Antologia della Divina Commedia

CANTO XXXIII Inferno 45 Già eran desti, e l ora s appressava che l cibo ne sol a essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava; [43-45] Erano già svegli, e si avvicinava (s appressava) l ora in cui (che) il cibo era solito (sol a) esserci portato (ne... addotto), e a causa del suo sogno ciascuno temeva (dubitava); 48 e io senti chiavar l uscio di sotto a l orribile torre; ond io guardai nel viso a mie figliuoi sanza far motto. [46-48] e io sentii inchiodare (chiavar) l ingresso (uscio) di sotto dell orribile torre; per cui (ond ) io guardai nel viso i miei figli senza dir parola (far motto). 51 Io non piang a, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: Tu guardi sì, padre! che hai? . [49-51] Io non piangevo, a tal punto (sì) dentro ero diventato di pietra (impetrai): piangevano essi (elli); e il mio Anselmuccio disse: Tu ci guardi così (sì), padre! Che hai? . 54 Perciò non lagrimai né rispuos io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l altro sol nel mondo uscìo. [52-54] Perciò io non lacrimai né risposi per tutto quel giorno né per la notte successiva (appresso), finché (infin che) nel mondo sorse (uscìo) un nuovo Sole (altro sol). 57 Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso, [55-57] Non appena (Come) un debole (un poco di) raggio entrò (si fu messo) nel doloroso carcere, e io vidi in quattro volti (visi) il mio stesso aspetto, 60 ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch io l fessi per voglia di manicar, di sùbito levorsi [58-60] per il dolore mi morsi entrambe (ambo) le mani; ed essi (ei), pensando ch io lo facessi ( l fessi) per la voglia di mangiare (manicar), subito si alzarono (levorsi) 63 e disser: Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia . [61-63] e dissero: Padre, ci sarà (ci fia) assai meno doloroso (doglia) se tu mangi noi (di noi): tu ci hai dato (ne vestisti) queste misere carni, e tu spogliacene . 66 Queta mi allor per non farli più tristi; lo dì e l altro stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t apristi? [64-66] Allora mi calmai (Queta mi ) per non renderli (farli ) più tristi; quel giorno (lo dì) e il successivo (l altro) stemmo tutti zitti (muti); ahi terra spietata (dura), perché non ti apristi [sotto di noi]? 69 Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a piedi, dicendo: Padre mio, ché non m aiuti? . [67-69] Dopo che (Poscia) arrivammo (fummo... venuti) al quarto giorno (dì), Gaddo mi si gettò (gittò) disteso ai piedi, dicendo: Padre mio, perché (ché) non mi aiuti? . 72 Quivi morì; e come tu mi vedi, vid io cascar li tre ad uno ad uno tra l quinto dì e l sesto; ond io mi diedi, [70-72] A quel punto (Quivi) morì; e come tu vedi me, io vidi cader [gli altri] tre a uno a uno, tra il quinto giorno (dì) e il sesto; per cui (ond ) io mi misi (diedi), 45. per suo sogno dubitava: come Ugolino, anche i figli hanno avuto un sogno premonitore, a causa del quale temono di essere lasciati senza cibo. 50. Anselmuccio: diminutivo affettuoso ancora un frammento di lingua quotidiana che riprende i termini figliuoli e figliuoi dei versi 38 e 48. 57. quattro visi stesso: Ugolino vede il suo aspetto emaciato riflesso nei volti scavati dei figli, digiuni da giorni. 66. dura terra: il dolore porta Ugolino a esclamare contro la terra, colpevole di non essersi aperta per inghiottirli e di non aver risparmiato loro l orribile esito della vicenda. 119

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