T3 - La ricerca della libertà (Epistolario)

T3

La ricerca della libertà

Epistolario

Nel 1819 il poeta ha raggiunto la maggiore età e decide di sottrarsi all’oppressiva tutela dei genitori, fuggendo da Recanati. Prima di partire, scrive questa lettera d’addio al padre, una drammatica testimonianza della sua esperienza, del bisogno di evadere e del desiderio insopprimibile di scegliere da solo la via della propria esistenza.

Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello ch’io avrò fatto, questo foglio

le possa parere indegno di esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che

non vorrà ricusare1 di sentir le prime e ultime voci di un figlio che l’ha sempre

amata e l’ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere. Ella conosce me, e

5      conosce la condotta ch’io ho tenuta fino ad ora, e forse quando voglia spogliarsi 

d’ogni considerazione locale,2 vedrà che in tutta l’Italia, e sto per dire in tutta 

l’Europa, non si troverà altro giovane, che nella mia condizione, in età anche

molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente3 inferiori ai

miei, abbia usato la metà di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile,

10    ubbidienza e sommessione4 ai suoi genitori ch’ho usata io. […] Contuttoché5 si

credesse da molti che il mio intelletto spargesse alquanto più che un barlume, Ella

tuttavia mi giudicò indegno che un padre dovesse far sacrifizi per me, né le parve

che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo piano

di famiglia. Io vedeva i miei parenti scherzare cogl’impieghi che ottenevano6 dal

15    sovrano, e sperando che avrebbero potuto impegnarsi con effetto anche per me,

domandai che per lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di vivere in maniera

adattata alle mie circostanze,7 senza che perciò fossi a carico della mia famiglia.

Fui accolto colle risa, ed Ella non credé che le sue relazioni, in somma le sue cure

si dovessero neppur esse impiegare per uno stabilimento competente8 di questo

20    suo figlio. […] Ella conosceva ancora la miserabilissima vita ch’io menava9 per le

orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo10 genere che mi proccurava la mia strana 

immaginazione, e non poteva ignorare quello ch’era più ch’evidente, cioè che a

questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse sino da

quando mi si formò questa misera complessione,11 non v’era assolutamente altro

25    rimedio che distrazioni potenti e tutto quello che in Recanati non si poteva mai

ritrovare. Contuttociò Ella lasciava per tanti anni un uomo del mio carattere, o a

consumarsi affatto12 in istudi micidiali o a seppellirsi nella più terribile noia, e per

conseguenza, malinconia, derivata dalla necessaria solitudine e dalla vita affatto

disoccupata, come massimamente negli ultimi mesi. Non tardai molto ad avvedermi 

30    che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla

dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da

una costantissima dissimulazione, e apparenza di cedere, era tale da non lasciar

la minima ombra di speranza. Tutto questo e le riflessioni fatte sulla natura degli

uomini, mi persuasero ch’io benché sprovveduto di tutto, non dovea confidare

35    se non in me stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me,13 non ho

voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte.14 Io so che la felicità dell’uomo

consiste nell’esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando,

che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza 

che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d’ogni grande azione, riducendoci

40    come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice

vita senz’altro pensiero. So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli

uomini grandi hanno avuto questo nome. E perché la carriera di quasi ogni uomo

di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò non mi sgomenta che la mia

cominci così. Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che

45    annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce

assai più che ogni disagio del corpo. I padri sogliono giudicare dei loro figli più

favorevolmente degli altri, ma Ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente

d’ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente

di grande: forse anche non riconosce altra grandezza che quella che si misura coi

50    calcoli, e colle norme geometriche. […]

Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m’inginocchio 

per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze.

Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, 

e così spero che sarà d’ora innanzi. Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla,15

55    il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a

servirmi. L’ultimo favore ch’io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza16

di questo figlio che l’ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come odiosa, né

la maledica; e se la sorte non ha voluto ch’Ella si possa lodare di lui, non ricusi di

concedergli quella compassione che non si nega neanche ai malfattori.

 >> pagina 903 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Questa lettera, non datata, risale alla fine del luglio 1819. L’anno è cruciale nella vita del giovane poeta, esasperato dalla malattia agli occhi, dalla percezione crescente dell’opprimente nucleo familiare e dalla maturazione del suo pessimismo. Siamo nel periodo della cosiddetta “conversione filosofica”, del passaggio «dal bello al vero», cioè dall’espressione dei sentimenti all’analisi razionale della vita umana, che segna il suo distacco da ogni religione e da ogni illusione. Il tentativo di fuga da Recanati cade proprio in questa fase: la lettera viene scritta quando Leopardi è sicuro della buona riuscita dell’impresa e in questa prospettiva va letta, senza tener conto del suo esito negativo.

Il poeta difende strenuamente la scelta, affermando il proprio bisogno di autonomia, anche se questa comporta rischi e sacrifici. La conclusione però sembra – almeno nella forma – spegnere o attenuare i toni: Giacomo chiede perdono per il gesto che ha deciso di compiere, tentando di riacquistare la benevolenza del padre (Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, r. 51; un figlio che l’ha sempre venerata e l’ama, rr. 3-4, ecc.). Si tratta di un atteggiamento che rivela una volta ancora la complessità di un rapporto che il fallimento dell’azione tentata non scioglierà affatto: il poeta è destinato per tutta la vita a non spezzare mai del tutto quell’amato/odiato cordone ombelicale che lo lega all’ingombrante figura paterna.

 >> pagina  904 

Le scelte stilistiche

Giacomo si rivolge al padre con piena consapevolezza della gravità del suo gesto, come si comprende dal timoroso rispetto reverenziale del pronome-soggetto Ella, riferito a Monaldo, che troneggia, in evidente condizione di superiorità psicologica sul figlio.

A mano a mano che proseguiamo nella lettura, tuttavia, l’io del poeta comincia a recuperare terreno, emergendo con maggiore sicurezza. Con crescente drammaticità, il giovane rivendica il proprio diritto antagonistico nei confronti del padre: i periodi incominciano spesso con il pronome e i verbi alla prima persona singolare (Io vedeva, r. 14; Fui accolto, r. 18; Non tardai molto, r. 29), per giungere allo snodo fondamentale, nel quale Giacomo, ormai maggiorenne, dichiara la necessità di decidere da solo come condurre la propria esistenza: Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte (rr. 35-36). Troviamo dunque una serie di affermazioni che sottolineano, nell’ambito di un periodare paratattico, la componente titanica, cioè eroica e ribelle, della personalità leopardiana: Io so (r. 36), Odio (r. 38), ancora So (r. 41), fino al Voglio piuttosto essere infelice che piccolo (r. 44), con cui si esprime appieno l’atteggiamento romantico - quasi foscoliano - del poeta che sfida il mondo, le sue ipocrisie e le sue convenzioni pur di liberarsi da ogni tirannia.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Dividi la lettera in sequenze, sottolineandone i passaggi fondamentali.


2 Nella parte iniziale della lettera, in che modo Giacomo giudica il proprio comportamento nei confronti dei genitori?


3 In che cosa consiste la felicità secondo Leopardi?

Analizzare

4 Nel testo è presente una serie di parole chiave del lessico leopardiano. Prova a definire con il linguaggio attuale le espressioni riportate in tabella.


 Lessico leopardiano

Linguaggio attuale

orribili malinconie

 

strana immaginazione

 

istudi micidiali

 

terribile noia

 

Interpretare

5 Spiega e commenta la seguente frase: Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo (rr. 44-46).

Produrre

6 Scrivere per esporre. Dalla lettera, il rapporto di Giacomo con il padre appare complesso e non assimilabile del tutto a quello esistente tra un figlio ribelle e irrispettoso e un padre autoritario e insensibile. Con parole tue, descrivi tale relazione in un testo espositivo di circa 20 righe.

Dibattito in classe

7 Quali sono le ragioni che spingono il giovane Giacomo alla fuga? Possono essere condivise da un giovane del XXI secolo o ritieni che siano esclusivamente individuali e legate agli eventi che segnarono la gioventù del poeta e alla sua indole? Discutine con i compagni.

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento