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Un soldato stringe nelle mani un amuleto religioso, a cui affida la semplice ma confortante speranza di un’esistenza al riparo dai pericoli, soprattutto di quello più temuto, la morte. Egli va leggero (v. 4) perché si sente protetto da quell’oggetto sacro, capace di trasmettergli la fede necessaria per uscire indenne dal dolore quotidiano, compresa la barbarie della guerra. Sottoposta al vaglio razionale del poeta, quella sicurezza è sentita come lontana, non raggiungibile, eppure probabilmente invidiata.
A differenza del contadino, che vive rinfrancato dalla propria fede, Ungaretti sente invece il fardello dell’esistenza (il verbo porto del v. 7, si contrappone all’aggettivo leggero del v. 4, indicando il pesante bagaglio morale dichiarato dal titolo): anche se la sua anima è nuda (v. 5), in realtà è gravata dalla corazza del disincanto e della disillusione. Accompagnato solo dalla disperazione e dalla solitudine, il poeta percepisce le conseguenze del proprio scetticismo: il suo dolore sta appunto nel riconoscere il conforto apportato dalla fede, senza però poterlo cogliere.