L’opera
L’allegria
Sarebbe difficile rintracciare nella poesia italiana una parola così pura e carica di valore simbolico come quella di Ungaretti. Nell’Allegria la troviamo depositata nel bianco della pagina – per usare un’espressione del poeta stesso – «come una ferita di luce nel buio», capace così di esprimere senza orpelli la realtà profonda dell’io.
Ciascuna di queste parole denudate concorre a esprimere una rivelazione, tanto più eloquente quanto più tragica, urgente e immediata è l’occasione che l’ha ispirata, fissandola su fogli di fortuna, tra i pidocchi e il fango delle trincee. In tal modo, nel cuore stesso della prima grande catastrofe mondiale che ha sconvolto l’Europa del Novecento, Ungaretti riesce a scavare una nicchia di vitalità, uno spazio in cui la disperazione si compone e perfino si trasforma in meraviglia per l’esistenza e per la poesia.
Una gestazione complessa
La vicenda editoriale L’allegria raccoglie alcuni testi apparsi inizialmente sulla rivista “Lacerba” nel 1915 e riunisce con qualche esclusione i componimenti delle prime due raccolte ungarettiane, Il porto sepolto (composto da 32 poesie), pubblicato nel 1916 grazie all’interessamento di un ufficiale conosciuto al fronte, Ettore Serra, e Allegria di naufragi, edita nel 1919. Dopo un’edizione uscita nel 1923, con la prefazione di Benito Mussolini e ancora con il titolo Il porto sepolto, l’opera subisce una serie di revisioni e rifacimenti, fino alla pubblicazione con il titolo e la struttura definitivi avvenuta nel 1931. Ulteriori varianti vengono poi apportate nelle successive edizioni, datate 1936 e 1942. Quest’ultima confluirà nella raccolta completa dell’opera ungarettiana, uscita nel 1969 con il titolo Vita d’un uomo.
La scelta del titolo L’«allegria» è, come spiega il poeta stesso, «l’esultanza che l’attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strappare al tempo, l’amore più forte che non possa essere la morte». Anche nel momento in cui tutto sembra perduto, quando la desolazione e la morte tentano di prendere il sopravvento sulla felicità e sulla vita, Ungaretti afferma il desiderio di sottrarre l’esistenza all’usura del tempo e alle tragiche circostanze della Storia. Nel titolo originario, Allegria di naufragi, che accostava come in un ossimoro l’immagine dell’“allegria” a quella del “naufragio”, egli intendeva appunto evidenziare l’ambivalenza del vivere, in cui si intrecciano bellezza e morte, entusiasmo e frustrazione. La scelta successiva di esprimere soltanto la valenza positiva corrisponde non solo alla ricerca di un’essenzialità sempre maggiore, ma anche alla volontà di privilegiare l’energia e la brama vitale che costituiscono la natura stessa dell’avventura umana.
Questa visione dell’esistenza contraddistingue tutto lo sviluppo del libro: dalle liriche ambientate nei remoti luoghi d’origine, quando ad Alessandria d’Egitto il poeta si affaccia al paesaggio e ai sentimenti dell’adolescenza, fino all’esperienza vissuta nelle trincee della Grande guerra, dove l’impulso spontaneo di vivere si impone sulla precarietà, sul dolore e sulla strage.
La struttura e i temi
La suddivisione interna dei testi
Articolata in 5 parti di complessive 74 poesie, la raccolta si compone di versi scritti tra il 1914 e il 1919, collocati in modo da rispettare sostanzialmente l’ordine cronologico.
Naufragi e Girovago Da qui in poi, il motivo principale di tutto il resto della raccolta è l’esperienza vissuta da soldato nella Prima guerra mondiale, dalla quale il poeta trae la volontà di «vivere nonostante tutto». La riflessione sull’esistenza si dispiega anche nelle due sezioni Naufragi e Girovago, dove accanto all’istintiva vitalità affiorano la stanchezza interiore, la malinconia e un senso di abbandono che accompagna la presenza incombente della morte.
La guerra
La dimensione corale Per queste ragioni in Ungaretti la dimensione del conflitto non può essere quella privata. I gesti eroici dannunziani e l’entusiasmo futurista sono sostituiti da una vocazione alla coralità: per quanto in sé ripugnante, la guerra permette di riscoprire un’umanità solidale, una visione comunitaria della vita, l’amore e la fratellanza che la civiltà borghese hanno estirpato. In altri termini, la minaccia incombente della morte fa riemergere un sentimento della socialità offerto dal semplice fatto di esistere.
Questo modo di sentire si riverbera nelle immagini adottate dalla poesia di Ungaretti. Esemplare in tal senso è la metafora ricorrente della “fibra” o del “brandello” a cui è ridotto l’essere umano, privato di tutte le fisime superflue della vita civile. La rappresentazione di sé stesso come «una docile fibra / dell’universo» (I fiumi, ▶ T7, p. 839) sottolinea l’esistenza di una sorta di identità comune, che cancella le differenze, abbatte le distanze, supera i confini (di nazione, di lingua, di censo) e accomuna tutte le creature nella cornice della natura, talvolta umanizzata sotto il segno della sofferenza (cfr. l’«albero mutilato» ancora nei Fiumi, v. 1, o il «brandello di muro» in San Martino del Carso, v. 4, ▶ T8, p. 842).
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi