«L’infelicità certa del mondo»: il “pessimismo cosmico”

Giacomo Leopardi in sintesi Negando l idea che alla base dell esistenza ci sia un principio metafsico (materialismo meccanicistico), il poeta sviluppa una teoria del piacere come impulso irrefrenabile dei sensi. Il piacere però, proprio perché infinito, si scontra con la finitezza della realtà e dunque con la sua stessa irrealizzabilità, causando frustrazione e senso di vuoto. ca d ogni grandezza , scrive Leopardi in un brano dello Zibaldone, datato 1817, poi aggiungendo che «pochi possono essere grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni . La teoria del piacere Al 1820 risale il primo nucleo di pensieri dello Zibaldone incentrati su quella che viene comunemente definita teoria del piacere , che costituisce uno snodo fondamentale nell evoluzione del suo pensiero. Va subito premesso che l elaborazione di questa teoria testimonia l adesione del poeta al materialismo meccanicistico, che nega la presenza di un principio metafisico regolatore dell esistenza. In particolare si rivela fondamentale l eredità del sensismo, la corrente filosofica settecentesca, i cui massimi interpreti sono i francesi tienne Bonnot de Condillac e Paul Henri Thiry d Holbach, che fa risalire alle facoltà sensoriali la fonte di tutte le conoscenze. Il piacere di cui parla Leopardi è infatti, almeno in questa fase della sua riflessione, di tipo fisico, unicamente legato ai sensi e non ideale o astratto: come si vedrà nei Canti, tutte le sensazioni che rimandano a questa sfera sono legate alla vista e soprattutto all udito. Leopardi mette in evidenza come il desiderio del piacere non ha confini e non può esaurirsi in un sentimento definito o circoscritto né nel tempo né nell estensione: la natura, però, ha dotato l uomo di sensi inadeguati, che riescono a provare al massimo un singolo piacere, destinato a non essere mai del tutto soddisfacente. Proprio il meccanismo psicologico che stimola gli esseri viventi a cercare una felicità senza limiti li condanna così alla frustrazione di un desiderio che rimane inevitabilmente inappagato. Dalla sproporzione tra questo desiderio infinito e la finitezza della realtà deriva un senso di vuoto, che non può essere colmato in alcun modo e che costituisce la radice prima dell infelicità. «L infelicità certa del mondo : il pessimismo cosmico Verificando via via che l infelicità non è un fatto contingente e condizionato dall esterno, ma un dato costitutivo della natura di tutti gli esseri viventi, dunque irrimediabile, Leopardi assolutizza il suo pessimismo, che si fa cosmico . La natura non è più vista come benigna, come una confidente figura materna: essa rivela tutta la sua indifferenza al destino dell uomo. L infelicità come dato assoluto La convinzione che l umanità sia condannata a una condizione di perenne inappagamento e l appurata inconciliabilità tra esistenza e desiderio di felicità inducono Leopardi a rivedere profondamente il rapporto tra uomo e natura, delineato nella prima fase della sua riflessione. La lettura di autori e filosofi greci, anch essi inclini a ragionare sul dolore dell esistenza, gli fa comprendere come anche il mondo classico fosse ben lontano da quel regno idealizzato di gioia e serenità che egli, da adolescente, aveva mitizzato. Come si intravede già nei componimenti dei primi anni Venti (per esempio, l Ultimo canto di Saffo T10, p. 943) e poi, in modo più radicale, nelle Operette morali, il poeta si convince che l infelicità non sia un fatto contingente né dipenda dall evoluzione storica: essa è un dato costitutivo e assoluto, che riguarda tutte le creature viventi e tutte le epoche. la fase del cosiddetto pessimismo cosmico : il poeta rigetta ogni illusione e rovescia i termini del rapporto tra natura e civiltà, natura e ragione. La natura indifferente L approdo al materialismo induce infatti Leopardi a concepire la natura come un entità meccanica nella quale vigono leggi e princìpi oggettivi finalizzati unicamente a conservare l ordine cosmico secondo un inesorabile ciclo che comporta la vita e la morte degli individui e delle specie. Essa cessa di essere la dolce e benefica madre, immaginata in precedenza, e appare invece del tutto indifferente alle sorti dell uomo, vittima del suo imperturbabile ingranaggio che fa e disfa, crea e distrugge: «La natura, per necessità della legge di distruzione e riproduzione, e per conservare lo stato attuale dell universo, è essenzialmente regolarmente e perpetuamente persecutrice e nemica mortale di tutti gl individui d ogni genere e specie, ch ella dà in luce; e comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui gli ha prodotti (Zibaldone, 11 aprile 1829). 909

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento