Antologia della Divina Commedia

CANTO XVII Paradiso 102 Poi che, tacendo, si mostrò spedita l anima santa di metter la trama in quella tela ch io le porsi ordita, [100-102] Dopo che (Poi che) l anima santa, tacendo, si mostrò liberata (spedita) dal mettere la trama su quella tela che io gli avevo dato (porsi) ordita, 105 io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: [103-105] io cominciai [a chiedere] come colui che si trova nel dubbio (dubitando) e desidera (brama) il consiglio da una persona che vede bene le cose (vede... dirittamente), ha giusti desideri (vuol dirittamente) e prova affetto (ama) [per chi chiede il consiglio]: 108 «Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch è più grave a chi più s abbandona; [106-108] «Vedo (veggio) bene, o padre mio, come il tempo mi incalza (sprona... verso di me) per darmi un colpo tale che è più grave [da reggere] per chi più si scoraggia (s abbandona); 111 per che di provedenza è buon ch io m armi, sì che, se loco m è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi. [109-111] fatto per il quale (per che) è bene (buon) che io mi armi di previdenza (provedenza) così che (sì che), se [pure] mi viene tolto (m è tolto) il luogo (loco) più amato (caro), io non perda (perdessi) li altri [possibili rifugi] a causa delle mie poesie (miei carmi). 114 Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro, [112-114] Giù nel mondo eternamente (sanza fine) doloroso (amaro) [l Inferno], e su per il monte dalla cui (del cui) bella (bel) vetta (cacume) mi sollevarono (levaro) gli occhi della mia signora (donna) [il Purgatorio], 117 e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s io ridico, a molti fia sapor di forte agrume; [115-117] e poi (poscia) per il cielo, di stella (lume) in stella (lume), io ho appreso cose (quel) che se io dovessi ripeterle (ridico) avrebbero (fia) per molti (a molti) sapore di aspri (forte) ortaggi (agrume); 120 e s io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico . [118-120] e se io (s io) dovessi essere (son) debole (timido) amico della verità (al vero) temo di perdere vita (viver) presso quelli (coloro) che chiameranno antico questo tempo . 123 La luce in che rideva il mio tesoro ch io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d oro; [121-123] La luce in cui (in che) risplendeva di gioia ridendo (rideva) il mio gioiello (tesoro), che io avevo incontrato (trovai) lì, dapprima (prima) si fece (si fé) lampeggiante (corusca), come (quale) uno specchio d oro [colpito da] un raggio di Sole; precisazione che le insidie del proprio destino si manifesteranno nel giro di pochi anni. Tuttavia Cacciaguida esorta Dante a non odiare i propri concittadini per l imminente esilio, perché egli vivrà ben oltre il momento in cui saranno punite le loro malvagità. Si noti il neologismo* s infutura. 100-105. Poi ama: riprendendo una metafora* tratta dal mondo della tessitura utilizzata anche nel canto III del Paradiso per Piccarda Donati Cacciaguida, appena terminato di porre la trama (le risposte) sull ordito delle domande che gli aveva posto Dante, tace (l ordito è l insieme dei fili posti per primi sul telaio, sui quali si intesse con la spoletta la trama, formata da fili intrecciati perpendicolari ai primi). Il poeta gli rivolge una nuova domanda, essendo l avo persona sapiente, giusta e benevola (che vede e vuol dirittamente e ama) e quindi un buon consigliere. 106-111. Ben veggio carmi: Dante confessa al proprio congiunto (padre mio è la risposta al figlio del v. 94) il timore di perdere, oltre all amata Firenze (loco più caro), altri rifugi (li altri) a causa della propria opera poetica (per i miei carmi). Tra i versi 106-107 e 107-108 si osservano due forti enjambement*, funzionali ad accentuare il senso di angoscia che opprime l animo del futuro esule. 108. ch è più grave s abbandona: la sferzata del destino è tanto più dolorosa quanto più coglie impreparati. 112-117. Giù agrume: Dante teme che se riporterà nel proprio poema le rivelazioni e le severe condanne apprese durante il viaggio ultraterreno, esse risulteranno sgradite a molti. La parola agrume non aveva, all epoca di Dante, lo stesso significato odierno: indicava infatti ortaggi dal sapore particolarmente acuto e sgradevole, come l aglio o la cipolla. 118-120. e s io antico: Dante palesa qui il timore opposto: se non sarà fedele alla verità, tacendo o rendendo meno critico quanto appreso nel corso del suo viaggio, perderà fama e onore presso i posteri (coloro / che questo tempo chiameranno antico) cadendo nell oblio. 121-126. La luce brusca: Cacciaguida, anima luminosa e preziosa presenza pater- 323

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