24 Marzo 1916
Dal Maggio dell’anno scorso non avevo più toccato questo libercolo.1 Ecco che
dalla Svizzera il dr. S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotato.
È una domanda curiosa, ma non ho nulla in contrario di mandargli anche
5 questo libercolo dal quale chiaramente vedrà come io la pensi di lui e della sua
cura. Giacché possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine
e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazione.2 Ma al signor dottor
S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare.
Intanto egli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza e invece
10 riceverà la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia età abbastanza
inoltrata può permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi,
ma non ne ho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto
che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri.3 Non è per il confronto ch’io
mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia
15 salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch’era una sciocchezza
degna di un sognatore ipnagogico4 di volerla curare anziché persuadere. 5 Io soffro
bensì di certi dolori, ma mancano d’importanza nella mia grande salute. Posso
mettere un impiastro6 qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi
nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non
20 può essere considerata quale una malattia perché duole.
Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare
e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto col trionfo. Fu il mio
commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia.
Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto,7 fino al principio dell’Agosto
25 dell’anno scorso. Allora io cominciai a comperare. Sottolineo questo verbo
perché ha un significato più alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante,
allora, significava ch’egli era disposto a comperare un dato articolo. Ma quando
io lo dissi, volli significare ch’io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe
stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e
30 di quella vissi e fu la mia fortuna. L’Olivi non era a Trieste, ma è certo ch’egli non
avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me
non era un rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima
m’ero messo, secondo l’antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio
in oro, ma v’era una certa difficoltà di comperare e vendere dell’oro. L’oro
35 per così dire liquido, perché più mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo
di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti.
Perché cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto
felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli.8