T5 - La morte di Gesualdo (Mastro-don Gesualdo)

Il secondo Ottocento ¥ T5 ¥ La morte di Gesualdo Mastro-don Gesualdo, IV, cap. 5 Riportiamo le pagine finali del romanzo. Gesualdo, nel palazzo ducale del genero, assiste impotente e rassegnato al disfacimento di tutto ciò che ha costruito. Abbandonato dai familiari, rifiutato dalla nobiltà, egli vorrebbe almeno stabilire un dialogo sincero con la figlia Isabella. Ma ciò non è possibile e la fine è straziante e spietata. La triste fine di un uomo solo 5 10 15 La servitù e il declino del patrimonio 20 25 30 [...] Talché don Gesualdo scendeva raramente dalla figliuola. Ci si sentiva a disagio col signor genero; temeva sempre che ripigliasse l antifona1 dell alter ego. Gli mancava l aria, lì fra tutti quei ninnoli. Gli toccava chiedere quasi licenza al servitore che faceva la guardia in anticamera per poter vedere la sua figliuola, e scapparsene appena giungeva qualche visita. L avevano collocato in un quartierino al pian di sopra, poche stanze che chiamavano la foresteria, dove Isabella andava a vederlo ogni mattina, in veste da camera, spesso senza neppure mettersi a sedere, amorevole e premurosa, è vero, ma in certo modo che al pover uomo sembrava d essere davvero un forestiero. Essa alcune volte era pallida così che pareva non avesse chiuso occhio neppur lei. Aveva una certa ruga fra le ciglia, qualcosa negli occhi, che a lui, vecchio e pratico del mondo, non andavan punto a genio. Avrebbe voluto pigliarsi anche lei fra le braccia, stretta stretta, e chiederle piano in un orecchio: «Cos hai? dimmelo! Confidati a me che dei guai ne ho passati tanti, e non posso tradirti! . Ma anch essa ritirava le corna come fa la lumaca. Stava chiusa, parlava di rado anche della mamma, quasi il chiodo le fosse rimasto lì, fisso accusando lo stomaco peloso dei Trao,2 che vi chiudevano il rancore e la diffidenza, implacabili! Perciò lui doveva ricacciare indietro le parole buone e anche le lagrime, che gli si gonfiavano grosse grosse dentro, e tenersi per sé i propri guai. Passava i giorni malinconici dietro l invetriata,3 a veder strigliare i cavalli e lavare le carrozze, nella corte vasta quanto una piazza. Degli stallieri, in manica di camicia e coi piedi nudi negli zoccoli, cantavano, vociavano, barattavano delle chiacchiere e degli strambotti4 coi domestici, i quali perdevano il tempo alle finestre, col grembialone sino al collo, o in panciotto rosso, strascicando svogliatamente uno strofinaccio fra le mani ruvide, con le barzellette sguaiate, dei musi beffardi di mascalzoni ben rasi e ben pettinati che sembravano togliersi allora una maschera. I cocchieri poi, degli altri pezzi grossi, stavano a guardare, col sigaro in bocca e le mani nelle tasche delle giacchette attillate, discorrendo di tanto in tanto col guardaportone che veniva dal suo casotto a fare una fumatina, accennando con dei segni e dei versacci alle cameriere che si vedevano passare dietro le invetriate dei balconi, oppure facevano capolino provocanti, sfacciate, a buttar giù delle parolacce e delle risate di male femmine con certi visi da Madonna. Don Gesualdo pensava intanto quanti bei denari dovevano scorrere per quelle mani; 1 l antifona: il discorso ripetuto continua- mente. 2 accusando Trao: rivelando la ritrosia (lo stomaco peloso) tipica dei Trao. «Nel linguaggio parlato il pelo indica una sorta di fascia, di pelle o di pelliccia, in cui si avvolge il segreto, che quindi non si diffonde 190 all esterno, si contiene dentro lo stomaco, ivi chiuso, e impenetrabile (Di Salvo). Il rancore della figlia Isabella è dovuto all imposizione subita da parte del padre Gesualdo, il quale aveva ostacolato il suo amore per il cugino Corrado, imponendole un matrimonio non voluto con il duca di Leyra. 3 invetriata: vetrata. 4 barattavano strambotti: scambiava- no chiacchiere e battute volgari (propriamente gli strambotti sono componimenti poetici d intonazione popolare; qui nel significato di fandonie).

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi