

Le principali edizioni Myricae è una raccolta di poesie che viene pubblicata per la prima volta nel 1891, ma che da quella data avrà ancora una lunga vicenda sia compositiva sia editoriale, poiché vi saranno numerose edizioni, ciascuna con aggiunte di componimenti e revisioni da parte dell’autore:
La natura La maggior parte dei testi di Myricae presenta quadretti di campagna, descrizioni di fiori, uccelli, fenomeni atmosferici. Il poeta dimostra di possedere una conoscenza diretta e ravvicinata del paesaggio, lontano dall’idealizzazione bucolica della tradizione letteraria. Della natura, però, Pascoli non restituisce soltanto, per così dire, “la superficie”. Essa viene vista infatti come fonte di consolazione, come luogo della memoria in cui poter rievocare il passato e l’innocenza perduta, ma anche di inquietudine e turbamento: ciò che il poeta intende evidenziare sono i valori simbolici e le risonanze interiori di una realtà apparentemente familiare, ma in verità assai misteriosa e perciò osservata con stupore infantile.
La novità della lingua di Myricae Nella storia della lingua letteraria, l’esperienza pascoliana rappresenta una profonda novità, in quanto alternativa al monolinguismo lirico di ascendenza petrarchesca, egemone nella tradizione poetica italiana. Possiamo affermare che, con Myricae, Pascoli porta a compimento nella scrittura lirica la rivoluzione inaugurata nel romanzo da Alessandro Manzoni: un progetto di «democrazia poetica» (Contini) che, abbattute le rigide selezioni classicistiche, conferisce dignità a tutti gli elementi della realtà, da quello illustre a quello umile.
Analizziamo le diverse componenti del lessico di Myricae a partire dalle osservazioni di Gianfranco Contini, che per primo l’ha studiato in maniera sistematica.
Dal reale al simbolico Non bisogna pensare però che la precisione delle scelte lessicali conduca al realismo. La puntualità dei vocaboli si pone in un continuo e sistematico rapporto con altre soluzioni espressive, che sfumano i contorni della rappresentazione (▶ p. 380). Di questo processo si possono individuare almeno tre modalità.
1 Nei singoli testi la precisione lessicale è sempre controbilanciata da «un fondo di indeterminatezza» (Contini): si pensi all’uso degli aggettivi in forma connotativa, che suggerisce senza descrivere, allude senza dire, indica senza distinguere: tremulo, fragile, gracile ecc.
2 Al dato oggettivo o naturalistico è quasi sempre legato un valore simbolico o allegorico, che fa perdere al primo consistenza concreta. Ciò vale spesso, per esempio, per le indicazioni cromatiche, che assumono ulteriori significati simbolici legati agli echi psicologici generati dai colori.
3 Il dissolvimento del realismo è raggiunto, infine, attraverso la messa in rilievo dei valori di senso veicolati da elementi non semantici (per esempio figure retoriche quali l’allitterazione, l’assonanza, l’iterazione).
La sintassi Altrettanto nuovi e sperimentali sono gli aspetti sintattici. La sintassi risulta quasi sempre spezzata, con frasi ridotte all’essenziale e con un significativo ricorso ai costrutti della lingua parlata e allo stile nominale. L’autore preferisce la coordinazione alla subordinazione, la brevità alla complessità del periodo e tende a rimpiazzare l’organizzazione regolare del discorso con un andamento ellittico, contratto, eliminando i soggetti espliciti, i verbi (soprattutto l’ausiliare “essere”) o le congiunzioni.
Quasi volesse così attingere alle forme primitive, elementari del dire poetico, Pascoli privilegia le modalità esclamativa e interrogativa del discorso, che danno voce allo stupore e alla domanda di fronte all’esistenza e ai suoi misteri. Nello stesso quadro rientra anche un uso originale della punteggiatura: per esempio la frequente adozione dei due punti con funzione di interruzione più che di spiegazione e il massiccio ricorso a tutti i segni di interpunzione per frantumare il verso («son due… gli occhi, grave, apre: vede», Agonia di madre). Tutte queste peculiarità stilistiche indicano come Pascoli punti a un’inquieta movimentazione del discorso, tanto lontana dalla tradizione letteraria quanto vicina alla scrittura poetica della modernità.
Evocare più che descrivere In Myricae Pascoli cura all’estremo le scelte espressive e a tal fine, coerentemente con la sua sensibilità simbolista, utilizza ampiamente tutte le figure retoriche tipiche della poesia decadente, soprattutto l’analogia e la sinestesia. La maggiore innovazione stilistica della raccolta è però l’uso frequente dell’onomatopea e il ricorso al fonosimbolismo: all’utilizzo cioè di parole già esistenti, che vengono scelte dal poeta in virtù del loro suono evocativo di una certa azione: per esempio sussurro, rimbombo, scricchiolio.
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi