T2 - Il ritratto dell’esteta (Il piacere)

T2

Il ritratto dell’esteta

Il piacere, I, cap. 2

D’Annunzio apre il romanzo descrivendo le stanze di un elegante appartamento in Piazza di Spagna a Roma. Qui il giovane conte Andrea Sperelli attende l’amante che ha lasciato e che non vede ormai da tempo. Poi, con un lungo flash back, il narratore ripercorre la vita del protagonista: qui leggiamo la parte iniziale della digressione, in cui vengono descritte la formazione di Sperelli e l’educazione ricevuta dal padre.

Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge

miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica

nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion

familiare d’eletta1 cultura, d’eleganza e di arte.

5      A questa classe, ch’io chiamerei arcadica2 perché rese appunto il suo più alto

splendore nell’amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli. L’urbanità,3

l’atticismo,4 l’amore delle delicatezze, la predilezione per gli studii insoliti, la

curiosità estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa

degli Sperelli qualità ereditarie. […]

10    Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion

familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo,

il legittimo campione5 d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, ultimo discendente

d’una razza intelettuale.

Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di

15    studii varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò, fino a vent’anni, le lunghe

letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria

educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e constrizioni di

pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d’arte, il culto passionato

della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizii, l’avidità6 del piacere.

20    Questo padre, cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica,

sapeva largamente vivere; aveva una scienza profonda della vita voluttuaria7 e insieme

una certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico.8 Lo stesso suo

matrimonio era avvenuto in circostanze quasi tragiche, dopo una furiosa passione.

Quindi egli aveva turbata e travagliata in tutti i modi la pace coniugale. Finalmente

25    s’era diviso dalla moglie ed aveva sempre tenuto seco9 il figliuolo, viaggiando con

lui per tutta l’Europa.

L’educazione d’Andrea era dunque, per così dire, viva, cioè fatta non tanto su

i libri quanto in conspetto delle realità umane.10 Lo spirito di lui non era soltanto

corrotto dall’alta cultura ma anche dall’esperimento;11 e in lui la curiosità diveniva

30    più acuta come più si allargava la conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo

di sé;12 poiché la grande forza sensitiva,13 ond’egli era dotato, non si stancava mai

di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansion di quella sua forza era la distruzione

in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva

ritegno a deprimere.14 Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva

35    delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva

rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre più d’intorno, inesorabilmente

se ben con lentezza.

Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare

la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto

40    sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui».

Anche, il padre ammoniva: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà,

fin nell’ebrezza.15 La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: – Habere, non haberi».16

Anche, diceva: «Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato.17 Bisogna

sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni

45    e con nuove imaginazioni».

Ma queste massime volontarie,18 che per l’ambiguità loro potevano anche essere

interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria,19

in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva20 era debolissima.

Un altro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell’animo di Andrea: il

50    seme del sofisma.21 «Il sofisma» diceva quell’incauto educatore «è in fondo ad ogni

piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque

ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della

vita sta nell’oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo

d’intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono

55    infatti i più squisiti goditori dell’antichità. I sofismi fioriscono in maggior numero

al secolo di Pericle, al secolo gaudioso».22

Un tal seme trovò nell’ingegno malsano del giovine un terreno propizio. A

poco a poco, in Andrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sé stesso

divenne un abito così aderente alla conscienza ch’egli giunse a non poter mai essere

60    interamente sincero e a non poter mai riprendere su sé stesso il libero dominio.

Dopo la morte immatura del padre, egli si trovò solo, a ventun anno, signore

d’una fortuna considerevole, distaccato dalla madre, in balia delle sue passioni e

de’ suoi gusti. Rimase quindici mesi in Inghilterra. La madre passò in seconde nozze,

con un amante antico. Ed egli venne a Roma, per predilezione.

65    Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi;

non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane,

delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo

Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe.

La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini23 l’attraeva assai

70    più della ruinata24 grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un

palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caracci,25 come quello Farnese;

una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese;

una villa, come quella d’Alessandro Albani,26 dove i bussi27 profondi, il granito

rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni,28 le statue della Grecia, le pitture del

75    Rinascimento, le memorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a un

qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un

albo29 di confessioni mondane, accanto alla domanda «Che vorreste voi essere?»

egli aveva scritto «Principe romano».

 >> pagina 415

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Queste pagine possono essere considerate il manifesto dell’estetismo dannunziano. Il ritratto di Andrea Sperelli condensa infatti i segni particolari che compongono il carattere morale, psicologico e culturale dell’intellettuale votato all’arte e alla bellezza. La sua filosofia, che gli è stata insegnata dal padre, viene riassunta da d’Annunzio in una serie di moniti ed enunciati che hanno il valore di sentenze: Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte (rr. 38-39); Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza (rr. 41-42); Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato (r. 43). Ma come vengono assimilati dal giovane tali precetti?

Andrea ha certamente preso alla lettera la lezione ricevuta: dopo aver viaggiato in tutta Europa, alla morte del padre sceglie come propria residenza Roma, la città che ama di più, non per le sue vestigia antiche ma per gli sfarzosi palazzi rinascimentali e barocchi, dove egli intende vivere un’esistenza degna di un Principe romano (r. 78). Immune dalle meschinità del mondo e dalla degradazione generale causata dall’ascesa, sulla scena sociale, delle masse (il grigio diluvio democratico, r. 1) che inquina le belle cose e rare (r. 1), egli è stimolato dall’insaziabile ricerca del piacere (avidità del piacere, r. 19) e non si preoccupa dei conformismi borghesi (paradossale disprezzo de’ pregiudizii, r. 19). Per questi aspetti programmatici, si può dire che Andrea sia la maschera letteraria del suo creatore, anch’egli sprezzante della massa, raffinato adoratore della bellezza vista come una divinità, non toccato dalla morale comune, disposto a tutto pur di contaminare tra loro arte e vita.


1 Quali esperienze hanno formato il gusto del giovane Andrea?


2 Che ruolo hanno avuto il padre e la tradizione familiare nella formazione di Andrea?


3 Individua nel brano tutti i riferimenti a opere d’arte.


4 Da quali espressioni si evince il pensiero antidemocratico dell’autore?

 >> pagina 416

Tuttavia, d’Annunzio è ben lontano dall’offrire un’immagine positiva del suo personaggio, ne vuole anzi prendere le distanze, indicando da subito limiti e contraddizioni della sua personalità. Sperelli è un esteta, ma più per la sua appartenenza alla nobiltà che per una scelta personale; la sua indole è priva di forza (natura involontaria, rr. 47-48) e la sua potenza volitiva si rivela debolissima (r. 48). Come affetto da una malattia dell’anima, che lo rende velleitario e impotente, egli non può dominare la realtà con l’intelletto e la volontà, né realizzare del tutto sé stesso, perché incapace di uscire dalla falsità sentimentale, dall’artificio e dalla finzione in cui è immerso. Il suo edonismo da dandy decadente risulta dunque superficiale e le sue passioni dilettantesche; è un personaggio narcisista, caratterialmente instabile e privo di veri ideali.

La sua figura incarna quindi quella di un esteta sconfitto, di un eroe non riuscito, di un inetto, incapace di agire e vivere da protagonista il proprio tempo. Il superuomo, dipinto da d’Annunzio nei romanzi successivi, è ancora lontano.


5 Spiega l’antitesi tra forza sensitiva e forza morale (rr. 30-37).


6 Definisci i seguenti termini, che delineano, in negativo, il carattere di Andrea Sperelli: sofismaingegno malsanomenzogna.

Le scelte stilistiche

Come in tutta la produzione romanzesca dannunziana, in assenza di un articolato sviluppo narrativo, sono presenti numerose soluzioni liriche tese a nobilitare l’atmosfera del romanzo: le anafore* (Egli era…, Egli era…, Egli alternò…, Egli…, rr. 11, 14, 15; Anche…, Anche…, rr. 41, 43), le metafore* (Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato, r. 43), le allitterazioni* (profondi, parve prodigiosa, r. 15), le enumerazioni* (per esempio, dei gusti di Sperelli, rr. 65-78), perfino i troncamenti poetici delle parole (tradizion, ideal, riduzion ecc.) esprimono una ricerca di solennità, confermata anche dal ricorso a termini desueti (constrizioni, ruinata, realità, conspetto, conscienza ecc.) già antiquati al tempo di d’Annunzio. Anche per mezzo di queste modalità stilistiche, che rivelano l’influenza di un romanzo fondamentale della cultura decadente, Controcorrente di Huysmans ( p. 283), l’autore può soffermarsi su dettagli minuti e accurate descrizioni impressionistiche, con un gusto estetizzante del particolare e una prospettiva soggettiva ormai assai distanti dalla poetica naturalista e verista.


7 Nello scrivere il romanzo, D’Annunzio ha sfruttato l’esperienza di cronista mondano accumulata tra i salotti e i ritrovi dell’aristocrazia romana: da quali elementi lo si capisce?


8 L’aggettivazione del romanzo è ricchissima. Scegli due o tre paragrafi del brano e individua tutti gli aggettivi presenti: quanti sostantivi ne restano privi?


9 Scrivere per esporre. Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte (rr. 38-39): la massima che il padre insegna ad Andrea nasce da una visione tipicamente decadente della vita. In quali autori del Decadentismo europeo si ritrova un’idea analoga? Scrivi sull’argomento un testo espositivo di circa 20 righe.


10 Scrivere per descrivere. Sperelli ambisce a essere il prototipo dell’esteta raffinato. Riflettendo sui criteri e i valori che oggi vengono scelti da chi cerca di distinguersi dalla massa, componi anche tu, in un testo descrittivo di circa 20 righe, il ritratto di una persona (un attore, un cantante, un personaggio dello spettacolo ecc.) capace di incarnarli.

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi