima a Ravenna e poi a Forlì, per tornare nel 1348 di nuovo a Firenze, dove ha modo di constatare i terribili effetti della peste che in seguito descriverà nel Decameron, la sua opera più importante, una raccolta di cento novelle composta tra il 1349 e il 1353, la cui narrazione prende le mosse proprio dalla terribile esperienza della “morte nera”. Il Decameron va ad aggiungersi alle altre opere del periodo fiorentino: la Comedia delle ninfe fiorentine, l’Amorosa visione, l’Elegia di Madonna Fiammetta, il Ninfale fiesolano.

La scomparsa del padre e la necessità di amministrare l’ormai esiguo patrimonio familiare, oltre all’obbligo di provvedere al fratellastro Iacopo, lo spingono a rimanere stabilmente in città, da dove si allontanerà solo per brevi spostamenti.

A Boccaccio non resta perciò che adattarsi alla vita borghese di Firenze, dove comunque si fa conoscere e apprezzare per le doti culturali e diplomatiche, tanto da essere ufficialmente impiegato in diverse ambascerie. Scrittore ormai noto e stimato, riceve dai concittadini incarichi di prestigio, che lo portano in Romagna, ad Avignone presso il papa, e a Napoli, ma soltanto per un breve periodo.

Lo sconvolgimento scatenato dall’epidemia di peste provoca in lui un profondo mutamento interiore. L’aver visto la morte da vicino e la perdita di molte persone care (tre figli naturali, avuti forse da donne diverse, gli muoiono prestissimo: Violante, la più cara, a cinque anni d’età) lo conducono a una riflessione spirituale, alla quale non è estranea l’amicizia con uno scrittore anch’egli spiritualmente inquieto quale Francesco Petrarca. Boccaccio lo incontra per la prima volta a Firenze nel 1350, per poi rivederlo l’anno dopo a Padova e nuovamente a Milano e a Venezia. All’amicizia con l’autore del Canzoniere, che per Boccaccio diventa una sorta di modello, si collega la composizione di una serie di opere in latino, di carattere erudito ed enciclopedico, che anticipano alcuni caratteri del nascente Umanesimo.

La frequentazione di Petrarca (anche nei termini di una fitta relazione epistolare) spinge infatti Boccaccio a concepire una nuova idea di letteratura: scrivere non avrebbe più dovuto essere un’attività finalizzata soltanto al «diletto» dei lettori, cioè al piacere e all’intrattenimento (com’era avvenuto con le opere napoletane e in parte con lo stesso Decameron), ma un impegno di tipo morale e religioso, volto a trasmettere messaggi di contenuto etico e spirituale.

Nell’amicizia con Francesco, Giovanni intravede un’opportunità di miglioramento insieme artistico e personale, come gli scrive in una lettera: «Ah, che io possa, per mezzo della tua venerabile persona, giungere a debellare le miserie della fortuna, le angustie dell’amore, e spogliarmi d’ogni volgarità, io che mi conosco come un misero, un rozzo, un inerme ed inerte, crudo insieme ed informe». Tale mutamento di prospettiva si può riscontrare anche sul piano biografico: se Petrarca aveva assunto gli ordini minori, pare che Boccaccio abbia ricevuto l’ordinazione sacerdotale.

Nel frattempo la partecipazione di alcuni amici di Boccaccio a una congiura antigovernativa a Firenze (1360), poi fallita, pone lo scrittore in cattiva luce agli occhi delle autorità. Così egli, trovandosi isolato, decide di ritirarsi a Certaldo (1362), dove condurrà una vita appartata dedita alle letture, agli studi e alla composizione delle opere erudite. Descrive questo mutamento di vita in una lettera: «Ho cominciato, con assai meno difficultà che io non estimavo di potere [più facilmente di quanto pensassi], a confortare la mia vita: e comincianmi già a piacere i grossi panni [gli abiti rozzi] e le contadine vivande; e il non vedere l’ambizioni e le spiacevolezze e’ fastidi de’ nostri cittadini m’è di tanta consolazione dell’animo che, se io potessi stare senza udirne nulla, credo che ’l mio riposo crescerebbe assai. In iscambio de’ solleciti avvolgimenti [al posto delle assillanti preoccupazioni], e continui, de’ cittadini, veggio campi, colli, arbori, delle verdi fronde e di vari fiori rivestiti; cose semplicemente dalla natura prodotte, mentre gli atti dei cittadini sono tutti fittizi». In altre parole, nel contrapporre la vita di città a quella di campagna (secondo un fortunato topos classico), lo scrittore dichiara di essersi adattato volentieri alla seconda. Non sappiamo quanto sia sincera tale affermazione: certamente, in base alle sue parole, possiamo ritenere che egli seppe fare di necessità virtù.

L’ultimo incarico attribuitogli dal Comune fiorentino è, nel 1373, il commento alla Commedia dantesca. Boccaccio svolge queste Esposizioni sopra la Comedia (così si intitolerà la rielaborazione scritta di quelle pubbliche letture), con grande successo, nella chiesa di Santo Stefano di Badia. L’impresa si interrompe però al canto XVII dell’Inferno, per la salute malferma dello scrittore, che muore in povertà il 21 settembre 1375 a Certaldo. Lì, nella chiesa dei Santi Michele e Iacopo, si trova ancora la sua tomba, che reca un’epigrafe in latino in cui si legge tra l’altro: Studium fuit alma poesis (La sua passione fu la nobile poesia).

CRONACHE dal PASSATO

  Il mistero di Fiammetta

Chi era Fiammetta? Questa affascinante donna bionda, che a un certo punto entra prepotentemente nei sogni di Boccaccio, è realmente esistita oppure si tratta di una creatura della sua immaginazione?


In passato i biografi hanno identificato Fiammetta con una certa Maria, una figlia naturale di re Roberto d’Angiò. Sposata giovanissima a un conte d’Aquino, per la sua bellezza e per il suo carattere brillante sarebbe stata al centro della vita mondana della corte di Napoli. Eppure nessun documento a noi pervenuto attesta l’esistenza di una Maria d’Aquino. Il mistero rimane dunque fitto. Tuttavia, a prescindere dall’identità effettiva di questa donna, se vogliamo credere a quanto scrive Boccaccio nelle sue opere, Fiammetta fa innamorare di sé il giovane letterato appena la incontra un Sabato Santo nella chiesa napoletana di San Lorenzo. Anche le opinioni sulla data sono contrastanti: chi dice nel 1331, chi nel 1336. Comunque, da quel momento in poi Boccaccio comincia a corteggiarla scrivendo versi per lei. A partire dall’ottobre successivo a quel primo incontro primaverile, Fiammetta pare cominci a ricambiare il sentimento dello scrittore.

Dopo tre anni, però, l’amara delusione: Fiammetta si rivela una persona volubile e abbandona Boccaccio per un nuovo amore. Ma Giovanni non si arrende: continua a scrivere, aspettandola, nella speranza che l’amata decida di tornare da lui. Poi l’inattesa partenza per Firenze rende irrimediabile la frattura della loro relazione. Con l’Elegia di Madonna Fiammetta l’addio è definitivo; le parti vengono scambiate (ora è lei a sentirsi tradita, mentre lui è freddo e distaccato), e questa inversione dei ruoli rappresenta per Boccaccio l’unico risarcimento possibile, per via letteraria, alla sua delusione.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento