T12 - L’illusione del sepolcro

T12

L’illusione del sepolcro

Prima parte (vv. 1-90)

Nella Lettera a Monsieur Guillon Foscolo fornisce un «estratto», cioè un riassunto, del carme. Ne riproduciamo il contenuto in funzione di introduzione prima di ciascuna parte antologizzata. «I monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene (vv. 1-40): solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano (vv. 41-50); a torto dunque la legge accomuna le sepolture de’ tristi [malvagi] e dei buoni, degl’illustri e degl’infami [meritevoli di essere dimenticati] (vv. 51-90)».


Metro Endecasillabi sciolti.

Deorum Manium Iura Sancta Sunto*


A Ippolito Pindemonte


All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove piú il Sole

per me alla terra non fecondi questa

5      bella d’erbe famiglia e d’animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l’ore future,

né da te, dolce amico, udrò più il verso

e la mesta armonia che lo governa,

10    né piú nel cor mi parlerà lo spirto

delle vergini Muse e dell’amore,

unico spirto a mia vita raminga,

qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso

che distingua le mie dalle infinite

15    ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

tutte cose l’obblìo nella sua notte;

e una forza operosa le affatica

20    di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe

e l’estreme sembianze e le reliquie

della terra e del ciel traveste il tempo.

Ma perché pria del tempo a sé il mortale

invidierà l’illusïon che spento

25    pur lo sofferma al limitar di Dite?

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l’armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de’ suoi? Celeste è questa

30    corrispondenza d’amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l’amico estinto

e l’estinto con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

35    nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall’insultar de’ nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

e di fiori odorata arbore amica

40    le ceneri di molli ombre consoli.

Sol chi non lascia eredità d’affetti

poca gioia ha dell’urna; e se pur mira

dopo l’esequie, errar vede il suo spirto

fra ’l compianto de’ templi Acherontei,

45    o ricovrarsi sotto le grandi ale

del perdono d’Iddio: ma la sua polve

lascia alle ortiche di deserta gleba

ove né donna innamorata preghi,

né passeggier solingo oda il sospiro

50    che dal tumulo a noi manda Natura.

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti

contende. E senza tomba giace il tuo

sacerdote, o Talia, che a te cantando

55    nel suo povero tetto educò un lauro

con lungo amore, e t’appendea corone;

e tu gli ornavi del tuo riso i canti

che il lombardo pungean Sardanapalo,

cui solo è dolce il muggito de’ buoi

60    che dagli antri abdüani e dal Ticino

lo fan d’ozi beato e di vivande.

O bella Musa, ove sei tu? Non sento

spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,

fra queste piante ov’io siedo e sospiro

65    il mio tetto materno. E tu venivi

e sorridevi a lui sotto quel tiglio

ch’ or con dimesse frondi va fremendo

perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio

cui già di calma era cortese e d’ombre.

70    Forse tu fra plebei tumuli guardi

vagolando, ove dorma il sacro capo

del tuo Parini? A lui non ombre pose

tra le sue mura la città, lasciva

d’evirati cantori allettatrice,

75    non pietra, non parola; e forse l’ossa

col mozzo capo gl’insanguina il ladro

che lasciò sul patibolo i delitti.

Senti raspar fra le macerie e i bronchi

la derelitta cagna ramingando

80    su le fosse e famelica ululando;

e uscir del teschio, ove fuggia la luna,

l’ùpupa, e svolazzar su per le croci

sparse per la funerëa campagna

e l’immonda accusar col luttüoso

85    singulto i rai di che son pie le stelle

alle obblïate sepolture. Indarno

sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade

dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti

non sorge fiore, ove non sia d’umane

90    lodi onorato e d’amoroso pianto.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Due domande retoriche segnano l’inizio del componimento: una è l’esordio stesso (vv. 2-3), l’altra le fa eco ai vv. 3-15. Come proseguendo un colloquio intimo che riprende i discorsi fatti con gli amici, in particolare con Ippolito Pindemonte, Foscolo affronta il tema del valore delle sepolture, inizialmente da un punto di vista segnato da un deciso e rigido razionalismo. Niente può placare la durezza della morte: il sonno eterno non può essere alterato da alcuna azione umana; la fine cancella tutto ciò che è stato e quindi dalla tomba non può venire alcuna consolazione per chi è morto (Anche la Speme, / ultima Dea, fugge i sepolcri, vv. 16-17). All’immagine poetica delle urne confortate di pianto (vv. 1-2) si contrappone l’insensibile materialità del sasso (v. 13), che pare restituire la percezione esclusivamente fisica della morte; al Sole (v. 3), che simboleggia la vita, con la bella d’erbe famiglia e d’animali (v. 5) fecondata dai suoi raggi, subentra il suo contrario, la notte (v. 18) che avvolge nel suo obblìo (v. 18) le azioni umane.

La congiunzione avversativa Ma segna, però, al v. 23 una svolta significativa nello sviluppo discorsivo del carme: dal dominio della natura si passa a una prospettiva diversa, anch’essa introdotta mediante due interrogative (Ma perché pria del tempo […]?, vv. 23-25; Non vive ei forse anche sotterra […]?, vv. 26-29). La concezione razionale della realtà lascia spazio a quella sentimentale, come suggerisce la presenza di aggettivi quali celeste (v. 29) e sacre (v. 36), che elevano il discorso a un piano spirituale.

Foscolo infatti corregge la logica materialistica e negativa iniziale con una sentimentale e positiva: l’azione distruttiva della natura può essere bilanciata da un’altra verità non meno importante, quella emotiva e poetica, in virtù della quale il culto pietoso delle tombe può sconfiggere, almeno idealmente, il tempo e la sua forza di distruzione. Il sepolcro rappresenta dunque un’illusïon (v. 24) di sopravvivenza per i defunti, attraverso il ricordo di coloro che rimangono, stretti gli uni agli altri in una corrispondenza d’amorosi sensi (v. 30), in un abbraccio che il chiasmo* rende eloquentemente (per lei si vive con l’amico estinto / e l’estinto con noi, vv. 32-33). Il sasso (v. 38), a questo punto, portando con sé l’identità di un nome e un preciso valore affettivo, non è più una semplice lastra tombale, ma diventa urna (v. 42), che custodisce un vincolo profondo.

I vv. 41-50 introducono però una condizione: la tomba non conforta tutti allo stesso modo. A differenza del generoso, lo spirito volgare rimane fuori dalla corrispondenza, prigioniero del meccanismo materiale che non può aspirare a superare; la sua esistenza non prosegue oltre la morte fisica perché la sua vita è stata priva di valori morali da lasciare in eredità ai posteri: intorno alla sua tomba si sviluppa il terreno incolto, metafora di un’aridità senza conforto, puntualmente confermata da scelte lessicali che rimandano al campo semantico della desolazione (ortiche di deserta gleba, v. 47).

Lo snodo fondamentale della prima parte dei Sepolcri si trova però al v. 51, dove troviamo una violenta «transizione» (Pur nuova legge). L’avversativa pur preannuncia la presa di posizione polemica del poeta contro gli effetti dell’editto di Saint-Cloud, primo tra tutti l’impossibilità di distinguere i sepolcri e quindi di riconoscere le tombe dei grandi, i quali rimangono così vittime di un’assurda volontà livellatrice. Significativo in questo senso è l’esempio di Parini, sepolto in una fossa comune e forse oltraggiato dal contatto con il corpo di un ladro. Questo ignobile trattamento riservato a un uomo venerabile è un indizio dei tempi, che riportano l’uomo nella dimensione primitiva dell’istinto bestiale, nella squallida notte (v. 88) che simboleggia il venir meno dell’umanità, l’eclissi della pietà e del rispetto che si deve a un grande poeta. Nella funerëa campagna (v. 83), dipinta da Foscolo con le immagini lugubri tipiche della moda sepolcrale preromantica, il dialogo tra i vivi e i morti non è possibile: la civiltà e la luce sono sostituite dalla barbarie e dall’oscurità.

 >> pagina 590 

Le scelte stilistiche

Fin dai primissimi versi del carme, lo stile foscoliano si presenta con i suoi tratti inconfondibili: fortissimo è il dinamismo dei versi, dalle accentazioni estremamente variabili; il discorso supera sempre i limiti del verso per diffondersi in frasi ampie, concatenate dagli enjambement* e complicate da inversioni e iperbati*; l’ipotassi* prevale nettamente sulla paratassi*, scelta necessaria a conferire forma adeguata alla complessità dell’argomentazione (si veda la seconda delle domande retoriche poste in apertura, che si estende dal v. 3 al v. 15). Le immagini si accavallano l’una sull’altra in sequenze di subordinate, per assecondare l’appassionato movimento espositivo, che si serve, per far procedere il ragionamento, di varie espressioni di collegamento: Vero è ben (v. 16), Ma (v. 23), Pur (v. 51).

Il conflitto tra morte e vita traspare dal contrasto di scelte lessicali che rimandano appunto a questa opposizione. Nei primi versi del componimento, Sole (v. 3), pianto (v. 2), ombra de’ cipressi (v. 1) disegnano semanticamente il campo della vita, al quale si contrappongono le parole della morte: notte (v. 18), ossa (v. 15), sasso (v. 13), obblìo (v. 18), tempo (v. 22). Ma il significato pregnante delle antitesi* si evidenzia anche più avanti, quando il macabro e desolato panorama che accoglie le ossa di Parini viene descritto con termini squallidi e mortuari: deserta gleba (v. 47), le macerie e i bronchi (v. 78) sostituiscono i loro corrispondenti positivi ombre (v. 40), arbore (v. 39), fiori (v. 39).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Qual è il significato dei versi Sol chi non lascia eredità d’affetti / poca gioia ha dell’urna (vv. 41-42)?


2 Spiega con parole tue che cos’è la corrispondenza d’amorosi sensi (v. 30).


3 Perché Parini senza tomba giace (v. 53)?

Analizzare

4 Svolgi l’analisi del periodo dal v. 3 al v. 15.


5 Ai vv. 4-5 l’espressione questa bella d’erbe famiglia e d’animali è

  • a un poliptoto.
  • b un iperbato.
  • c  un chiasmo.
  • d  una similitudine.


6 Ai vv. 55 e 65 tetto è

  • a  un’iperbole.
  • b un’anafora.
  • c  una sineddoche.
  • d  un chiasmo.


7 Elenca tutti i termini con i quali Foscolo indica i resti del corpo dopo la morte. Quale idea trasmettono di per sé e in forza degli aggettivi che li accompagnano? Svolgi poi la stessa operazione con i vocaboli indicanti la tomba e i relativi aggettivi.

interpretare

8 Spiega le seguenti espressioni riferite a Parini:

  • è sacerdote di Talia;
  • fa poesia in un povero tetto;
  • i suoi canti pungean.

9 Dal punto di vista razionale, quale risposta dà Foscolo alle due interrogative iniziali? Come si concilia tale risposta con le argomentazioni successive?


10 A che cosa si riferisce l’autore con l’espressione il sospiro / che dal tumulo a noi manda Natura (vv. 49-50)?

Dibattito in classe

11 Foscolo ha un’idea molto chiara di come dovrebbero essere le sepolture (vv. 37-40) per garantire la corrispondenza d’amorosi sensi tra defunti e vivi. Oggi si stanno diffondendo atteggiamenti diversi nei confronti dei morti rispetto a quelle tradizionali (cremazione con dispersione delle ceneri, sepolture “ecologiche”…): tu che cosa ne pensi? Credi sia necessaria una tomba per rispettare e ricordare i defunti oppure no? Discutine con i compagni.

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento