T13 - Italia mia, benché ’l parlar sia indarno

T13

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno

Canzoniere, 128

Questa canzone segna un intervallo nel “romanzo d’amore di Laura” e affronta un tema politico. È rivolta ai signori italiani, colpevoli, secondo Petrarca, di combattersi, utilizzando anche truppe mercenarie, anziché allearsi e lottare per l’indipendenza della penisola dalle influenze straniere. La maggior parte degli studiosi ritiene che sia stata scritta nel 1344-1345 in occasione di una guerra tra i Gonzaga di Mantova e gli Estensi di Ferrara per il controllo di Parma.


Metro Canzone di 7 strofe di 16 versi ciascuna, con schema di rime AbCBaC (fronte) e cDEeDdfGfG (sirma); il congedo ha lo stesso schema della sirma.

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno

a le piaghe mortali

che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,

piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali

5      spera ’l Tevero et l’Arno,

e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio.

Rettor del cielo, io cheggio

che la pietà che Ti condusse in terra

Ti volga al Tuo dilecto almo paese.

10    Vedi, Segnor cortese,

di che lievi cagion’ che crudel guerra;

e i cor’, che ’ndura et serra

Marte superbo et fero,

apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;

15    ivi fa’ che ’l Tuo vero,

qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.

Voi cui Fortuna à posto in mano il freno

de le belle contrade,

di che nulla pietà par che vi stringa,

20    che fan qui tante pellegrine spade?

perché ’l verde terreno

del barbarico sangue si depinga?

Vano error vi lusinga:

poco vedete, et parvi veder molto,

25    ché ’n cor venale amor cercate o fede.

Qual più gente possede,

colui è più da’ suoi nemici avolto.

O diluvio raccolto

di che deserti strani,

30    per inondar i nostri dolci campi!

Se da le proprie mani

questo n’avene, or chi fia che ne scampi?

Ben provide Natura al nostro stato,

quando de l’Alpi schermo

35    pose fra noi et la tedesca rabbia;

ma ’l desir cieco, e ’ncontra ’l suo ben fermo,

s’è poi tanto ingegnato,

ch’al corpo sano à procurato scabbia.

Or dentro ad una gabbia

40    fiere selvagge et mansuete gregge

s’annidan sì che sempre il miglior geme;

et è questo del seme,

per più dolor, del popol senza legge:

al qual, come si legge,

45    Mario aperse sì ’l fianco,

che memoria de l’opra ancho non langue,

quando assetato et stanco

non più bevve del fiume acqua che sangue.

Cesare taccio, che per ogni piaggia

50    fece l’erbe sanguigne

di lor vene, ove ’l nostro ferro mise.

Or par, non so per che stelle maligne,

che ’l cielo in odio n’aggia:

vostra mercé, cui tanto si commise.

55    Vostre voglie divise

guastan del mondo la più bella parte.

Qual colpa, qual giudicio o qual destino

fastidire il vicino

povero, et le fortune afflicte et sparte

60    perseguire, e ’n disparte

cercar gente et gradire,

che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo?

Io parlo per ver dire,

non per odio d’altrui né per disprezzo.

65    Né v’accorgete anchor per tante prove

dal bavarico inganno

ch’alzando il dito colla morte scherza?

Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno;

ma ’l vostro sangue piove

70    più largamente, ch’altr’ira vi sferza.

Da la matina a terza

di voi pensate, et vederete come

tien caro altrui che tien sé così vile.

Latin sangue gentile,

75    sgombra da te queste dannose some;

non far idolo un nome

vano, senza soggetto:

ché ’l furor de lassù, gente ritrosa,

vincerne d’intellecto,

80    peccato è nostro, et non natural cosa.

Non è questo ’l terren ch’i’ tocchai pria?

Non è questo il mio nido

ove nudrito fui sì dolcemente?

Non è questa la patria in ch’io mi fido,

85    madre benigna et pia,

che copre l’un et l’altro mio parente?

Perdio, questo la mente

talor vi mova, et con pietà guardate

le lagrime del popol doloroso,

90    che sol da voi riposo

dopo Dio spera; et pur che voi mostriate

segno alcun di pietate,

vertù contra furore

prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto:

95    ché l’antiquo valore

ne l’italici cor’ non è anchor morto.

Signor’, mirate come ’l tempo vola,

et sì come la vita

fugge, et la morte n’è sovra le spalle.

100 Voi siete or qui; pensate a la partita:

ché l’alma ignuda et sola

conven ch’arrive a quel dubbioso calle.

Al passar questa valle

piacciavi porre giù l’odio et lo sdegno,

105 vènti contrari a la vita serena;

et quel che ’n altrui pena

tempo si spende, in qualche acto più degno

o di mano o d’ingegno,

in qualche bella lode,

110 in qualche honesto studio si converta:

così qua giù si gode,

et la strada del ciel si trova aperta.

Canzone, io t’ammonisco

che tua ragion cortesemente dica,

115 perché fra gente altera ir ti convene,

et le voglie son piene

già de l’usanza pessima et antica,

del ver sempre nemica.

Proverai tua ventura

120 fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace.

Di’ lor: «Chi m’assicura?

I’ vo gridando: Pace, pace, pace».

 >> pagina 490 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Petrarca auspica un’Italia in pace, mentre ovunque infuriano battaglie tra i signori italiani. A questi il poeta si rivolge esortandoli a riflettere sulla responsabilità che Dio ha loro affidato – in base a una concezione provvidenzialistica della Storia, tipicamente medievale – affinché si uniscano a beneficio della patria. Per questo è fondamentale sbarazzarsi delle truppe mercenarie straniere, inaffidabili e pericolose.

Nella canzone Petrarca attribuisce all’Italia una superiorità morale che richiama l’epoca romana, rispetto ai popoli nordici considerati incivili. Per questo testo, nell’Ottocento risorgimentale Petrarca sarà considerato un anticipatore della causa dell’Unità d’Italia. Tuttavia l’idea di unità di Petrarca è soprattutto legata a una dimensione culturale, non a una struttura statale. Inoltre la visione geografica del poeta è limitata, come si comprende anche dai fiumi citati: il Po, l’Arno e il Tevere, dunque solo il Centro-Nord della penisola.

Mentre Dante aveva come propri riferimenti il mondo comunale e insieme l’ideale dell’impero universale, qui Petrarca non si rivolge né ai Comuni né all’imperatore, ma direttamente ai signori italiani. Ciò evidenzia come, verso la metà del Trecento, la realtà delle signorie e delle corti sia ormai ben radicata nella situazione politica italiana.

Il dolore per la patria trasformata in un campo di battaglia induce il poeta a intrecciare il desiderio rabbioso del riscatto – fondato sul mito dell’antica Roma, sulle vittorie di Mario e Cesare e sulla classica opposizione tra latini e tedeschi, civiltà e barbarie – con la delicata e pietosa evocazione dell’amore per il suolo natio e del legame quasi religioso con la terra, oltraggiata da una violenza estranea e feroce (vv. 81-91).

 >> pagina 491 

L’appello alla riscossa prorompe non a caso da un’esigenza morale più ancora che militare: la vertù contra furore (v. 93) e l’antiquo valore (v. 95) della stirpe italica sapranno rinnovare quel destino di grandezza e di pace che è inscritto nel disegno divino della Storia.

È proprio questo aspetto, culturale ed etico, del patriottismo petrarchesco a esercitare una grandissima suggestione sugli scrittori italiani successivi: da questa canzone infatti nasce l’idea, coltivata da poeti come Alfieri, Leopardi, Carducci e viva in tutto il Risorgimento, che l’identità italiana si basa sulla condivisione di un patrimonio storico e civile e sulla memoria dei valori e degli esempi del glorioso passato romano.

Il componimento di Petrarca tuttavia non si esaurisce nel motivo politico, che infatti è inserito all’interno di una più generale meditazione esistenziale. Oltre al tono di preghiera, che appare nei primi versi con l’invocazione della grazia divina, l’ultima strofa prima del congedo invita a tener conto della brevità della vita (vv. 97-99) e dell’inutilità delle passioni destinate a essere travolte dallo scorrere del tempo e dall’appressarsi della morte.

Le scelte stilistiche

La tematica impegnata trova il proprio corrispettivo stilistico in scelte metriche, sintattiche, retoriche e lessicali impostate su un livello elevato, già a partire dalla scelta della canzone, forma poetica nobile. La sintassi, spesso concitata come a rendere l’urgenza emotiva dei concetti, è caratterizzata da riprese, parallelismi e antitesi. Queste ultime, in particolare, appaiono volte a evidenziare il contrasto tra il bene e il male (cfr. i vv. 29-30, 40, 93).

Il tono del componimento è reso solenne ed elevato attraverso diverse figure retoriche: metafore, interrogative retoriche, invocazioni e apostrofi. La prima strofa si apre con una prosopopea: la personificazione dell’Italia in una donna dal corpo martoriato (vv. 2-3).

Ancora, al v. 49 (Cesare taccio) si può notare una preterizione: dicendo di non voler parlare di Cesare, di fatto il poeta lo ricorda. L’usanza pessima et antica, / del ver sempre nemica (vv. 117-118), infine, è una perifrasi per indicare l’adulazione. Anche il lessico è solenne, come mostrano in particolare i latinismi che abbiamo evidenziato nelle note.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Qual è la soluzione prospettata dall’autore in merito alla situazione politica dell’Italia del suo tempo?


2 Quali sono le ipotesi formulate nella quarta strofa per spiegare il comportamento dei signori italiani?


3 In che cosa consiste l’inganno messo in atto dai tedeschi ai danni degli italiani (quinta strofa)?


4 Nella sesta strofa Petrarca afferma che, se gli italiani affronteranno i mercenari, il combattimento sarà breve. Perché? Chi risulterebbe vincitore?

Analizzare

5 Individua la personificazione nella terza strofa.


6 Individua, nella terza strofa, un chiasmo, spiegandone la funzione espressiva.

interpretare

7 Come si concilia l’appello alla pace dell’ultimo verso con il precedente invito ai signori italiani a prendere le armi contro i mercenari stranieri?

Produrre

8 Scrivere per esporre. Rintraccia nel profilo generale di Petrarca la sua concezione politica e scrivi un breve testo (circa 10 righe), citando esempi tratti dal componimento a supporto della tua trattazione.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento