Il tesoro della letteratura - volume 2

Giacomo Leopardi 30 35 40 45 50 55 60 65 non solo l intelletto mio, ma tutti i sentimenti, ancora del corpo, sono (per un modo di dire strano, ma accomodato al caso) pieni di questa vanità.12 E qui primieramente non mi potrai dire che questa mia disposizione non sia ragionevole: se bene io consentirò facilmente che ella in buona parte provenga da qualche mal essere corporale. Ma ella nondimeno è ragionevolissima: anzi tutte le altre disposizioni degli uomini fuori di questa, per le quali, in qualunque maniera, si vive, e stimasi che la vita e le cose umane abbiano qualche sostanza; sono, qual più qual meno, rimote dalla ragione, e si fondano in qualche inganno e in qualche immaginazione falsa.13 E nessuna cosa è più ragionevole che la noia. I piaceri sono tutti vani. Il dolore stesso, parlo di quel dell animo, per lo più è vano: perché se tu guardi alla causa ed alla materia, a considerarla bene, ella è di poca realtà o di nessuna. Il simile dico del timore; il simile della speranza. Solo la noia, la qual nasce sempre dalla vanità delle cose, non è mai vanità, non inganno; mai non è fondata in sul falso. E si può dire che, essendo tutto l altro vano, alla noia riducasi, e in lei consista, quanto la vita degli uomini ha di sostanzievole e di reale.14 [ ] plotINo Così è veramente, Porfirio mio. Ma con tutto questo, lascia ch io ti consigli, ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. E dico a quella natura primitiva, a quella madre nostra e dell universo; la quale se bene non ha mostrato di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata assai meno inimica e malefica, che non siamo stati noi coll ingegno proprio, colla curiosità incessabile15 e smisurata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opinioni e dottrine misere: e particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità con occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque sia grande l alterazione nostra, e diminuita in noi la potenza della natura; pur questa non è ridotta a nulla, né siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in ciascuno gran parte dell uomo antico. Il che, mal grado che n abbia la stoltezza nostra,16 mai non potrà essere altrimenti. Ecco, questo che tu nomini error di computo;17 veramente errore, e non meno grande che palpabile; pur si commette di continuo; e non dagli stupidi solamente e dagl idioti, ma dagl ingegnosi, dai dotti, dai saggi; e si commetterà in eterno, se la natura, che ha prodotto questo nostro genere, essa medesima, e non già il raziocinio e la propria mano degli uomini, non lo spegne. E credi a me, che non è fastidio della vita, non disperazione, non senso della nullità delle cose, della vanità delle cure, della solitudine dell uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai: benché queste disposizioni dell animo sieno ragionevolissime, e le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò, passato un poco di tempo; mutata leggermente la disposizione del corpo; a poco a poco; e spesse volte in un 12 pieni di questa vanità: c è un contrasto semantico tra pienezza e vanità, che Porfirio definisce appunto strano, insolito, ma che spiega bene la situazione in cui si trova. 13 E qui primieramente falsa: Porfirio rivendica la razionalità del suo stato d animo, che in parte proviene da problemi fisici (mal essere corporale), ma soprattutto si basa sul riconoscimento dell incon- sistenza, della vanità di tutte le cose, che non sono altro che illusioni ingannevoli. 14 alla noia reale: sia i piaceri sia il dolore sono vani, fuggevoli e inconsistenti; solo la noia è concreta (sostanzievole) e reale nella vita degli uomini. 15 incessabile: incessante, ininterrotta. 16 mal grado stoltezza nostra: anche se non ce ne rendiamo conto. 17 error di computo: in un passo qui non antologizzato, Porfirio sosteneva che gli uomini continuano a sopportare la vita per «un errore che si fa nel computare, nel misurare, e nel paragonar tra loro, gli utili o i danni , cioè la quantità di piacere rispetto a quella di dolore che si prova nell arco dell esistenza. 923

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento