Antologia della Divina Commedia

CANTO XXXIII Paradiso 126 O luce etterna che sola in te sidi, sola t intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! [124-126] O luce eterna che risiedi (sidi) solamente (sola) in te [stessa], solamente da te stessa ti comprendi (t intendi) e, da te stessa (te) compresa (intelletta) e nel comprenderti ti ami e ti sorridi! 129 Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, [127-129] Quel cerchio (circulazion) che sembrava (pareva) generato (concetta) in te così (sì) come una luce (lume) riflessa (reflesso), dai miei occhi a lungo (alquanto) osservata con attenzione (circunspetta), 132 dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che l mio viso in lei tutto era messo. [130-132] al suo interno (dentro da sé), mi sembrò (parve), con il (del) suo stesso colore, dipinta (pinta) con la nostra immagine (effige): perciò il mio sguardo (viso) era tutto concentrato (messo) in lei. 135 Qual è l geomètra che tutto s affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond elli indige, [133-135] Come è il ( l) geometra che tutto si concentra (s affige) nel misurare il cerchio e, pur riflettendoci (pensando), non ritrova quel principio del quale (ond elli) ha bisogno (indige) [per risolvere il problema], 138 tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l imago al cerchio e come vi s indova; [136-138] così ero (era) io a quella vista straordinaria (nova): volevo (voleva) vedere come l immagine (imago) [umana] si adattasse (convenne) alla forma circolare (al cerchio) e come vi si collocasse (s indova); 141 ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. [139-141] ma le mie ali (penne) non erano (eran) [capaci] di tanto (ciò): se non che la mia mente fu colpita (percossa) da una folgorante illuminazione (fulgore) in cui si compì (venne) il suo desiderio (voglia). 144 A l alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e l velle, sì come rota ch igualmente è mossa, 145 l amor che move il sole e l altre stelle. [142-144] A questo punto (qui) vennero meno (mancò) le forze (possa) alla mia massima (alta) facoltà immaginativa (fantasia); ma già l amore che muove il Sole e le altre stelle [Dio] volgeva il mio desiderio (disio) e la mia volontà (velle), così come il cielo (rota) viene [da lui] messo in movimento (mossa) in modo regolare (igualmente) [ovvero: circolare]. 124-126. O luce etterna arridi: è rappresentato, in questi versi, il complesso concetto teologico della Trinità divina, cioè il mistero per cui Dio, pur possedendo un unica natura, riunisce in sé tre distinte persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La luce di Dio Padre non può essere contenuta che in sé stessa, come Figlio è compresa da sé e, comprendendosi, gioisce d amore (Spirito Santo). 127-132. Quella messo: è qui descritta la terza fase della visione, cioè il mistero dell incarnazione, il dogma della coesistenza in Dio delle due nature, divina e umana. Il secondo cerchio, che si presenta come luce riflessa dal primo, svela all attenta osservazione di Dante l immagine umana (nostra effige) dello stesso colore del cerchio, quindi indistinguibile. 133-138. Qual è s indova: con questa similitudine*, l ultima del poema, Danteautore paragona Dante-personaggio a un matematico (geomètra) che cerca vanamente (e non ritrova) il principio razionale (il rapporto tra diametro e circonferenza) di cui ha bisogno per il calcolo della quadratura del cerchio. Allo stesso modo il pellegrino si affatica di fronte a quell apparizione straordinaria (vista nova) per comprendere come la figura umana si adatti (come si convenne) al cerchio e come possa trovarvi posto (s indova è un neologismo* formato dall unione della preposizione in e dell avverbio dove). Anche l incarnazione, come i tre princìpi già svelati, è dunque una verità impossibile da spiegare con gli strumenti del pensiero razionale. 139-141. ma venne: il dogma dell incarnazione non è comprensibile da un uomo, quale è Dante, per vie razionali, ma attraverso un estasi mistica l illuminazione divina (fulgore) che amplia a dismisura l intelletto umano e appaga l anima in una dimensione interamente soprannaturale. Penne è una sineddoche* per ali e quindi per volo : indica metaforicamente le capacità cognitive. 142-144. A l alta mossa: la capacità del poeta di rappresentare la sua visione, raggiunto il punto più alto della propria realizzazione, viene meno, ma Dante ha ormai conquistato la condizione dei beati, per cui ogni suo desiderio di sapere e la volontà di ricercare la verità divina (mio desio e l velle) coincidono con il volere di Dio. Ormai il suo desiderio e la sua volontà si muovono all unisono con il moto impresso da Dio alle sfere celesti, e quindi in maniera circolare e regolare. 145. l amor stelle: la perifrasi* in piena corrispondenza con il verso iniziale della cantica: La gloria di colui che tutto move indica Dio, motore immobile del Sole e dell intero universo con la potenza del proprio amore. 343

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