2 - L’estetismo dannunziano
L’influenza del Decadentismo europeo Il culto della bellezza, la teorizzazione dell’arte per l’arte, l’identificazione di arte e vita sono aspetti che già prima di d’Annunzio avevano segnato la cultura decadente europea di fine secolo e l’opera di poeti simbolisti e parnassiani.
Il poeta interpreta l’Estetismo nella prima fase della sua ricerca artistica, che culmina con la stesura del Piacere: l’autore interpreta in modo personale temi e indirizzi della cultura europea. Tutta l’opera di d’Annunzio è infatti caratterizzata da una sorta di saccheggio: egli legge, copia, cita, riprende, accumula espressioni e immagini che trova nei classici latini, nelle raccolte dei poeti italiani delle origini (anche quelli minori) e soprattutto nei testi degli scrittori francesi e inglesi contemporanei.
Forma e ideologia: due opzioni aristocratiche Tale visione edonistica è alla base di due caratteri intrecciati della produzione letteraria dannunziana, uno stilistico e uno ideologico. Sul piano della forma, d’Annunzio opta per soluzioni lessicali, sintattiche, retoriche che privilegiano i toni sostenuti e le modulazioni più solenni della lingua letteraria. La preziosità dello stile, la ricerca ridondante del sublime, l’uso costante dei classicismi accomunano la sua poesia e la sua prosa: anzi, si può dire che quest’ultima, in assenza di una ricca componente narrativa (i romanzi dannunziani hanno una trama assai esile e povera di fatti), abbia un grado molto alto di liricità e musicalità, sconfinando spesso nel verso vero e proprio, grazie a un apparato ricchissimo di immagini liriche, metafore, sinestesie, ripetizioni, parallelismi e altro ancora.
Sul piano ideologico, l’esteta è colui che assapora tutti i doni dell’esistenza, si tiene lontano dalla “massa volgare” (il «grigio diluvio democratico odierno» di cui parla nel Piacere) e da ogni impegno attivo, sociale e politico, per vivere in un mondo aristocratico, circondato dal lusso e dal superfluo e per «costruire la propria vita come un’opera d’arte».
Lo scacco dell’esteta dannunziano L’esteta dannunziano, tuttavia, non è in grado di celebrare fino in fondo il proprio privilegio: la raffinatezza del suo mondo «tutto impregnato d’arte» non può, alla lunga, coprirne le debolezze e la sterilità. Svuotato di energia morale, privo di una robusta forza vitale, egli è destinato alla solitudine, alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne, alla paralisi dell’azione. Il suo bisogno di sensazioni intense ma fugaci rivela una sostanziale incapacità di adattamento al mondo: l’io finisce così per disgregarsi e perdere il proprio centro.
Non siamo ancora, evidentemente, alla coscienza della crisi dell’identità del soggetto, che caratterizza la letteratura del primo Novecento; tuttavia, l’insoddisfazione e la malattia della volontà che destabilizzano lo Sperelli dannunziano e ne decretano il fallimento sembrano già anticipare i tratti caratteriali tipici della figura dell’inetto, incapace di vivere dentro i meccanismi della società moderna.
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi