Percorso 3 • Dante personaggio

Percorso 3 • Dante personaggio

Inferno, XXXII, 73-111

Purgatorio, XI, 73-108

Paradiso, XXII, 112-138; 151-154

T24


T25


T26


Il fascino della Divina Commedia risiede nella sua complessità, nella vastità dell’impianto filosofico e culturale, che riassume e ricapitola l’intero sapere medievale, rendendolo però attraverso una visione generale assolutamente originale e in una forma poetica nuovissima. Il viaggio nell’oltretomba che Dante descrive interessa ogni altro uomo: il suo libro assurge così a exemplum (“racconto esemplare”) per portare l’umanità alla salvezza. Per questo la Commedia si pone quale «vital nodrimento» (Paradiso, XVII, 131) per tutti gli uomini.

Tuttavia l’opera riguarda in primo luogo il poeta nella sua individualità di persona, come testimoniano i numerosi passi incentrati sulla tematica dell’esilio (una vicenda assai personale, seppure emblematica dal punto di vista storico e morale), nonché la solenne investitura poetica che, insieme con lo scioglimento delle profezie a mano a mano raccolte nei canti precedenti, il poeta riceve nei canti centrali del Paradiso (XV-XVII) dal suo trisavolo Cacciaguida.

Di fatto nella Divina Commedia Dante è insieme autore (auctor) e personaggio (agens). Il personaggio Dante è colui che vive in prima persona le vicende narrate: lo troviamo sperduto e timoroso già nei primi versi del primo canto dell’Inferno. In tale veste egli ha una conoscenza parziale e limitata di quanto gli accade e delle esperienze che attraversa. L’autore Dante è invece colui che trascrive il racconto del viaggio dopo che esso ha avuto luogo e si è concluso, e che con la sua voce garantisce la verità della narrazione. La sua percezione dell’itinerario oltremondano è completa e così anche la sua interpretazione: Dante-autore assicura il significato provvidenziale del viaggio (Dio l’ha voluto per salvare lui e, insieme con lui, l’umanità intera) e il suo esito positivo (la salvezza è possibile per tutti come è stata possibile per la persona di Dante).

Quelli di Dante-agens e Dante-auctor sono due punti di vista diversi, che si intrecciano variamente nella narrazione. In generale possiamo dire che, mentre il viaggio si compie, diminuisce progressivamente la distanza tra il personaggio e l’autore, finché, al termine del percorso, le due entità finiranno per coincidere.

 >> pagina 368 

Accanto ai tanti personaggi raffigurati nel poema, il vero protagonista è dunque Dante stesso anche per il fatto che egli si pone, nel suo viaggio, come un uomo che è alla ricerca della verità e del proprio destino. E con lui via via si fanno coprotagonisti, in svariate forme, coloro che egli incontra scendendo negli abissi dell’Inferno, scalando le balze del Purgatorio, ascendendo di cielo in cielo nel Paradiso. Nei tre brani che presentiamo qui di seguito cercheremo di evidenziare tale dimensione di partecipazione, anche su un piano emotivo, del poeta agli episodi narrati.

T24

Bocca degli Abati

Inferno, XXXII, 73-111

Avremmo potuto scegliere molti altri passi dell’Inferno, anche più celebri, nei quali Dante tradisce la propria partecipazione psicologica di uomo alle vicende narrate (dall’episodio di Paolo e Francesca a quelli con Farinata o con Brunetto Latini). Ci siamo orientati invece, per l’alto grado di coinvolgimento emotivo da parte del poeta, sull’incontro con Bocca degli Abati, la cui anima è confinata nella seconda zona del nono cerchio, Antenora, riservata ai traditori della patria: conficcati nel ghiaccio del Cocito, questi hanno soltanto la testa al di fuori, rivolta verso il basso.

Bocca degli Abati è il fiorentino che aveva tradito la propria città a Montaperti (1260), dove i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini senesi, capeggiati dal fuoriuscito fiorentino Farinata degli Uberti. Le cronache raccontano che all’inizio dello scontro di Montaperti Bocca degli Abati tagliò con la spada la mano di colui che impugnava la bandiera di Firenze, favorendo così la sconfitta dei guelfi suoi concittadini: i quali, vedendo abbattuta la propria insegna, si ritennero vinti prima del tempo.

Dante manifesta sdegno e disprezzo nei confronti di questo personaggio, macchiatosi di un peccato che egli ritiene tra i più gravi e ripugnanti, al punto che in Dante-autore sorge il dubbio che il violento gesto iniziale di Dante-personaggio – un colpo in faccia al dannato – non sia stato del tutto fortuito.

E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo

al quale ogne gravezza si rauna,

75    e io tremava ne l’etterno rezzo;


se voler fu o destino o fortuna,

non so; ma, passeggiando tra le teste,

78    forte percossi ’l piè nel viso ad una.

Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?

se tu non vieni a crescer la vendetta

81    di Montaperti, perché mi moleste?».

E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,

sì ch’io esca d’un dubbio per costui;

84    poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».

Lo duca stette, e io dissi a colui

che bestemmiava duramente ancora:

87    «Qual se’ tu che così rampogni altrui?».

«Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,

percotendo», rispuose, «altrui le gote,

90    sì che, se fossi vivo, troppo fora?».

«Vivo son io, e caro esser ti puote»,

fu mia risposta, «se dimandi fama,

93    ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».

Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.

Lèvati quinci e non mi dar più lagna,

96    ché mal sai lusingar per questa lama!».

Allor lo presi per la cuticagna,

e dissi: «El converrà che tu ti nomi,

99    o che capel qui sù non ti rimagna».

Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi,

né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti

102 se mille fiate in sul capo mi tomi».

Io avea già i capelli in mano avvolti,

e tratto glien’avea più d’una ciocca,

105 latrando lui con li occhi in giù raccolti,


quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?

non ti basta sonar con le mascelle,

108 se tu non latri? qual diavol ti tocca?».

«Omai», diss’io, «non vo’ che più favelle,

malvagio traditor; ch’a la tua onta

111 io porterò di te vere novelle».

 >> pagina 370 

T25

Oderisi da Gubbio

Purgatorio, XI, 73-108

Nel canto XI del Purgatorio ci troviamo tra i superbi, che devono camminare circolarmente lungo la cornice, piegati sotto il peso di enormi macigni: i sassi abbassano, letteralmente, la tendenza all’esaltazione di sé, tipica del superbo.

Il canto si apre con la recita del Padre nostro da parte delle anime purganti, alla quale Dante-personaggio assiste. Mentre anch’egli va chino con gli altri (seppure il suo capo non sia gravato da alcun masso), dialoga con alcuni di loro. Tra questi, un famoso miniatore del Duecento, Oderisi da Gubbio, morto nel 1299.

Ascoltando chinai in giù la faccia;

e un di lor, non questi che parlava,

75    si torse sotto il peso che li ’mpaccia,


e videmi e conobbemi e chiamava,

tenendo li occhi con fatica fisi

78    a me che tutto chin con loro andava.

«Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi,

l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte

81    ch’alluminar chiamata è in Parisi?».

«Frate», diss’elli, «più ridon le carte

che pennelleggia Franco Bolognese;

84    l’onore è tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare’ io stato sì cortese

mentre ch’io vissi, per lo gran disio

87    de l’eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio;

e ancor non sarei qui, se non fosse

90    che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

Oh vana gloria de l’umane posse!

com’ poco verde in su la cima dura,

93    se non è giunta da l’etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura

tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,

96    sì che la fama di colui è scura.

Così ha tolto l’uno a l’altro Guido

la gloria de la lingua; e forse è nato

99    chi l’uno e l’altro caccerà del nido.

Non è il mondan romore altro ch’un fiato

di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,

102 e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi

da te la carne, che se fossi morto

105 anzi che tu lasciassi il “pappo” e ’l “dindi”,


pria che passin mill’anni? ch’è più corto­

spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia

108 al cerchio che più tardi in cielo è torto.

[…]».

 >> pagina 372 

T26

Invocazione alla costellazione dei Gemelli

Paradiso, XXII, 112-138; 151-154

Sin da giovane precocemente consapevole del proprio talento, Dante ne scruterà i segni anche in cielo, credendo – come la maggior parte degli uomini medievali – nel potere delle stelle, nello zodiaco, cioè in quella che oggi chiamiamo astrologia.

Nel canto XXII del Paradiso ricorda di essere nato sotto la costellazione dei Gemelli, alla quale indirizza un’invocazione. Poi contempla dall’alto, con distacco, la Terra che, vista da lì, appare sotto tutto un altro aspetto: decisamente meno grandiosa e imponente.

O glorïose stelle, o lume pregno

di gran virtù, dal quale io riconosco

114 tutto, qual che si sia, il mio ingegno,


con voi nasceva e s’ascondeva vosco

quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,

117 quand’io senti’ di prima l’aere tosco;


e poi, quando mi fu grazia largita

d’entrar ne l’alta rota che vi gira,

120 la vostra regïon mi fu sortita.

A voi divotamente ora sospira

l’anima mia, per acquistar virtute

123 al passo forte che a sé la tira.

«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,

cominciò Bëatrice, «che tu dei

126 aver le luci tue chiare e acute;


e però, prima che tu più t’inlei,

rimira in giù, e vedi quanto mondo

129 sotto li piedi già esser ti fei;


sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo

s’appresenti a la turba trïunfante

132 che lieta vien per questo etera tondo».

Col viso ritornai per tutte quante

le sette spere, e vidi questo globo

135 tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;


e quel consiglio per migliore approbo

che l’ha per meno; e chi ad altro pensa

138 chiamar si puote veramente probo. […]

L’aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom’io con li etterni Gemelli,

153 tutta m’apparve da’ colli a le foci;


poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.

 >> pagina 373 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In Inferno, XXXII, 73-111 (T24) ci troviamo fra i traditori politici. Il senso del contrappasso è chiaro: il ghiaccio (che è l’opposto del fuoco di carità) rimanda alla freddezza con cui costoro hanno tradito chi si fidava di loro. Un dannato si lamenta di essere stato urtato da Dante e ricorda la sconfitta dei guelfi a Montaperti. Il poeta gli si avvicina invitandolo a rivelare la propria identità. Poiché questi si rifiuta, Dante lo afferra per i capelli in modo minaccioso, finché un altro ne rivela il nome: Bocca degli Abati. Qui Dante partecipa così intensamente all’azione da non attendere – come è solito fare – l’assenso di Virgilio al colloquio con l’anima di Bocca e da lasciarsi andare a comportamenti decisamente violenti nei confronti del dannato. «Tale acredine […] è giustificata dal ricordo bruciante della sconfitta guelfa e fiorentina, dalla passionalità con cui Dante inscena la materia politica che lo tocca personalmente» (Pasquini-Quaglio). In altre parole, Dante-personaggio è qui completamente coinvolto in prima persona.

Se con i dannati dell’Inferno l’atteggiamento di Dante può essere di umana pietà (Paolo e Francesca, Brunetto Latini) o di polemica contrapposizione (si veda lo stesso episodio di Bocca degli Abati), nel Purgatorio il poeta si trova a condividere il cammino di espiazione delle anime. Dante-personaggio, cioè, partecipa al percorso di purificazione che lo renderà – come recita l’ultimo verso della cantica – «puro e disposto a salire a le stelle». Nelle varie cornici purgatoriali Dante prende sempre parte, indirettamente, alle pene e alle preghiere delle anime. Ma in alcuni casi più, in altri meno: in base a quanto sente di essere incline e cedevole nei confronti del particolare vizio che vi si espia. Evidentemente, conscio del proprio valore e del proprio talento, Dante rimproverava a sé stesso il peccato di superbia.

 >> pagina 374 

Quando in Purgatorio, XI (T25) il poeta incontra Oderisi e ne tesse le lodi, questi con un’umiltà della quale – confessa – non sarebbe stato capace in vita, dominato com’era da uno smodato desiderio di eccellere, risponde che Franco Bolognese lo ha superato nell’arte di miniare le pergamene. Tale è la sorte della effimera gloria umana: così anche Cimabue è superato da Giotto nella pittura e Guido Guinizzelli (oppure, secondo un’altra interpretazione, Guittone d’Arezzo) da Guido Cavalcanti (o Guido Guinizzelli) nella poesia, e forse è già nato chi a sua volta li supererà entrambi.

L’onore del mondo è volubile come vento che muta nome a seconda che spiri da un lato o dall’altro dell’orizzonte. Non rimane alcuna differenza tra uno che sia morto vecchio e un altro che sia morto bambino, quando siano passati mille anni. Uno spazio di tempo che ci sembra lunghissimo, se paragonato all’eternità non è più che un batter di ciglia. In questa riflessione Dante è parte attiva (non a caso partecipa all’espiazione: tutto chin con loro andava, v. 78), in quanto è toccato personalmente dal dramma della brevità della vita di fronte all’eternità e dal rischio, che ancora sussiste per lui che è vivo, di inorgoglirsi per la fama senza considerarne la caducità.

Quando Dante era entrato nel Purgatorio, l’angelo portiere gli aveva proibito di voltarsi. Adesso invece Beatrice lo spinge a guardare indietro. Ciò significa che il pellegrino ha conquistato una prospettiva sicura, grazie alla quale voltarsi indietro non rappresenta più, per lui, un pericolo. In altre parole, Dante ha raggiunto una libertà interiore dal peccato che lo mette al riparo dalle tentazioni terrene.

Si tratta di un passaggio cruciale, quello dai cieli planetari, condizionati dalla Storia, a una zona celeste legata alla dimensione dell’eternità. Così, purificatosi dalle proprie colpe e con lo sguardo libero da condizionamenti materiali, egli è in grado di vedere la Terra nella sua giusta dimensione: un puntino nell’universo (anche se – per l’uomo medievale – quel puntino è al centro dell’universo stesso).

Dante riprende qui un topos classico già presente nel Somnium Scipionis (Il sogno di Scipione) dello scrittore latino Cicerone (I secolo a.C.), l’unica parte nota nel Medioevo (capitoli 9-29 del VI libro) del trattato De republica (Sullo Stato): Scipione l’Africano (il vincitore di Annibale a Zama nella seconda guerra punica) mostrava in sogno al nipote, Scipione Emiliano (il distruttore di Cartagine nella terza guerra punica), le sfere celesti e la Terra, e questi ricavava da tale visione dall’alto un analogo senso di svalutazione della supposta magnificenza del pianeta («mi apparve così piccola che mi venne una stretta al cuore nel vedere che il nostro impero non occupa che un piccolo punto di essa», Somnium Scipionis, VI, 16).

Nel brano che abbiamo riportato (T26) Dante-personaggio, attraverso il suo lungo viaggio, ha raggiunto in prima persona tale consapevolezza. Tuttavia non si può trascurare una differenza fondamentale: il valore che assume la visione di Dante è diverso da quello presente nel testo ciceroniano, poiché il poeta cristiano sottintende «il concetto, tutto religioso, di liberazione e di distacco dalle passioni terrene come prerequisito indispensabile per poter accedere alla visione dei beati e di Dio» (Messina-Sarpi).

 >> pagina 375 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Perché al v. 86 di Inferno, XXXII (T24) il dannato impreca contro Dante?


2 Qual era stata in vita l’attività di Oderisi da Gubbio (protagonista del brano di Purgatorio, XI, T25)?

  • a Poeta.
  • b Musico.
  • c Minatore.
  • d Autore di miniature.

3 Spiega il significato dei vv. 92-93 di Purgatorio, XI (T25).


4 Sintetizza le riflessioni che Dante compie contemplando la Terra dall’alto (T26).

Analizzare

5 Come definiresti lo stile del brano di Inferno, XXXII (T24)?

  • a Tragico.
  • b Elegiaco.
  • c Comico-realistico.
  • d Lirico.

6 Ai vv. 79-81 di Purgatorio, XI (T25) Dante saluta Oderisi da Gubbio e ne indica l’arte con

  • a un iperbato.
  • b un’anastrofe.
  • c una metafora.
  • d una perifrasi.

7 Al v. 76 di Purgatorio, XI (T25) si trova

  • a un asindeto.
  • b un polisindeto.
  • c una subordinata temporale.
  • d una subordinata causale.

8 Quale figura sintattica puoi individuare al v. 115 di Paradiso, XXII (T26)?

  • a Un chiasmo.
  • b Un parallelismo.
  • c Un’anafora.
  • d Una metonimia.

Interpretare

9 Il contrappasso della pena di Inferno, XXXII (T24) è per analogia o per contrasto?


10 Il contrappasso della pena di Purgatorio, XI (T25) è per analogia o per contrasto?


11 Perché nel brano di Inferno, XXXII (T24) Bocca degli Abati non vuole svelare a Dante la propria identità?


12 Perché al v. 105 di Inferno, XXXII (T24) il personaggio tiene gli occhi in giù raccolti?


13 Come possiamo spiegare l’epiteto di Frate (“fratello”) con cui al v. 82 di Purgatorio, XI (T25) Oderisi apostrofa Dante?


14 Nei vv. 98-99 di Purgatorio, XI, T25 (e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido) molti interpreti hanno visto un’allusione di Dante a sé stesso. Ti sembra possibile? Una simile interpretazione non sarebbe contraddittoria rispetto alla generale tematica del canto (Dante esalterebbe sé stesso e il proprio valore artistico mentre si stigmatizza il peccato di superbia)? Motiva la tua risposta.


15 Quale concetto sottolinea il paragone presente ai vv. 106-108 di Purgatorio, XI (T25)?

COMPETENZE LINGUISTICHE

16 In Inferno XXXIII, v. 94, Dante usa il termine brama, che indica un desiderio molto intenso. Con l’aiuto del dizionario dei sinonimi individua almeno cinque sinonimi di “desiderio”, disponili secondo una gradazione d’intensità e poi scrivi una frase per ciascuno di essi.

Produrre

17 Scrivere per esprimere. Prendendo come spunto il brano di Purgatorio, XI (T25), rifletti sulla presenza della superbia nella società contemporanea. Chi sono i superbi di oggi? Un simile atteggiamento si manifesta anche tra le persone che conosci e frequenti? In quali modi si esprime? Di contro: nel mondo di oggi l’umiltà ti sembra sia ancora considerata un valore? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento