Nella Commedia... e oltre

NELLA COMMEDIA... DALLA STORIA ALLA COMMEDIA Il destino degli esuli Il doloroso tema dell esilio che attraversa il XVII canto del Paradiso è ulteriormente esacerbato dal fatto che, come spiega Cacciaguida, gli altri guelfi bianchi cacciati da Firenze finiranno per comportarsi in maniera incosciente e velleitaria al punto che Dante sarà lieto di aver fatto parte per se stesso, perché per le loro folli decisioni finiranno con la testa rotta (n avrà rossa la tempia). Probabilmente Cacciaguida sta qui alludendo alla battaglia della Lastra, del 20 luglio 1304, quando i guelfi bianchi assaltarono Firenze nel tentativo di riconquistarla. In verità, se si legge il racconto che di quell evento fece un diretto testimone, lo storico Giovanni Villani (ca. 1280-1348), si scopre che il tentativo dei guelfi non fu così folle: venuti i detti nemici giù per le Borgora verso la città, si schierarono in sul Casaggio di costa alla Chiesa de Servi e furono più di 1200 cavalieri e Corso Donati, particolare di una miniatura dal ms. Chigiano L.VIII.296 della Cronica di Giovanni Villani, XIV secolo. I VIAGGI LETTERARI E OLTRE popolo grandissimo per molti contadini che li avevano seguiti e di quelli dentro Ghibellini e Bianchi usciti in loro aiuto. I guelfi bianchi avrebbero davvero potuto riconquistare la città visto che entraro delle loro insegne dentro infino presso alla piazza di San Giovanni; e se la schiera grossa che era in Casaggio fosse venuta appresso verso la terra ed assalita alcuna altra porta, di certo non aveano riparo. Fu solo un errore di tattica militare a far vincere i guelfi neri: Nella piazza di San Giovanni erano ragunati tutti i valenti uomini Guelfi che intendean alla difesa della città, non però gran quantitade, forse 200 cavalieri e cinquecento pedoni, e con forza di balestre grosse, ripinsono i nimici fuori della porta, con danno d alquanti presi e morti. La novella andò alla Lastra a Bolognesi per loro spie e rapportarono che e loro amici erano rotti e sconfitti, incontamente senza sapere il certo, che non era però vero, si missero in via chi meglio poteva fuggire [ ] E quelli della schiera grossa del Casaggio, avuta la novella della Lastra, [ ] incontamente impauriro [ ] cominciaronsi a sfilare e uscirsi di schiera, e partirsi in fuga gittando l armi [ ] onde molti de nimici morirono per ferro e per trafelare, e rubati l arme e cavalli, e certi presi furono impiccati in su la piazza di San Gallo e per la via in su li alberi. Gli echi di Cacciaguida nei poeti italiani del Novecento Nel corso di questi Viaggi letterari ci siamo imbattuti spesso in poeti stranieri che si rifacevano a celebri momenti della Divina commedia: nei casi di Walcott, Heaney, Eliot, il richiamo è diretto e vuol far ricordare al lettore un preciso episodio del poema dantesco. I poeti italiani del secolo scorso invece sono in genere più allusivi, recuperando la Commedia in maniera più indiretta, attraverso versi, stilemi, sequenze di rime. Guido Gozzano, per esempio, nel poemetto Paolo e Virginia (I figli dell infortunio) racconta di due giovani amanti che, dopo un periodo di felicità insieme, vengono separati: Virginia, chiamata in Francia dalla zia, muore in un naufragio. Paolo, rivolgendosi nel ricordo all amata, descrive così la fine del loro idillio: Ma giunse l ora che non ha conforto. / Seco ti volle nei suoi feudi vasti / la zia di Francia, perfida in vedetta. / Il viceré ti fece trarre al porto / dalle sue genti barbare! E lasciasti / lacrimando la terra benedetta, / ogni cosa diletta / più caramente, per la nave errante! Vi si riconosce il ricordo dei versi danteschi: Tu lascerai ogne cose diletta / più caramente. Pier Paolo Pasolini, nel poemetto La realtà (incluso in Poesia in forma di rosa), nel descrivere la condizione agiata dei ricchi borghesi dei quali riconosce le facce per la strada e nei bar, scrive: Ai lati, altre due faccie, ben riconoscibili, / faccie che per strada, in un bar affollato, / sono le faccie deboli, poco sane, / di precoci invecchiati, di malati / di fegato: di borghesi il cui pane / certo non sa di sale. Anche qui è impossibile non riconoscere il come sa di sale / lo pane altrui del canto dantesco. Infine il poeta Giovanni Giudici, nella sua raccolta La vita in versi, assume la responsabilità che comporta descrivere in modo veritiero la vita degli esseri umani: Metti in versi la vita, trascrivi / fedelmente, senza tacere / particolare alcuno, l evidenza dei vivi (La vita in versi). Una concezione del poeta che sembra davvero simile a quella che Cacciaguida spiega a Dante quando gli raccomanda di scrivere il vero ad ogni costo. La conferma di questo rapporto diretto con l insegnamento di Cacciaguida si ritrova nel componimento L educazione cattolica laddove, narrando la vita di un uomo che aveva compiuto una sola azione infame nella sua vita, Giudici chiosa scrivendo: La verità è piuttosto che la virtù è insopportabile, / sta addosso come una rogna / e non te ne puoi liberare / che con infamia e vergogna. Dove, a questo punto, è facile riconoscere un ricordo di lascia pur grattar dov è la rogna. 327

Antologia della Divina Commedia
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