Il tesoro della letteratura - volume 3

Luigi Pirandello egli mostra gli aspetti fenomenici della società umana, svuotandoli di senso e svelando il nulla che vi si annida. La voce popolare del teatro italiano Verso tutt altri esiti, con intenti e linguaggi disparati, si dirigono alcune esperienze teatrali italiane. Un tema comune può essere rintracciato nella riscoperta della spontanea recitazione del teatro popolare, in cui sono visibili l eredità della commedia dell arte. Tornano così a essere protagonisti del palcoscenico l improvvisazione e l estro di singoli attori, capaci di riempire la scena con la loro esuberanza. In questo contesto le commedie del napoletano Eduardo De Filippo (1900-1984), sviluppando il teatro dialettale ottocentesco, ripropongono al pubblico la maschera più celebre della tradizione popolare partenopea, Pulcinella. La vena essenzialmente farsesca, però, dopo il 1945 si apre a una più approfondita riflessione su tematiche sia esistenziali sia sociali, non senza intenti di polemica civile. Fra le opere più famose di De Filippo si ricordano Natale in casa Cupiello (1931), Napoli milionaria (1945), Filumena Marturano (1946). In esse si delineano scenari popolari, ambienti quotidiani e domestici degradati e carichi di sofferenza (in particolare in Filumena Marturano, 1946). Una variazione sul tema dell improvvisazione popolare può essere considerata anche l arte della recitazione di Car melo Bene (1937-2002): regista, attore, scrittore, uomo di teatro a tutto tondo, egli conduce una critica radicale al valore del te sto scritto, mostrandone la sostanziale estraneità ai problemi pratici del linguaggio scenico. Il testo predisposto da uno scrittore non può essere interpretato, ma deve necessariamente essere ricreato dall attore. Bene inaugura, quindi, un nuovo tipo di teatro, che definisce «scrittura di scena , in cui è centrale la figura dell attore, artefice totale che supera sé stesso diventando «macchina attoriale . Nel recupero della tradizione popolare medievale si inserisce infine il teatro di Dario Fo (1926), insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1997, perché si legge nella motivazione «seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi . Nel suo teatro sono riconoscibili due direzioni di ricerca: una destinata a condurre una satira politica pungente e spietata, l altra volta ad attuare un profondo rinnovamento del linguaggio teatrale, attraverso la comicità clownesca tipica della commedia dell arte e della tradizione giullaresca. Per dare un ritmo originale al suo paradossale umorismo, Dario Fo ha inventato una vera e propria lingua, il «grammelot , un ibrido scherzoso che, in particolare nel celebre monologo Mistero buffo (1969), sfrutta l effetto parodico di un accostamento di suoni dei quali non conta il significato, ma il significante, e in particolare il ritmo. Altri celebri monologhi di Fo sono Johan Padan a la Descoverta de le Americhe (1991) e Ruzante (1995). La comicità di questa esperienza teatrale, comunque, non risiede soltanto nel pastiche linguistico, ma anche nella schiera di personaggi da sottobosco che popolano le commedie: ubriachi, prostitute, truffatori pieni d inventiva, matti che ragionano meglio dei sani e altre figure relegate ai margini della società. A questi grotteschi individui è affidato un messaggio positivo e una libertà d espressione che consente di superare le barriere delle costrizioni istituzionali. Fra le caratteristiche più note della satira di Dario Fo vi sono, infatti, l anticonformismo e l anticlericalismo, che segnano l impronta militante del suo teatro. 675

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi