La vita
Un apolide avventuroso
L’infanzia in Egitto Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto dove il padre, di origine lucchese, si era trasferito con la moglie per lavorare come sterratore al canale di Suez. Gli anni dell’infanzia sono fondamentali nella formazione del futuro poeta, a contatto con una serie di ambienti e suggestioni che troveremo poi nella sua opera.
Ad avvicinarlo alla letteratura è soprattutto l’amicizia con Enrico Pea, giovane intellettuale versiliano che in quel tempo abita ad Alessandria dove si dedica al commercio: nella soffitta della segheria-emporio di questi, chiamata la “Baracca rossa”, Ungaretti conosce una varia umanità di transfughi da tutta Europa, accomunati dall’amore per l’arte e dalle idee politiche vicine all’anarchia. Contemporaneamente affina la sua formazione letteraria, studiando soprattutto i testi di Baudelaire, Mallarmé e d’Annunzio, nel quadro di una cultura bilingue (italiana e francese), alimentata dalla vorace lettura di due importanti riviste: la fiorentina “La Voce” e la parigina “Mercure de France”.
Anni difficili
il CARATTERE
Un amore inesauribile per la vita
Compiuti gli ottant’anni d’età, Ungaretti amava dire di averne in realtà quattro volte venti. L’aneddoto è rivelatore: dalla giovinezza fino alla vecchiaia il poeta ha sempre mostrato un’energia singolare, un amore inesauribile per la vita e le sue più varie manifestazioni, nonché una disposizione a coltivare con entusiasmo – non senza una punta di ingenuità – passioni passeggere e persino ideali politici.
Una natura appassionata e generosa
I molti ritratti che ci hanno lasciato di lui amici, giornalisti e letterati concordano infatti nel descriverlo come un uomo intemperante e candido, di indole mutevole e istintivo, nelle simpatie quanto nelle antipatie personali. C’è indubbiamente nel suo temperamento, innata, una dose di anarchia e di anticonformismo, di ribellione e anche di rissosità, sin dai tempi della giovinezza egiziana, quando si mescola al confuso ambiente di intellettuali senza patria finiti per caso o per spirito di avventura in quella sorta di bazar cosmopolita che era Alessandria. Il grande vecchio della letteratura italiana rimane giovane sino alla fine, ben felice di diventare una celebrità televisiva, quando in varie occasioni gli italiani lo ammirano mentre recita dal piccolo schermo i versi propri e dei poeti più amati.
Un attore mancato
Un romanziere a quel tempo famoso, Libero Bigiaretti, ha scritto una volta che Ungaretti, se non fosse stato poeta, sarebbe diventato un grande attore, capace, con la sua dizione fortemente scandita, di esprimere l’emozione della poesia. Egli – dice ancora Bigiaretti – si sentiva sulla scena anche nelle occasioni private, in cui elargiva senza risparmio battute, polemiche esplosive, giudizi ben poco diplomatici, pronunciati con la sua prorompente veemenza.
Eccone un esempio: in una serata di festa, una signora gli chiede che ne pensa del tale poeta. Ungaretti sogghigna, diventa rosso, si contiene e dice dapprima che si tratta di un buon poeta. Poi, ripensandoci, si corregge dicendo che è, semplicemente, un poeta: piccolo, ma poeta. Infine, senza trattenersi più, come se non potesse resistere al peso della menzogna, si lascia andare ad alta voce al giudizio definitivo: non vale nulla, è uno zero. Il poeta in questione era Eugenio Montale.
La maturità, tra successi e polemiche
La morte senza onori di Stato Nel 1970, durante un soggiorno a New York, è ricoverato in clinica per una broncopolmonite. Rientrato in Italia, si stabilisce a Salsomaggiore per curarsi, ma la sua forte fibra è ormai stanca. Recatosi a Milano per alcuni controlli medici, muore nella città lombarda nel giugno di quello stesso anno.
I funerali si svolgono a Roma: il feretro è accompagnato al cimitero del Verano da migliaia di persone, tra cui molti suoi ex allievi.
CRONACHE dal PASSATO
Un’onta da lavare con il sangue
Un duello in piena regola tra due scrittori-spadaccini
Le urla di Massimo Bontempelli, uno tra i massimi protagonisti della scena letteraria del primo Novecento italiano, risuonano nelle sale del celebre Caffè Aragno di Roma: «Dov’è Ungaretti? Dov’è Ungaretti? Dov’è?». È in questo caffè che si incontra l’élite della cultura del tempo: pittori, musicisti, poeti vi si danno convegno per discutere di arte, non senza il pettegolo corredo della mondanità. Accecato dall’ira, Bontempelli si fa strada tra i presenti fin quando gli indicano il poeta, a cui lo lega una già lunga storia di maldicenze e rancori.
Una disputa tra letterati
Pietra dello scandalo è ora un articolo di Ungaretti intitolato Le disgrazie di Bontempelli, pubblicato dal quotidiano “Il Tevere”. Il contenuto consiste in una serie di critiche e di attacchi polemici che il poeta ha lanciato nei confronti del collega. Stavolta, però, lo scrittore offeso pretende vendetta: appena vede il rivale, lo mortifica davanti allo sguardo dei presenti con un sonoro ceffone. È un affronto che il temperamento sanguigno di Ungaretti non può tollerare: si scaglia verso di lui, viene trattenuto a stento, infine gli chiede di risarcire l’umiliazione subita con un duello pubblico.
Un duello per la stampa
Bontempelli accetta: è l’8 agosto 1926. Il teatro della sfida viene offerto da un ospite d’eccezione, Luigi Pirandello, che mette a disposizione dei duellanti il parco della propria villa romana, vicino alla chiesa di Sant’Agnese. Arbitro è il principe degli schermidori, Agesilao Greco, il famoso maestro d’armi. Lo scontro però dura poco. Al terzo assalto, la spada di Bontempelli si infila nell’avambraccio destro di Ungaretti, provocandogli una ferita di tre centimetri. Nulla di grave: i due letterati-spadaccini si rappacificano. In fondo, entrambi hanno salvato l’onore e, soprattutto, l’immagine. Ad assistere al duello, infatti, erano stati invitati fotografi e giornalisti: il giorno dopo, nella vetrina di un famoso libraio romano, campeggia una gigantografia dei duellanti. Sotto, come didascalia, un grande cartello recita: «Ecco il primo poema eroico del Novecento».
Le opere
L’allegria ▶ T3-T10
Sotto questo titolo confluisce nel 1931 la produzione giovanile del poeta, costituita in gran parte dai versi scritti durante la Prima guerra mondiale, editi in precedenza nelle raccolte Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919). Si tratta di poesie assai innovative, soprattutto sul piano stilistico: Ungaretti supera la metrica tradizionale attraverso l’adozione di versi molto brevi, enfatizzando le singole parole, spesso scelte al di fuori del lessico letterario. A quest’opera, ancora oggi considerata la più rappresentativa della poetica di Ungaretti, dedichiamo l’approfondimento nella seconda parte dell’Unità (▶ p. 826).
Sentimento del tempo ▶ T1
Il mutamento dello scenario Invece dei panorami desertici o carsici, presenti nelle raccolte Porto sepolto e Allegria di naufragi, il poeta delinea ora un paesaggio di monti, alberi, boschi e spiagge, animato da ninfe e fauni, lo stesso che avevano cantato i grandi poeti italiani e latini. In primo piano troviamo il panorama laziale (Tivoli e le sue ville, il lago di Albano, il bosco di Marino ecc.), raffigurato per lo più nella stagione estiva.
Uno sfondo privilegiato nella raccolta è però costituito dalla città di Roma, con i suoi monumenti usurati dal tempo. Come scrive lo stesso poeta, Roma «era città dove si aveva ancora il sentimento dell’eterno […]. Quando si è in presenza del Colosseo, enorme tamburo con orbite senz’occhi, si ha il sentimento del vuoto».
La labilità del tempo Questo «sentimento del vuoto» si accresce nell’afa distruttiva dell’estate, quando il sole abbagliante divora le forme, illumina le rovine create dai secoli e svela «il consumarsi senza fine di tutto» (Paesaggio). Anche le immagini della natura esprimono il fluire inesorabile del tempo, il trascorrere delle ore e delle stagioni fino a prefigurare una futura fine del mondo.
Il dolore ▶ T2
Le poesie che confluiscono nel 1947 nella raccolta Il dolore vengono composte tra il 1937 e il 1946, in anni che comprendono tragedie collettive (la Seconda guerra mondiale) ed eventi drammatici nella vita privata del poeta (la morte del fratello e del figlio Antonietto). Ne consegue l’idea secondo cui la realtà non è più decifrabile attraverso metafore o mediazioni letterarie, ma va registrata quotidianamente, come nel diario di una sofferenza grave e tuttavia controllata.
Dal dolore personale a quello universale Soprattutto a contatto con la guerra – si veda la sezione Roma occupata (1943-1944) – l’angoscia privata tende ad allargarsi in una più ampia e corale meditazione religiosa sulla sofferenza e sulla redenzione intese in senso cristiano. Il dolore pare contaminare il mondo, condannandolo a un perenne calvario: l’immagine di Roma straziata dal sangue e dai lutti ispira al poeta una richiesta di consolazione nella preghiera a un Dio misericordioso e cosciente della debolezza umana (Mio fiume anche tu).
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Lo stile Ma se sul piano dei contenuti va registrato un approccio più diretto alle tematiche affrontate, dal punto di vista stilistico la raccolta accentua l’indirizzo formale già avviato in Sentimento del tempo: anche se è possibile scorgere il permanere di una tensione verso un’espressività della parola lirica ancora aspra ed essenziale, il linguaggio è spesso alto e sublime e numerose sono le metafore di gusto barocco.
La Terra Promessa
Nel 1950 esce La Terra Promessa, dedicata al critico Giuseppe De Robertis. La struttura frammentaria della raccolta, sottolineata sin dal sottotitolo (Frammenti 1935-1953), si spiega anche con l’iniziale intenzione dell’autore di concepire l’opera come il libretto di un melodramma con un canovaccio e diverse composizioni. Nella raccolta tornano, con evidenti influssi leopardiani, i motivi della morte e del nulla, accentuati da una diffusa sensazione di disfacimento e desolazione.
L’ispirazione nasce da un viaggio del poeta in Campania, nei luoghi vicini a Cuma, la sede dell’antro della Sibilla. Da qui l’atmosfera mitica che aleggia in tutti i componimenti, in particolare nei Cori descrittivi di stati d’animo di Didone, 19 testi poetici in cui la regina cartaginese è immaginata alle soglie della maturità, mentre piange il dissolversi delle illusioni giovanili.
Un Grido e Paesaggi e Il taccuino del vecchio
Il crescente pessimismo sulla condizione umana, l’abbandono dell’euforico vitalismo giovanile, l’affiorare di una saggezza dolente caratterizzano anche le ultime opere del poeta. Tra queste ricordiamo Un Grido e Paesaggi, uscita nel 1952, minuscola raccolta di testi scritti a partire dal 1939, in cui l’evocazione del silenzio non comunica più stupore o smarrimento ma il senso di una solitudine senza tempo e senza fine, e Il taccuino del vecchio, edita nel 1960, in cui i ricordi personali (come quello della moglie Jeanne, morta nel 1958) e lo sguardo sugli avvenimenti del mondo si svolgono, sul piano stilistico, in una forma più ampia, tradizionale e classicista.
Le prose
Scritti ermeneutici e reportage Per Ungaretti la forma non è fine a sé stessa: le opzioni formali hanno sempre una giustificazione e un profondo significato, che meritano di essere approfonditi e spiegati sul piano teorico. Ciò permette di comprendere la ricchezza della sua attività ermeneutica, ovvero i numerosi scritti in cui il poeta manifesta la costante ambizione di spiegare passo dopo passo i riferimenti culturali e i significati simbolici che connotano la sua identità letteraria e forniscono la chiave per interpretare i suoi versi.
Nei suoi Saggi e interventi (uscito postumo nel 1974) in particolare Ungaretti definisce la propria concezione della poesia, il valore dei procedimenti linguistici e stilistici adottati, l’importanza di alcuni fondamentali nodi simbolici, le influenze di diverse esperienze significative della lirica europea (da Petrarca a Leopardi, da Góngora a Shakespeare, da Blake a Mallarmé, tutti autori, fra l’altro, tradotti dal poeta).
Cospicua è, nell’ambito della sua attività di prosatore, anche la produzione giornalistica: tra il 1931 e il 1935, l’autore scrive reportage per la testata torinese “La Gazzetta del Popolo”. Si tratta per lo più di scritti di viaggio, composti secondo i moduli della prosa d’arte promossi dalla rivista “La Ronda”, in cui si mescolano annotazioni letterarie, divagazioni storiche e artistiche, descrizioni paesaggistiche.
La vita |
Le opere |
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• Nasce ad Alessandria d’Egitto, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza |
1888 |
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• Si trasferisce a Parigi • Entra in contatto con artisti d’avanguardia |
1912 |
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• Allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola volontario come soldato semplice |
1915 |
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1916 | Il porto sepolto | |
1919 | Allegria di naufragi | |
• Sposa a Parigi Jeanne Dupoix |
1920 |
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1931 | L’allegria | |
1933 | Sentimento del tempo | |
• Va a vivere con la famiglia a San Paolo del Brasile, dove insegna Lingua e letteratura italiana all’università |
1936 |
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• Muore il fratello Costantino |
1937 |
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• Muore il figlio Antonietto |
1939 |
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• Rientra in Italia • Ottiene la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università La Sapienza di Roma
• È nominato Accademico d’Italia
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1942 |
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• Viene giudicato da una commissione per i suoi rapporti con il regime fascista |
1945-1946 |
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1947 | Il dolore | |
1950 | La Terra Promessa | |
1952 | Un grido e Paesaggi | |
• Muore la moglie Jeanne |
1958 |
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1960 | Il taccuino del vecchio | |
• È eletto presidente della Comunità europea degli scrittori |
1962 |
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• Muore a Milano |
1970 |
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi