Un’avversione dichiarata
«Nicoletto, Basetta, Basettone-Moralone, Bel-collo, poeta iperbolico, Zacinzio»: nel ricoprire il malcapitato Foscolo di questa pioggia di epiteti irridenti, lo scrittore Carlo Emilio Gadda (1893-1973), autore di alcuni dei massimi capolavori della letteratura italiana novecentesca (da La cognizione del dolore a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana) attinge da tutta la propria iperbolica fantasia espressionistica.
Al pari di quanto accade a Carducci – un altro poeta ottocentesco che Gadda gratifica dell’etichetta di «strafalcionista» – Foscolo e la sua immagine di poeta e di uomo vengono messi in ridicolo in un testo teatrale, o meglio in una “conversazione a tre voci” composta nel 1958 e trasmessa il 5 dicembre di quell’anno sul terzo programma radiofonico della Rai, prima di essere pubblicata nel 1967 con il titolo Il guerriero, l’amazzone, lo spirto della poesia nel verso immortale del Foscolo, in cui il sarcasmo gaddiano si accanisce contro la “gloria patria” per farne un ritratto irriverente e a tratti perfino crudele. Il testo mette in scena un immaginario “fan” del poeta dai toni adoranti, il professor Manfredo Bodoni Tacchi; un denigratore, l’avvocato Damaso de’ Linguagi (che in origine però aveva lo stesso nome di Gadda, Carlo, e in cui Gadda stesso si immedesima); e una nobildonna che avrebbe forse voluto far parte della cerchia delle donne amate dal poeta, donna Clorinda Frinelli. Ecco alcuni giudizi dell’avvocato de’ Linguagi: