T21 - Guido da Montefeltro (Inferno)

T21

Guido da Montefeltro

Inferno, XXVII, 85-123

La vicenda di Guido da Montefeltro (da lui stesso raccontata a Dante in questi versi) offre al poeta l’occasione di insistere sulla decadenza e sulla responsabilità della Chiesa nel fomentare guerre e divisioni tra i cristiani. Guido viene convinto da Bonifacio VIII – definito, con notevole virulenza polemica, lo principe d’i novi Farisei – a offrirgli i suoi consigli affinché riesca a sconfiggere una fazione avversa, capeggiata dalla famiglia dei Colonna, contro la quale il pontefice aveva indetto addirittura una crociata (1297). L’uomo esita, poiché si è pentito dei precedenti consigli fraudolenti, e, dopo essere entrato nell’ordine francescano, si prepara a morire santamente. Ma Bonifacio lo persuade a fornirgli il suggerimento che gli serve, promettendogli un’assoluzione preventiva dal peccato che gli sta chiedendo di commettere. In particolare il poeta ritiene inefficace tale assoluzione, concessa per pura opportunità politica e in assenza di pentimento, e dunque facendo violenza a quel potere spirituale di cui il papa è indegno amministratore. Non a caso Guido verrà punito nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio tra i consiglieri fraudolenti.

«[…]

Lo principe d’i novi Farisei,

avendo guerra presso a Laterano,

87    e non con Saracin né con Giudei,


ché ciascun suo nimico era cristiano,

e nessun era stato a vincer Acri

90    né mercatante in terra di Soldano,


né sommo officio né ordini sacri

guardò in sé, né in me quel capestro

93    che solea fare i suoi cinti più macri.

Ma come Costantin chiese Silvestro

d’entro Siratti a guerir de la lebbre,

96    così mi chiese questi per maestro


a guerir de la sua superba febbre;

domandommi consiglio, e io tacetti

99    perché le sue parole parver ebbre.

E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;

finor t’assolvo, e tu m’insegna fare

102 sì come Penestrino in terra getti.

Lo ciel poss’io serrare e diserrare,

come tu sai; però son due le chiavi

105 che ’l mio antecessor non ebbe care”.

Allor mi pinser li argomenti gravi

là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,

108 e dissi: “Padre, da che tu mi lavi


di quel peccato ov’io mo cader deggio,

lunga promessa con l’attender corto

111 ti farà trïunfar ne l’alto seggio”.

Francesco venne poi, com’io fu’ morto,

per me; ma un d’i neri cherubini

114 li disse: “Non portar: non mi far torto.


Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini

perché diede ’l consiglio frodolente,

117 dal quale in qua stato li sono a’ crini;


ch’assolver non si può chi non si pente,

né pentere e volere insieme puossi

120 per la contradizion che nol consente”.

Oh me dolente! come mi riscossi

quando mi prese dicendomi: “Forse

123 tu non pensavi ch’io loïco fossi!”.

[…]».

 >> pagina 360 

T22

Marco Lombardo

Purgatorio, XVI, 97-129

Marco Lombardo, un uomo di corte vissuto nella seconda metà del Duecento nell’Italia settentrionale, spiegando a Dante come agisca il libero arbitrio dell’uomo (cioè la possibilità che ciascun essere umano possiede di scegliere il bene o il male) individua la responsabilità della corruzione sociale e civile nella debolezza dell’Impero. Tuttavia egli attribuisce di fatto la colpa di tale debolezza all’autorità papale, che, con ingerenza soffocante, ha spento l’autorità imperiale. La causa della corruzione che lacera la società civile è dunque individuata con precisione nella degenerazione del Papato, che, dichiarata ingiustamente e illegittimamente la vacatio imperii (cioè l’assenza di un impero legittimo), ha avocato a sé gli uffici propri del potere imperiale.

Alla corruzione del presente, Marco Lombardo contrappone il tempo in cui soleva Roma, che ’l buon mondo feo, / due soli aver, che l’una e l’altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo (vv. 106-108). Dante supera così la metafora consueta che indicava il Papato con il sole e l’Impero con la luna, cioè con un astro minore rispetto al primo. Ora egli approda alla nuova metafora dei due soli, due guide che devono condurre l’umanità su due diverse strade: e del mondo e di Deo ( T4, p. 274).

«[…]

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

Nullo, però che ’l pastor che procede,

99    rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;


per che la gente, che sua guida vede

pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,

102 di quel si pasce, e più oltre non chiede.

Ben puoi veder che la mala condotta

è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,

105 e non natura che ’n voi sia corrotta.

Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,

due soli aver, che l’una e l’altra strada

108 facean vedere, e del mondo e di Deo.

L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada

col pasturale, e l’un con l’altro insieme

111 per viva forza mal convien che vada;


però che, giunti, l’un l’altro non teme:

se non mi credi, pon mente a la spiga,

114 ch’ogn’erba si conosce per lo seme.

In sul paese ch’Adice e Po riga,

solea valore e cortesia trovarsi,

117 prima che Federigo avesse briga;


or può sicuramente indi passarsi

per qualunque lasciasse, per vergogna,

120 di ragionar coi buoni o d’appressarsi.

Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna

l’antica età la nova, e par lor tardo

123 che Dio a miglior vita li ripogna:


Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo

e Guido da Castel, che mei si noma,

126 francescamente, il semplice Lombardo.

Dì oggimai che la Chiesa di Roma,

per confondere in sé due reggimenti,

129 cade nel fango, e sé brutta e la soma».

 >> pagina 362 

T23

L’antica Firenze di Cacciaguida

Paradiso, XV, 97-129

Dante rimpiange il passato, un tempo in cui il mondo era ordinato e i poteri in equilibrio tra loro, come nell’Italia del Nord ai tempi di Marco Lombardo. Allo stesso modo al suo trisavolo Cacciaguida – che il poeta incontra nei canti centrali del Paradiso (XV-XVII) tra gli spiriti combattenti per la fede (Cacciaguida aveva preso parte alla prima crociata) – Dante fa pronunciare un elogio, commosso e al contempo indignato, della Firenze del primo Duecento: un’epoca di solidi valori morali, molto lontana dalla corruzione dei tempi presenti. Se una critica si può muovere a Dante, essa è relativa al fatto che il poeta appare rivolto al passato (un passato peraltro fortemente idealizzato): alla crisi del suo tempo non sembra in grado di contrapporre soluzioni innovative. Più che interpretare la direzione dei cambiamenti in atto, egli vagheggia un mondo di fatto irrimediabilmente tramontato.

Fiorenza dentro da la cerchia antica,

ond’ella toglie ancora e terza e nona,

99    si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura

102 che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre, che ’l tempo e la dote

105 non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;

non v’era giunto ancor Sardanapalo

108 a mostrar ciò che ’n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto

111 nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid’io andar cinto

di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio

114 la donna sua sanza ’l viso dipinto;


e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio

esser contenti a la pelle scoperta,

117 e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla

120 era per Francia nel letto diserta.

L’una vegghiava a studio de la culla,

e, consolando, usava l’idïoma

123 che prima i padri e le madri trastulla;


l’altra, traendo a la rocca la chioma,

favoleggiava con la sua famiglia

126 d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia

una Cianghella, un Lapo Salterello,

129 qual or saria Cincinnato e Corniglia.

 >> pagina 364 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In Inferno, XXVII, 85-123 (T21), a parlare è Guido da Montefeltro. Secondo l’accusa dantesca, Bonifacio VIII non ha esitato a svilire le proprie prerogative spirituali (come quella, tipica del sacerdote, di rimettere i peccati) per basse ragioni di interesse personale. In realtà quello messo in atto dal papa è un inganno: non ci si può pentire ed essere assolti da una colpa e al tempo stesso commetterla; il pentimento e l’assoluzione possono soltanto seguire cronologicamente il peccato, certamente non precederlo.

Così Guido da Montefeltro è stato raggirato da questo pontefice politicante, che è l’esatto opposto di ciò che per Dante dovrebbe essere un papa. Anziché bandire crociate contro i musulmani, per recuperare i territori “santi” (cioè la Palestina, dove Gesù era nato, vissuto, morto e risorto), Bonifacio considera propri nemici gli stessi cattolici, che egli contribuisce a dividere tra di loro con la sua partigianeria. La battuta finale del diavolo (Forse / tu non pensavi ch’io loïco fossi!, vv. 122-123) risveglia bruscamente Guido dall’illusione di essere stato veramente assolto, mettendo in evidenza l’inganno di cui egli è stato fatto oggetto da parte di Bonifacio.

In Purgatorio, XVI, 97-129 (T22), Dante considera vacante ai propri tempi la funzione dell’imperatore, poiché il Papato ne ha usurpato i compiti, che di fatto non gli competono. Il pontefice va davanti al suo gregge e lo guida (procede, v. 98), è in grado di ruminare (rugumar può, v. 99), cioè ha la prerogativa di comprendere e spiegare la dottrina cristiana, ma non ha le unghie divise (non ha l’unghie fesse, v. 99), ovvero non può applicare le leggi nella sfera temporale. Questo è un compito che il papa farebbe bene a lasciare – com’era in passato – all’imperatore. Secoli prima Roma aveva infatti instaurato l’ordine e la civiltà sulla terra, fondando una monarchia universale (l’Impero) che aveva unificato il mondo nel segno della pace, predisponendolo ad accogliere, nella pienezza dei tempi, l’avvento di Cristo.

Per bocca di Marco Lombardo, Dante esprime la propria nostalgia per un mondo non ancora corrotto come quello in cui si trova a vivere e per la società di un passato non troppo lontano (antecedente di circa un secolo), in cui erano ancora diffuse le qualità cavalleresche (valore e cortesia, v. 116), prima che avesse inizio, nella prima metà del XIII secolo, il contrasto tra il Papato e l’imperatore Federico II. Dante vede l’Italia settentrionale del proprio tempo come una terra di corruzione e di malvagità: le persone buone si contano sulle dita di una mano e sono talmente circondate da esempi di cattiveria che esse desidererebbero morire al più presto pur di non assistere a questa degenerazione.

La stessa idealizzazione del passato che abbiamo trovato in Purgatorio, XVI, 97-129 (T22) ritorna in Paradiso, XV, 97-129 (T23) a proposito della città di Dante, la tanto amata e per altri versi odiata Firenze: amata in sé, per la sua storia, le sue radici, i propri ricordi personali; odiata per i politici intriganti che ora la dominano. Cacciaguida dipinge una città pacifica, appagata dei suoi costumi semplici e onesti, senza lussi eccessivi, con famiglie patriarcali ricche di virtù. La città era piccola: secondo l’interpretazione letterale del passo, il panorama che si vedeva dal monte Uccellatoio non superava per ampiezza quello dell’antica Roma che si poteva osservare da Monte Mario. Gli uomini più autorevoli di Firenze non indossavano stoffe e metalli preziosi; le loro mogli non usavano truccarsi in viso (ciò era considerato un segno di deriva morale), ma svolgevano le semplici attività domestiche (la filatura, l’accudimento dei figli). La gente non temeva l’esilio e il commercio non veniva praticato in terre lontane dividendo i membri di una stessa famiglia. Attraverso il personaggio di Cacciaguida, Dante espone il proprio sogno nostalgico, contrapponendo quella città ideale alla Firenze corrotta e faziosa dei suoi tempi.

 >> pagina 365 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Sintetizza brevemente, con parole tue, in che cosa consiste l’inganno di Bonifacio VIII ai danni di Guido da Montefeltro di cui si parla nel brano tratto da Inferno, XXVII (T21).


2 In Purgatorio, XVI, 97-129 (T22) che cosa rimprovera Marco Lombardo al Papato?


3 Quali erano le principali caratteristiche degli abitanti di Firenze ai tempi di Cacciaguida descritti in Paradiso, XV, 97-129 (T23)?

Analizzare

4 Che tipo di proposizione è però che, giunti, l’un l’altro non teme (Purgatorio, XVI, 112, T22)?


5 In idïoma (Paradiso, XV, 122, T23) quale funzione hanno i due punti sopra la seconda i? Nei tre brani qui antologizzati il fenomeno compare altrove?


6 Nel verso Bellincion Berti vid’io andar cinto (Paradiso, XV, 112, T23) ci sono due figure retoriche. Quali?

Interpretare

7 Perché al v. 93 di Inferno, XXVII (T21) Dante usa il passato solea nella sua osservazione sulle caratteristiche dei francescani?


8 Perché ai vv. 94-97 di Inferno, XXVII (T21) Dante introduce un confronto tra papa Silvestro e papa Bonifacio VIII?


9 In Inferno, XXVII, 85-123 (T21), quali ragioni inducono Guido ad acconsentire alla richiesta di Bonifacio?

Produrre

10 Scrivere per esprimere. Prepara una presentazione in PowerPoint dei tre brani antologizzati: per ogni brano dovrai elaborare almeno 10 slide, accompagnate anche da immagini pertinenti (che potrai scegliere da Internet).

Dibattito in classe

11 Nei tre brani che hai letto, Dante delinea quelle che, secondo lui, sono le cause della corruzione e del male nel mondo: sei d’accordo con lui? Pensi che la sua disamina sia ancora valida oggi o che essa debba essere rivista e corretta? Discutine con i compagni.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento