Una fama precoce e duratura
Manzoni ha goduto di una fama straordinaria già in vita. Fin da ragazzo le sue doti intellettuali erano state notate dai maggiori letterati presenti nella Milano neoclassica: Vincenzo Monti e Ugo Foscolo. La conversione e la comparsa degli Inni sacri gli alienano tuttavia numerose simpatie. In compenso Johann Wolfgang Goethe, in Germania, gli riconosce «semplicità di sentimento, ma insieme audacia d’ingegno, di metafore, di costruzioni»; e qualche anno più tardi giudicherà Il cinque maggio il più bel componimento scritto in morte dell’imperatore Napoleone Bonaparte. L’ode suscita grande eco internazionale e piace anche al romanziere francese Stendhal, che non aveva invece apprezzato le tragedie, al pari di Foscolo. Quest’ultimo, esule in Inghilterra, pubblica infatti una perplessa recensione anonima al Conte di Carmagnola.
Nel 1827 enorme è il successo – non solo in Italia, dove fioriscono edizioni clandestine, ma in tutta Europa – dei Promessi sposi, subito tradotti in tedesco, francese, inglese. La scelta del genere romanzo, per realizzare la proposta romantica di una letteratura “popolare”, suscita tuttavia le diffidenze di molti letterati. Istruttiva in merito è la testimonianza a caldo di Leopardi: «Le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione; gli altri generalmente lo lodano».
Nei decenni successivi Manzoni occupa, pur con la sua discrezione abituale, un ruolo di primo piano fra gli scrittori italiani, lavorando sino alle soglie dei novant’anni, circondato dall’ammirazione generale. Ciò spiega l’avversione nei suoi confronti di un poeta scapigliato come Emilio Praga, che in Preludio arriva addirittura ad augurargli la morte: «Casto poeta che l’Italia adora, / vegliardo in sante visioni assorto, / tu puoi morir!… Degli antecristi è l’ora!» (1864). Ma quando Manzoni scomparirà, nel 1873, Praga scriverà una commossa palinodia, cioè un componimento poetico di tenore opposto a quello precedente.