LETTURE critiche

LETTURE critiche

La poesia e il primato dell’io

di Gino Tellini

Rottura dei canoni tradizionali e rifiuto del progresso; culto dei classici e sensibilità anticonformistica; memoria storica e presenza polemica nel presente: intorno a questo cumulo di feconde contraddizioni è nata e si è sviluppata, con Leopardi, una voce affrancata dai condizionamenti, lontana da ogni illusione consolatoria ma non per questo compiaciuta della sofferenza umana. Secondo Gino Tellini (n. 1946), la modernità di Leopardi sta proprio nel coraggio con cui egli sfida e supera ogni convenzione consolidata, anche e soprattutto quelle reputate più attuali e al passo con i tempi: la sua poesia può essere considerata, in tal modo, il trionfo della libertà dell’io.

La rivoluzionaria modernità di Leopardi consiste nel primato assoluto riconosciuto alla voce dell’io. Con due corollari, complementari e decisivi, che riguardano la libertà espressiva conquistata dal soggetto protagonista (quindi l’intonazione della sua parola) e la duplice, ambivalente energia che egli vuol comunicare (quindi la funzione conoscitiva della sua parola). Nella struttura della “canzone libera”, come nella prosa umoristica delle Operette, l’io spezza i lacci dei canoni retorici tradizionali; l’intensità delle illusioni, scaturita dalla martellante disperazione del pessimismo materialistico, assegna all’io un ruolo che è insieme sistematicamente distruttivo (come pensiero negativo e annientamento della speranza) e inventivamente vitalissimo (come instancabile, sempre nuovo suscitatore di emozioni e di sogni). In nessun altro nostro autore ottocentesco è dato trovare uniti gli ingredienti di questa miscela che produce – all’insegna della contraddizione – un effetto sbalorditivo di fissità e di movimento incessante.

La complessa apertura verso la modernità trova per paradosso la propria genesi del radicale rifiuto («disprezzo»: La ginestra, v. 65) del “modernismo”, nell’appassionata nostalgia del passato e dell’antico. Il che significa tutt’altro che spirito reazionario: significa culto non pedantesco dei classici, risoluta attualizzazione del loro modello, non per imitarlo ma riviverlo (umanizzarlo) secondo gli impulsi di una sensibilità orgogliosa, indocile e anticonformista, insofferente di ogni idea ricevuta e di ogni moda, di ogni tirannia e di ogni assolutismo, in politica come nelle scelte culturali. La musica nuova (senza «ostentazione rivoluzionaria»)1 della “canzone libera” viene dallo studio metrico calibratissimo delle prime canzoni, come l’inventio prosastica delle Operette viene dalla quotidiana familiarità con la prosa greca e latina. Viaggio lungo, ma l’insegnamento in ogni caso che giunge dall’antico non è valso che come esercizio e tirocinio di libertà. A questo coraggio dell’inattualità, a quest’affrancamento non dal passato, ma dai vincoli inerti del passato, hanno ispirato invano – a parte Manzoni, su altro e antitetico piano – i cultori e i fautori del nuovo, stilisticamente impigliati nella riproposta di forme vecchie, troppo prossime alla tradizione che intendevano ignorare, e ideologicamente inefficaci, perché chiusi nella rete delle idee correnti (il «concorde sentir!» della Palinodia, v. 220), esposte al fenomeno della rapida obsolescenza. La rincorsa delle mode è un abbraccio con la morte. Proprio dalla memoria storica, dal sentimento lancinante della corsa rapinosa dei secoli, Leopardi ha tratto la forza di quella distanza prospettica e polemica dal presente che è stata la garanzia della sua modernità. «Perdóno dunque se il poeta moderno segue le cose antiche, se adopra il linguaggio e lo stile e la maniera antica […]. Perdóno se il poeta, se la poesia moderna non si mostrano, non sono contemporanei a questo secolo, poiché esser contemporaneo a questo secolo, è, o inchiude essenzialmente, non esser poeta, non esser poesia».2

Alla fuga del tempo e alla furia di distruzione che porta con sé, non ha opposto il riparo di alcuna verità positiva: non la fede religiosa nel trascendente, non la fede laica nell’agire umano e nel progresso, non la fede umanistica – cui approda il materialismo foscoliano – nella funzione eternatrice della poesia che «vince di mille secoli il silenzio» (Dei sepolcri, v. 234). Ma neppure ha festeggiato con irrazionale esultanza il trionfo del nichilismo. Lo spettacolo della rovina, indagato con eroico ardire, si sa che comporta l’intrepida risolutezza del disinganno, la contemplazione dignitosa e fiera del negativo, ma genera sgomento («orror»: La ginestra, v. 280), tanto più terribile perché senza riscatto. Sul deserto del «comun fato» (v. 114), del «mal che ci fu dato in sorte» (v. 116), il cerchio si chiude. La parola ritorna all’io e al primato del soggetto lirico, alla sua voce casta e spietata che ha attinto – dalla nostalgia dell’antico, dalla consapevolezza che quel mondo è cancellato, dall’audacia di guardare in volto l’«arido vero» – il suono di una suprema e sconvolgente libertà. La quale vuol dire anche suprema altitudine, non come allontanamento dalla terra (verso il mistero o il misticismo), ma come distacco dal superfluo e dall’inessenziale, da tutto ciò che non tocca, qui e ora, nella nostra indifesa fragilità di individui biologici, la condizione prima ed elementare dell’esistere. La voce dell’io allora diventa capace di porsi domande semplici e capitali, di interrogarsi sul senso della vita e della morte, sugli affanni del dolore, sulla forza dell’amicizia e dell’amore. Il poeta che più di ogni altro ha sofferto la schiavitù dell’individuo di fronte alle leggi inesorabili della natura, è anche il poeta che ha più sentito, con stupefacente vertigine, la libertà dell’io.


Gino Tellini, Leopardi, Salerno editrice, Roma 2001

Comprendere il pensiero critico

1 In che modo si manifesta il «rifiuto del modernismo» in Leopardi?


2 Che cosa oppone Leopardi al «mal che ci fu dato in sorte»?


3 Leopardi si sentì schiavo e schiacciato dalle leggi di una natura matrigna: concordi con questa affermazione?

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento