Per Petrarca l’amore rappresenta un’esperienza strettamente personale: nella sua opera infatti non troviamo spiegazioni generali o teorie assolute, come invece accade in Dante, il quale inscrive la propria vicenda all’interno di una visione trascendente del fenomeno, dalla passione giovanile per Beatrice fino all’amore quale essenza del divino.
Il poeta esprime esclusivamente il proprio intimo rovello individuale, da un lato caricando – stilnovisticamente – l’oggetto del desiderio, cioè Laura, delle più eccelse virtù, dall’altro denunciando le conseguenze negative che esso suscita, cioè l’infelicità, il senso del peccato, la percezione della disgregazione morale. In tal modo l’amore che egli prova finisce per essere il suo stesso principale capo d’accusa, la colpa di cui costantemente si rimprovera, sia in prima persona, sia – come nel Secretum – attraverso il suo alter ego, sant’Agostino.
Quello di Petrarca è, in altri termini, un esame di coscienza, incessante e spietato ma al tempo stesso incompiuto: egli riconosce e condanna i propri cedimenti ai fantasmi delle cose terrene, ma tale consapevolezza è destinata a scontrarsi puntualmente con un difetto della volontà che gli impedisce di raggiungere la salvezza dalle passioni carnali e la pienezza di una conversione spirituale.