T8 - La filosofia del lanternino

T8

La filosofia del lanternino

Cap. 13

In questo brano l’autore presenta, attraverso un’altra metafora, la propria concezione dell’individuo nella modernità. Divenuta celebre con il nome di «lanterninosofia», la riflessione di Paleari-Pirandello assume la forma di un vero e proprio ragionamento filosofico, stemperato tuttavia da sottili sfumature umoristiche.

Per consolarmi, il signor Anselmo Paleari mi volle dimostrare con un lungo ragio­namento 

che il bujo era immaginario.

«Immaginario? Questo?», gli gridai.

«Abbia pazienza mi spiego».

5      E mi svolse (fors’anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si

sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi

svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima,1 che si potrebbe forse

chiamare lanterninosofia.

Di tratto in tratto, il brav’uomo s’interrompeva per domandarmi:

10    «Dorme, signor Meis?».

E io ero tentato di rispondergli:

«Sì, grazie, dormo, signor Anselmo».

Ma poiché l’intenzione in fondo era buona, di tenermi cioè compagnia, gli

rispondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare.

15    E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non

siamo come l’albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l’aria, la pioggia, il

vento, non sembra che sieno cose ch’esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomi­ni, 

invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella

illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro

20    interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna.

E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un

lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere

sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta

tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra

25    nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi,

ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in

noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fu­

moso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell’Essere,

che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?

30    «Dorme, signor Meis?».

«Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, co­desto 

suo lanternino».

«Ah, bene… Ma poiché lei ha l’occhio offeso,2 non ci addentriamo troppo nel­la 

filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d’inseguire per ispasso le lucciole sperdute,

35    che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto

che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l’illusione,

gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor

Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si

potrebbe determinare il predominio d’un dato colore, eh? In ogni età, infatti, si

40    suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore

a quei lanternoni3 che sono i termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che

so io… E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù paga­

na? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d’una

idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si

45    scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell’idea

vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi

che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che

spengono d’un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell’improvviso bujo, al­lora 

è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là,

50    chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s’aggregano

per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d’accordo, e tornano

a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non

trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi

pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo

55    e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro,

forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le

loro tombe? Ricordo una bella poesia di Niccolò Tommaseo:4


La piccola mia lampa

Non, come sol, risplende,

60    Né, come incendio, fuma;

Non stride e non consuma,

Ma con la cima tende

Al ciel che me la diè.

Starà su me, sepolto,

65    Viva; né pioggia o Vento,

Né in lei le età potranno;

E quei che passeranno

Erranti, a lume spento,

Lo accenderan da me.

70    Ma come, signor Meis, se alla lampa nostra manca l’olio sacro5 che alimentava quella

del Poeta? Molti ancora vanno nelle chiese per provvedere dell’alimento necessario

le loro lanternucce. Sono, per lo più, poveri vecchi, povere donne, a cui mentì la vita,

e che vanno innanzi, nel bujo dell’esistenza, con quel loro sentimento acceso come

una lampadina votiva, cui con trepida cura riparano dal gelido soffio degli ultimi

75    disinganni, ché duri almeno accesa fin là, fino all’orlo fatale, al quale s’affrettano,

tenendo gli occhi intenti alla fiamma e pensando di continuo: “Dio mi vede!” per

non udire i clamori della vita intorno, che suonano ai loro orecchi come tante be­stemmie. 

“Dio mi vede…” perché lo vedono loro, non solamente in sé, ma in tutto,

anche nella loro miseria, nelle loro sofferenze, che avranno un premio, alla fine. Il

80    fioco, ma placido lume di queste lanternucce desta certo invidia angosciosa in molti

di noi; a certi altri, invece, che si credono armati, come tanti Giove, del fulmine do­mato 

dalla scienza, e, in luogo di quelle lanternucce, recano in trionfo le lampadine

elettriche, ispira una sdegnosa commiserazione. Ma domando io ora, signor Meis: E

se tutto questo bujo, quest’enorme mistero, nel quale indarno6 i filosofi dapprima

85    specularono, e che ora, pur rinunziando all’indagine di esso, la scienza non esclude,

non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente,

una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo

mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso

privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le

90    ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse

soltanto, non l’estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino,

lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perché limitato,

definito da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume,

che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rima­

95    ne come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna,

nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre

vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci angoscia? Il limite è

illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della

natura non esiste. Noi, – non so se questo possa farle piacere – noi abbiamo sempre

100  vissuto e sempre vivremo con l’universo; anche ora, in questa forma nostra, parte­

cipiamo a tutte le manifestazioni dell’universo, ma non lo sappiamo, non lo vedia­mo, 

perché purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto

quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com’esso è in realtà! Ma

nossignore: ce lo colora a modo suo, e ci fa vedere certe cose, che noi dobbiamo ve­ramente 

105  lamentare, perbacco, che forse in un’altra forma d’esistenza non avremo più

una bocca per poterne fare le matte risate. Risate, signor Meis, di tutte le vane, stupide

afflizioni che esso ci ha procurate, di tutte le ombre, di tutti i fantasmi ambiziosi e

strani che ci fece sorgere innanzi e intorno, della paura che c’ispirò!».

 >> pagina 692 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Tutta la speciosissima (r. 7) concezione filosofica esposta da Anselmo Paleari (nella voce del quale si percepisce quella dello stesso autore) è costruita intorno a una metafora* visiva semplicissima, quella di un lanternino che rappresenta l’io individuale. Mentre le piante, gli animali e gli altri elementi della natura vivono senza consapevolezza (vive e non si sente, r. 16), l’essere umano, unico tra i viventi, è condannato a “sentirsi vivere”: E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso (rr. 21-22). A differenza dell’albero che vive nel buio, cioè all’oscuro di ogni consapevolezza della propria condizione, l’essere umano osserva il mondo attraverso i vetrini colorati di questa lanterna, proiettando intorno a sé un cerchio di luce limitato e dai contorni sfumati. Come un fascio di luce che investe un personaggio sul palcoscenico, il lanternino circoscrive una ristretta zona d’azione entro la quale vivere e pensare.

L’uomo dimentica, tuttavia, che il cerchio della sua esistenza individuale in realtà non esiste: esso non è un dato oggettivo, ma una proiezione soggettiva dei propri idea- li, delle fantasie e dei desideri custoditi in quella lanterna colorata; in altre parole, è frutto di un relativismo “metafisico”. Di conseguenza, anche l’ombra che dilaga al di là del cerchio di luce è un’illusione fittizia, che esiste soltanto fino a quando teniamo acceso il nostro lanternino.


1 Quale concezione della morte emerge da questo brano?

 >> pagina 693 

Se è vero che ciascuno di noi proietta intorno a sé una luce di un colore particolare (ed ecco, accanto al relativismo di cui si è già detto, anche un relativismo della morale e del pensiero), in ogni epoca certe tonalità prevalgono sulle altre. Anselmo Paleari le chiama lanternoni (r. 41), e si riferisce alle grandi astrazioni del pensiero e della morale (Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io…, rr. 41-42), alle grandi ideologie e ai sistemi di valori che dominano in un certo periodo storico. Ne cita due in particolare, quello di colore rosso della virtù pagana e quello violetto (color deprimente, r. 43) della fede cristiana.

La luce collettiva dei lanternoni assicura agli individui un orizzonte di riferimento, un insieme di valori codificati cui fare affidamento; ma quando essa si spegne, le piccole luci colorate dei singoli uomini brulicano caotiche nello scompiglio generale (chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via, rr. 49-50). Noi – dice Paleari – viviamo proprio in una di queste epoche di angosciante disorientamento, privi di un lanternone collettivo cui guardare: l’uomo moderno si aggira spaesato nell’oscurità. Qualcuno si rivolge alla fede, qualcun altro alla scienza, tutti – sbagliando – si affannano a cercare una luce che dissipi le tenebre, non riconoscendo una verità fondamentale, ossia che tutto questo mistero non esiste fuori di noi (rr. 87-88).


2 Che cosa crea i colori delle diverse lanterne?


3 Con quale metafora viene descritta la confusione nel momento in cui uno dei lanternoni si spegne? Che immagine dell’umanità ne emerge?


4 Con quale atteggiamento sono considerati coloro che ancora si recano in chiesa ad alimentare le loro lanternucce?

Le scelte stilistiche

Pirandello espone la sua visione del mondo e tocca i punti più profondi della sua concezione dell’esistenza con il tono in apparenza leggero dell’intrattenimento («Dorme, signor Meis?». «Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino», rr. 30-32). La stessa scelta di chiamare lanterninosofia (r. 8) una teoria filosofica ha lo scopo di lasciare il lettore perplesso: il termine ironico e quasi buffo fa intendere che si tratti di uno scherzo, del vaneggiamento di un folle in cerca di un contatto con l’aldilà (tutto il discorso di Anselmo Paleari è, in prima istanza, rivolto a trovare un saldo ancoraggio ai suoi esperimenti spiritici). In realtà, l’obiettivo dell’autore – riflettere sulla condizione dell’essere umano nell’universo e sui rapporti tra individui e sistemi di valori – è tutt’altro che banale, ma è ottenuto ancora una volta con un procedimento umoristico, che all’iniziale comicità (l’«avvertimento del contrario»: una filosofia seria non dovrebbe avere un nome ridicolo) fa subentrare il «sentimento del contrario», una riflessione meditata e amara.


5 Il signor Paleari espone la propria lanterninosofia in un dialogo: rintraccia nel testo gli elementi discorsivi tipici del parlato.


6 Individua nel testo le battute ironiche con cui il narratore-protagonista Adriano Meis commenta il discorso del signor Paleari.


7 Scrivere per argomentare. La morte non esiste, non è l’estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino (r. 91). Riconoscersi parte di un tutto è l’invito rivolto da Pirandello all’uomo moderno. Il messaggio, ancora solo abbozzato nel Fu Mattia Pascal, verrà portato alle estreme conseguenze in Uno, nessuno e centomila, con l’abbandono definitivo, da parte del protagonista Vitangelo Moscarda, di ogni connotazione individuale. Prova a riflettere, in un testo argomentativo di circa 40 righe, sul concetto paradossale di un “individuo senza identità”: un essere umano che si perde nel flusso della «vita» universale è ancora tale?

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi