4 - L’impegno civile

4 L’impegno civile

Un “giornalismo poetico” Negli ultimi anni della sua parabola letteraria, Pascoli coltiva l’abitudine di comporre poe­sie d’occasione, a commento di avvenimenti storici o di attualità. Questa produzione, di stampo quasi “giornalistico”, può apparire molto lontana dalla sua vocazione, soprattutto poetica.

La ricerca del pubblico di massa Pascoli però desidera ritagliarsi un ruolo pubblico, che lo ponga in contatto con la massa dei lettori: per quanto lontano dai salotti e dalla mondanità della vita culturale nazionale, egli non è infatti insensibile all’idea di competere, sia pure su un terreno per lui sfavorevole, con il rivale d’Annunzio, abile comunicatore, sempre al centro dell’attenzione.

Un vate portavoce del popolo Ma c’è anche una ragione ideologico-culturale più profonda. Nel Fanciullino ( p. 330) Pascoli scrive che «il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta»: ciò significa che a lui non si chiede solo di esprimere la propria sensibilità soggettiva, ma anche di interpretare il sentimento collettivo, dando voce alle aspirazioni e ai bisogni dell’intera comunità popolare e nazionale.

Raccolte come Odi e inni, Le canzoni di Re Enzio e Poemi del Risorgimento esprimono questa sua ambizione di cantore della Storia e delle glorie nazionali; ambizione che lo porta, per esempio, a celebrare con il tono populistico della Grande proletaria si è mossa (1911) l’impresa coloniale libica come una soluzione al dramma dell’emigrazione. Il poeta conferisce infatti al proprio nazionalismo una motivazione umanitaristica, affermando il diritto degli Stati meno ricchi (come l’Italia, che è definita non a caso «proletaria») a conquistare nuove terre in cui i contadini possano trasferirsi. In tal modo gli italiani, costretti a migliaia a emigrare in cerca di fortuna al di là dell’oceano e spesso sottoposti a umiliazioni e soprusi, possono riacquistare dignità e lavoro, rinnovando la gloriosa tradizione di un popolo civilizzatore.

Dal «nido» alla patria Anche prima della campagna libica, però, non mancano occasioni nelle quali Pascoli riversa sulla pagina quello spirito di fratellanza già prefigurato nel socialismo invocato nel Fanciullino. La pace sociale viene auspicata entro un invito alla solidarietà e alla condivisione al di là e al di sopra delle classi.

Nel recuperare la lezione leopardiana della Ginestra, il poeta confeziona così un generico messaggio di concordia tra gli uomini che non si inserisce però in una compiuta ideologia politica: egli infatti non supera mai l’orizzonte psicologico del nostalgico cantore dei buoni e semplici valori contadini, neutralizzando all’interno di un’ingenua dimensione idilliaca i veri e duri conflitti che agitano l’Italia del suo tempo.

In tal modo anche il nazionalismo che affiora in alcuni versi, lettere e discorsi non coincide con un’autentica e aggressiva volontà di potenza, ma con la viscerale difesa (anche con le armi della guerra, se necessario) di una nazione e di un popolo oppressi. Il modello privato del «nido», da proteggere gelosamente dalle ingerenze degli estranei, si proietta così su quello pubblico della patria, da esaltare con passione e sentimento nella strenua difesa delle radici, dell’identità e delle tradizioni.

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi