T2 - La vita è un «ingannevole sogno» (Ultime lettere di Jacopo Ortis)

T2

La vita è un «ingannevole sogno»

Ultime lettere di Jacopo Ortis, Parte prima

Dopo aver compreso che Teresa, la donna amata, non potrà essere sua, Jacopo inizia il proprio vagabondaggio nelle campagne dei colli Euganei, dove la contemplazione del pae­saggio gli ispira riflessioni amare sul destino umano.

Da' colli Euganei, 19 Gennajo 1798

Umana vita? sogno; ingannevole sogno al quale noi pur diam sì gran prezzo,1 siccome

le donnicciuole2 ripongono la loro ventura3 nelle superstizioni e ne’ presagj!

Bada;4 ciò cui tu stendi avidamente la mano è un’ombra forse, che mentre è a te

cara, a tal altro è nojosa.5 Sta dunque tutta la mia felicità nella vota6 apparenza

5      delle cose che ora m’attorniano; e s’io cerco alcun che di reale,7 o torno a ingannarmi,

o spazio attonito e spaventato nel nulla!8 Io non lo so; ma, per me, temo che

Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo9 dell’incomprensibile

suo sistema, dotandone di cotanto10 amor proprio, perché il sommo

timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di

10    mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia,11

infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio

che ci fa reputare12 l’universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar

leggi al creato.

Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferrajuolato13 sino agli occhi,

15    considerando lo squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda

che mi attestasse le sue passate dovizie.14 Né potevano gli occhi miei lungamente

fissarsi su le spalle de’ monti, il vertice15 de’ quali era immerso in una negra

nube di gelida nebbia che piombava ad accrescere il lutto dell’aere freddo

ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi disciogliersi e precipitare a16 torrenti che

20    innondavano il piano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti,17 capanne,

e sterminando in un giorno le fatiche di tanti anni, e le speranze di tante famiglie.

Trapelava di quando in quando un raggio di Sole, il quale quantunque restasse poi

soverchiato dalla caligine,18 lasciava pur divedere19 che sua mercé soltanto il mondo

non era dominato da una perpetua notte profonda. Ed io rivolgendomi a quella

25    parte di cielo che albeggiando manteneva ancora le tracce del suo splendore: – O

Sole, diss’io, tutto cangia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguardo

da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora le nubi corteggeranno20 i tuoi raggi

cadenti; né più l’alba inghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo raggio su

l’oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto della tua carriera,21 che sarà forse

30    affannosa, e simile a questa dell’uomo; tu ’l vedi; l’uomo non gode de’ suoi giorni;

e se talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti prati d’Aprile, dee22 pur sempre

temere l’infocato aere dell’estate, e il ghiaccio mortale del verno.

 >> pagina 541

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

L’esistenza umana è un sogno ingannevole e la natura è indifferente alla nostra sorte. Questo concetto antico, presente nella tradizione occidentale come in quella orientale, viene ripreso da Foscolo che ha ben presenti sia le famose parole di William Shake­speare («Noi siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è circondata di sonno», dice il saggio mago Prospero nella Tempesta), sia l’altrettanto famosa opera del drammaturgo spagnolo Pedro Calderón de la Barca, dal titolo La vita è sogno (1635). Le cose a cui teniamo di più, i nostri ideali al pari di tutto ciò che possediamo nella vita, hanno semplicemente – e tragicamente – la consistenza di ombre. L’illusione è menzognera, ci fa credere in un mondo che non esiste ed è solo lo specchio delle nostre aspettative più profonde, che non trovano alcun riscontro nella realtà.

All’interno di una concezione della vita materialistica e meccanicistica di stampo illuministico, la natura è la grande colpevole, preoccupata solo di governare il mondo all’interno di un ciclo di produzione e distruzione: essa ha creato la stirpe umana quasi minimo anello passivo dell’incomprensibile suo sistema (rr. 7-8). Jacopo (esprimendo direttamente le idee dell’autore) non parla di Dio ma di una forza impersonale, che ha generato esseri mortali come anelli di una catena meccanica, minuscoli e ciecamente asserviti a un fine che non conoscono.

Gli individui della specie umana hanno in più un difetto gravissimo, che nella Grecia antica si identificava con il peccato di hybris, un insieme di orgoglio, tracotanza, brama di autoaffermazione e sfida rivolta contro volontà superiori (il destino, gli dèi stessi), con le quali è persino ridicolo mettersi a confronto, tanto gli uomini sono miseri, inermi e soli.

Le scelte stilistiche

Umana vita? sogno: l’inizio della lettera introduce il lettore nel mezzo di una meditazione già iniziata, che si può quindi immaginare come persistente nell’animo irrequieto di Jacopo. L’andamento del discorso è quello di un monologo drammatico, in cui all’intonazione meditativa iniziale, scandita da un periodare ampio e complesso e suggerita anche dall’uso del tempo presente, ne subentra nella seconda parte (dalla r. 14 in poi)una più narrativa, contrassegnata dall’imperfetto. Nelle righe conclusive (in cui l’autore rielabora i versi di una poesia giovanile, Al Sole, composta nel 1797), invece, le immagini si fanno più liriche, con l’invocazione al Sole (dalla r. 25 in avanti) che si apre al tono profetico, sottolineato dalla presenza dei verbi al futuro.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi il contenuto della lettera in circa 5 righe.

Analizzare

2 Nel primo paragrafo Jacopo fa uso di un climax. Individualo e spiegane il significato.


3 Spiega la metafora con cui si chiude il brano.


4 Descrivi le caratteristiche del paesaggio ed evidenzia gli elementi preromantici che è possibile cogliervi.

 >> pagina 542

Interpretare

5 Che cosa intende Foscolo con la frase l’uomo non gode de’ suoi giorni (r. 29)?


6 La specie umana viene definita un minimo anello passivo (r. 6) nel sistema della natura. Spiega questa espressione, soffermandoti in particolare sul significato dell’aggettivo passivo.


7 Alle rr. 25-26 Jacopo chiama in causa Dio (E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguardo da te): a tuo giudizio, tale riferimento appare incoerente con la visione meccanicistica che Foscolo ha della realtà? Motiva la tua risposta.

Produrre

8 Scrivere per argomentare. Le righe finali (rr. 25-32) richiamano la canzone giovanile Al Sole. Leggi la poesia contenuta nel libro digitale e commenta, in un testo espositivo-argomentativo di circa 20 righe, analogie e differenze.

T3

L’amore di Teresa

Ultime lettere di Jacopo Ortis, Parte prima

Durante una passeggiata sui monti, mentre la Luna sorge all’orizzonte, Jacopo incontra Teresa, che gli parla della passione di Petrarca per Laura e accende nel cuore dell’innamorato il sentimento struggente di una profonda affinità. I due si siedono sotto un grande gelso e si scambiano un bacio, che trasforma l’animo del giovane, il quale sente improvvisamente la natura e la vita stessa trasfigurarsi ai suoi occhi. Riportiamo qui le tre lettere in cui il protagonista racconta l’avvenimento all’amico e descrive gli effetti che esso ha prodotto nel suo animo.

14 Maggio, ore 11

Sì, Lorenzo! – dianzi io meditai di tacertelo – or odilo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa

– d’un suo bacio – e le mie guance sono state innondate dalle lagrime di Teresa.

Mi ama – lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l’estasi di questo giorno di paradiso.

14 Maggio, a sera

5       O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare: mi sento un

po’ calmato e torno a scriverti. – Teresa giacea sotto il gelso – ma e che posso dirti

che non sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste parole tutto ciò ch’io

vedeva mi sembrava un riso dell’universo: io mirava con occhi di riconoscenza il

cielo, e mi parea ch’egli si spalancasse per accoglierci! deh! a che1 non venne la

10    morte? e l’ho invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel

momento un odore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano da lontano;

e tutte le cose s’abbellivano allo splendore della Luna che era tutta piena della

luce infinita della Divinità.2 Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja di due

cuori ebbri di amore – ho baciata e ribaciata quella mano – e Teresa mi abbracciava

tutta tremante,3 e trasfondea4 i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava

15    su questo petto: mirandomi co’ suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le sue

labbra umide, socchiuse mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto mi si è

staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella e s’alzò correndole incontro.

Io me le sono prostrato,5 e tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti – ma

non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù – e non tanto la sua virtù,

20    quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva6 e sento rimorso di averla io primo

eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso – rimorso di tradimento! Ahi mio

cuore codardo! – Me le sono accostato tremando. – Non posso essere vostra mai!

– e pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una occhiata con cui parea

rimproverarsi e compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò

25    più; né io avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata7 del giardino mi prese

di mano la Isabellina8 e lasciandomi: Addio, diss’ella; e rivolgendosi dopo pochi

passi, – addio.

Io rimasi estatico: avrei baciate l’orme de’ suoi piedi: pendeva un suo braccio, e

i suoi capelli rilucenti al raggio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appena

30    appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere9

le ondeggianti sue vesti che da lontano ancor biancheggiavano; e poiché l’ebbi

perduta, tendeva l’orecchio sperando di udir la sua voce. – E partendo, mi volsi con

le braccia aperte, quasi per consolarmi, all’astro di Venere: era anch’esso sparito.

15 Maggio

Dopo quel bacio io son fatto divino.10 Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio

35    aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole.11 Mi pare che tutto s’abbellisca

a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli,12 e il bisbiglio de’ zefiri13 fra le frondi son

oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei

piedi;14 non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno

è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando15

40    ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle

sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli

animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle

più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad

altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà,

45    per cui sorride talvolta il labbro16 dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive

sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e

morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata;17 gli animali, nemici fra loro; il

Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso

che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido

50    delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire.18 – O Lorenzo!

sto spesso sdrajato su la riva del lago de’ cinque fonti19 mi sento vezzeggiare20 la

faccia e le chiome dai venticelli che alitando21 sommovono l’erba, e allegrano i fiori,

e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente

mi veggo dinanzi le Ninfe22 ignude, saltanti,23 inghirlandate di rose, e invoco in lor

55    compagnia le Muse e l’Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo

uscir sino al petto con le chiome stillanti24 sparse su le spalle rugiadose, e con gli

occhi ridenti le Najadi,25 amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo.

– Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci

delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che

60    diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell’uomo,26 e che trovavano

il Bello ed il Vero accarezzando gli idoli27 della lor fantasia! Illusioni! ma

intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor

più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire,28 io

me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.

 >> pagina 544

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il bacio di Teresa sconvolge Jacopo, che ne descrive gli effetti all’amico, in un crescendo di reazioni scatenate dall’amore e ora rappresentate con un ritmo frenetico, addirittura convulso, provocato da un’emozione prepotente. La sera stessa, Jacopo riflette sull’accaduto e rende partecipe il suo confidente dell’evolversi della vicenda, analizzando gli episodi della giornata con psicologia sottile ed estrema partecipazione: oltre al trasporto emotivo del protagonista, alle sue esitazioni e alla sua veemenza, scopriamo però, in controluce, anche la complessa personalità di Teresa, donna angelicata nella migliore tradizione stilnovista (come indicano i suoi tremori e sospiri, r. 14), ma anche figura dotata di passioni capaci di travalicare ogni convenzione sociale e familiare (il suo ardore romantico è espresso con palpiti e languori, rr. 14-15).

La seconda lettera (14 Maggio, a sera) è percorsa dai sentimenti che si avvicendano: la natura sembra partecipare all’estasi di Jacopo, l’intero universo sorride, in quella sorta di simbiotico rispecchiamento tra paesaggio e stato d’animo che è uno dei tratti tipici della sensibilità romantica. Al tempo stesso, però, Jacopo è turbato, teme di violare il “cuore innocente” di Teresa, avverte che la propria felicità non può essere slegata dal dolore e dall’imminenza della morte, in un triste presentimento che la verità si incarica subito di confermare quando Teresa gli dice: Non posso essere vostra mai! (r. 22).

La consapevolezza dell’irrealizzabilità dell’amore non cancella però la percezione della sua forza irresistibile. Nella lettera del giorno successivo il senso di pienezza che il sentimento trasmette rende la realtà molto diversa da come fino a quel momento è apparsa a Jacopo. Gli effetti del bacio lo portano a sperimentare appieno la potenza dell’amore descritta nella tradizione lirica: l’innamorato che si identifica con la stagione primaverile, la passione che ispira la poesia, l’amore che anima il cosmo e diventa principio di eroismo (le altissime imprese, r. 44), di umanità (la Pietà, r. 44), di vita stessa. Tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia (rr. 38-39), confessa il protagonista, che vede il suo destino rasserenarsi e il mondo popolarsi di presenze divine dell’antica tradizione pagana. Tutta la seconda parte della lettera del 15 maggio evoca le ombre gentili della mitologia: Ninfe, Muse, Naiadi appaiono a Jacopo che sta delirando deliziosamente (r. 53). Appaiono anche le Grazie, prefigurando il poema che Foscolo comporrà dieci anni dopo, già associate nel pensiero del protagonista al Bello e al Vero, che l’uomo può scoprire contemplando gli idoli della lor fantasia (r. 61).

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Recuperando, secondo lo spirito neoclassico, i valori della bellezza e dell’armonia – e al contempo polemizzando con i filosofi, che con atteggiamento raziocinante condannano i frutti dell’immaginazione poetica – Foscolo ragiona qui proprio sulla potenza salvifica delle illusioni come risarcimento dal dolore provocato dalla Storia: esattamente allo stesso modo degli antichi, i quali, grazie al conforto della fantasia, erano in grado di vincere i limiti umani. Le illusioni peraltro non costituiscono una fuga dal mondo o un mezzo per evadere nella dimensione astratta e consolatoria del sogno, ma al contrario rappresentano lo strumento (l’unico concesso all’uomo) per attivare le forze creative e un’energia indomita senza la quale la vita sarebbe ridotta a pianto, terrore e distruzione universale (r. 48). Si avverte qui una critica del razionalismo illuministico, colpevole, con la sua fredda analisi del reale, di evidenziare il dolore dell’esistenza umana, spegnendo ogni illusione e condannando quindi l’individuo alla noia e alla rassegnazione.

Le scelte stilistiche

Jacopo non riesce a raccontare in modo puntuale e razionale ciò che è accaduto: ha bisogno di scrivere tre lettere il 14 (la prima, che non abbiamo riportato, costituisce una sorta di preambolo narrativo al bacio) e poi un’altra, il giorno immediatamente successivo, per fermare il prorompere della passione amorosa e descrivere l’impatto che essa ha avuto su di lui. Il breve biglietto inviato all’amico (14 Maggio, ore 11) comunica tutta la sua eccitazione, che egli chiede di non turbare (lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l’estasi di questo giorno di paradiso, r. 3). Ma anche la lettera successiva (14 Maggio, a sera) svela la sua tensione emotiva, sottolineata da interrogative, esclamative, interiezioni (deh, r. 8; ahi, r. 16).

L’enfasi non diminuisce nemmeno il giorno successivo, quando l’autore esprime, con entusiastica commozione, il palpito dei sensi e della mente (divino, r. 34; alte e ridenti, r. 34; gajo, r. 35: sono solo alcuni degli aggettivi che troviamo nelle prime frasi). Anche in questo caso, la componente sentimentale traspare chiaramente sulla pagina, puntellata com’è da esclamazioni (O Amore!, r. 40; O Lorenzo!, r. 50; Illusioni! Grida il filosofo, r. 57; tutto! Beati gli antichi, r. 58) e da domande retoriche (Lo credi tu?, r. 53; Or non è tutto illusione?, r. 58). L’emozione raggiunge infine il culmine con l’immagine conclusiva: se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani (rr. 63-64).

 >> pagina 546

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Dai un titolo a ciascuna delle tre lettere presen­tate.


2 All’inizio della lettera del 15 maggio Jacopo descrive gli effetti del bacio sulla propria percezione di sé e della natura. Riassumili in un linguaggio corrente.

Analizzare

3 Che tipo di lessico utilizza Jacopo in queste lettere?


4 Quali dettagli fisici ci vengono mostrati di Teresa? E qual è il suo comportamento? Dopo avere individuato tutte le espressioni che la riguardano, analizzale e prova a costruire un ritratto della donna.


5 L’espressione delirando deliziosamente (r. 53) presenta contemporaneamente due figure retoriche. Quali?


6 Elenca tutti gli aggettivi che connotano positivamente la condizione interiore di Jacopo.

Interpretare

7 Nella descrizione della natura compaiono elementi tipici sia della sensibilità neoclassica sia di quella preromantica. Quali sono?


8 In che senso gli antichi vengono definiti Beati (r. 58)? Quale capacità li differenzia dai moderni?


9 Quale immagine della Natura emerge nella lettera del 15 Maggio?

Produrre

10 Scrivere per esporre. In queste lettere emerge chiaramente la funzione delle illusioni esercitata, secondo Foscolo, nella vita umana. Facendo diretto riferimento al racconto e alle considerazioni di Jacopo, ragiona sull’argomento in un testo espositivo di circa 25 righe.

T4

L’incontro con Parini

Ultime lettere di Jacopo Ortis, Parte seconda

Quando fuggì esule, dopo il trattato di Campoformio Foscolo incontrò Parini a Milano. Nel brano che riportiamo egli immagina che anche Jacopo, durante una delle sue peregrinazioni, incontri il «vecchio venerando» una sera presso i tigli di Porta Orientale. Si tratta di un momento molto importante del romanzo: l’incontro di Jacopo con Parini segna infatti la conclusione del percorso ideologico del protagonista, ormai irrimediabilmente dominato dal senso di delusione storica; non a caso comincia a presentarsi alla sua mente l’idea del suicidio.

Milano, 4 Dicembre

[…] Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando1 nel sobborgo

orientale della città sotto un boschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul

mio braccio, dall’altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e

poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi

5      ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S’assise sopra uno di

que’ sedili2 ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio

più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e d’altronde un

profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a

lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza.3

10    Le lettere prostituite;4 tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente

vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più

l’amore figliale – e poi mi tesseva gli annali recenti,5 e i delitti6 di tanti uomiciattoli

ch’io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d’animo,

non dirò di Silla e di Catilina,7 ma di quegli animosi masnadieri8 che affrontano

15    il misfatto quantunque e’ si vedano presso il patibolo9 – ma ladroncelli, tremanti,

saccenti10 – più onesto insomma è tacerne. – A quelle parole io m’infiammava di

un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà

dal nostro sangue11 il vendicatore. – Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel

dubbio chiarore12 scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si

20    rialzò con aria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare

cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute13 mai? ah se gli

uomini si conducessero sempre al fianco la morte,14 non servirebbero sì vilmente.

– Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più

fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch’io tornassi a sedermi: E pensi, tu,

25    proruppe, che s’io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della15

mia inferma vecchiaja in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata!

se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale,16 ché non lo volgi ad altre passioni?

Allora io guardai nel passato – allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io

errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere

30    nulla;17 e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso

Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que’ genj celesti18

i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle

mie parole e al mio pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo.

– No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica;

35    spesse volte mi sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate19 e seguirmi

fino a sommo il monte,20 donde io stava per diruparmi,21 e mentre era quasi con

tutto il corpo abbandonato nell’aria – essa afferravami per la falda22 delle vesti, e mi

ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure s’ella – spiasse23 tutti

gli occulti miei guai,24 implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansiosi miei

40    giorni. Ma l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è

la speranza di tentare la libertà della patria. – Egli sorrise mestamente; e poiché s’ac

corse che la mia voce infiochiva,25 e i miei sguardi si abbassavano immoti sul suolo,

ricominciò: – Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma

– credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte;

45    e l’altro quarto a’ loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente26 fortunato e crudele per

aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte

le età,27 e questo giogo28 della nostra patria non ti hanno per anco29 insegnato che

non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s’intrica30 nelle faccende di un

paese conquistato31 non ritrae32 che il pubblico danno, e la propria infamia.33 Quando

50    e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e

pretende il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che

profugo cercava per l’universo un nemico al popolo Romano?34 – Né ti sarà dato di

essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore,35 ma povero di ricchezze,

ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno36 del fazioso, o la

55    vittima del potente. E dove37 tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato

dalla comune bruttura,38 oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale

notturno della calunnia;39 la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il

tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. – Ma poniamo che tu superando

e la prepotenza degli stranieri e la malignità de’ tuoi concittadini e la corruzione de’

60    tempi, potessi aspirare al tuo intento; di’? spargerai tutto il sangue col quale conviene

nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci40 della guerra civile?

unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi

le fortune?41 ma se tu cadi tra via,42 vediti esecrato43 dagli uni come demagogo, dagli

altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti;44 giudica, più

65    che dall’intento, dalla fortuna;45 chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l’onestà

che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi,46 conviene o atterrirla, o ingrassarla, e

ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere

in te la libidine47 del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento

della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento?48 I mortali49 sono

70    naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a

puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno;50 e per pochi anni di possanza

e di tremore,51 avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa

turba dei despoti. – Ti avanza ancora un seggio fra’ capitani;52 il quale si afferra per

mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere, e spesso di una

75    viltà per cui si lambe la mano che t’aita a salire.53 Ma – o figliuolo! L’umanità geme al

nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su

la sua bara. – Tacque – ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva!54

tu almeno sapevi morire incontaminato. – Il vecchio mi guardò – Se tu né speri, né

temi fuori di questo mondo – e mi stringeva la mano – ma io!55 – Alzò gli occhi al

80    Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva di soave conforto, come s’ei lassù

contemplasse tutte le tue speranze. – Intesi un calpestio che s’avanzava verso di noi;

e poi travidi56 gente fra’ tiglj; ci rizzammo;57 e l’accompagnai sino alle sue stanze. […]

8 Febbrajo, ore 3

Sono andato a dire addio al Parini. – Addio, mi disse, o giovine sfortunato. Tu porterai

da per tutto e sempre con te le tue generose passioni alle quali non potrai soddisfare

85    giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non posso consolarti co’ miei consiglj,

perché neppure giovano alle sventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo

dell’età ha intorpidito le mie membra; ma il cuore – veglia ancora. Il solo conforto

ch’io possa darti è la mia pietà: e tu la porti tutta con te. Fra poco io non vivrò più,

ma se le mie ceneri serberanno alcun sentimento – se troverai qualche sollievo

90    querelandoti58 su la mia sepoltura, vieni. – Io proruppi in dirottissime lagrime,59 e

lo lasciai: ed uscì seguendomi con gli occhi mentr’io fuggiva per quel lunghissimo

corridojo, e intesi che ei tuttavia mi diceva con voce piangente – addio.

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Analisi ATTIVA

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Jacopo e Parini sono accomunati dalla condanna della corruzione dei tempi presenti derivante dalla dominazione straniera e dal profondo desiderio di giustizia. Tuttavia appaiono da subito evidenti alcune differenze tra i due interlocutori. Si tratta innanzitutto di differenze caratteriali. Jacopo è un giovane idealista, inquieto, irruento, un ribelle tutto proteso all’azione, un eroe solitario, dai tratti alfieriani, refrattario ai compromessi. Parini è un uomo anziano, saggio, pacato, dotato di una visione più disincantata della realtà, incline a una riflessione capace di ponderare i diversi aspetti delle questioni; il suo è il distacco del sapiente, che conosce l’ineluttabilità di certe tristi dinamiche umane.

Ci sono poi anche alcune differenze ideologiche: proprio in virtù dell’irruenza giovanile di cui si diceva, Jacopo vorrebbe mettere presto in atto i suoi propositi, e si duole dell’impossibilità di farlo. Parini, invece, demistifica la retorica dell’eroismo: La fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti (rr.  44-45). Il suo cristianesimo lo porta ad aborrire la violenza e a condannare la scelta rivoluzionaria (che peraltro giudica sterile e velleitaria), proprio perché memore del recente terrore giacobino: di’? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? (rr. 60-61). Al tempo stesso, però, anche nel discorso di Parini confluiscono idee antitiranniche di matrice alfieriana: L’umanità geme al nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara (rr. 75-77). Del resto – come si diceva – comune ai due interlocutori è il superiore intento politico-civile: l’affermazione dell’indiscusso valore della libertà.


1 Quali sono i valori di cui Parini deplora la scomparsa?


2 Individua gli exempla tratti dalla storia romana: qual è la loro funzione?


3 Analizza il lessico utilizzato da Jacopo e da Parini, evidenziando le differenze (riporta opportuni esempi tratti dal testo).


4 In quale punto del testo fa capolino l’idea del suicidio?


5 Spiega il significato della seguente frase di Parini: Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù (rr. 48-50).


6 Individua nel testo le interrogative retoriche e le anafore e poi spiega qual è la funzione di tali figure.

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Foscolo conobbe personalmente Parini fra il novembre del 1797 e l’agosto del 1798, anche se lo scrittore, rievocando l’incontro in una delle sue lezioni pavesi, anticiperà l’avvenimento al 1796, probabilmente per conferire all’autore del Giorno un ruolo più determinante nella propria formazione letteraria: particolare che mette in luce l’importanza attribuita da Foscolo a Parini e la stima che egli nutriva nei suoi confronti. Foscolo scrive qui e ne scriverà più tardi nei Sepolcri (vv. 53-77), dove traccia una commossa “orazione funebre” del poeta, la cui ignota sepoltura equivale a una mancata occasione per trasmettere i valori da lui insegnati. Tutto ciò contribuì in maniera determinante a costruire di questo autore un vero e proprio “mito”, destinato ad affermarsi e a diffondersi durante tutto il Risorgimento (insieme, per motivi analoghi, a quello dello stesso Foscolo).

Già nel brano dell’Ortis, Parini è, di fatto, un personaggio di invenzione letteraria: il suo essere claudicante sembra rimandare all’autoritratto che il poeta lombardo aveva tracciato di sé stesso nell’ode La caduta. Il Parini foscoliano non è più il fine letterato e raffinato poeta che emerge dalle testimonianze dei suoi contemporanei (non c’è nulla della sua ironia e della sua moderazione), bensì un autentico eroe della resistenza, un uomo «innalzato a campione dei più profondi ideali patriottici, di fieri sdegni contro le tirannidi e di animosa rivolta contro lo straniero» (Caretti).


7 Individua gli aggettivi che vengono usati per descrivere Parini.


8 Quale atteggiamento mostra Jacopo verso la difficoltà fisica di Parini?


9 Quali insegnamenti trasmette Parini a Jacopo rispetto alla libertà, alla giustizia e all’atteggiamento delle masse?


10 Che senso ha l’accenno di Parini alla propria sepoltura, al momento del commiato da Jacopo?


11 Scrivere per esporre. Non è difficile scorgere – dietro l’immagine di chi, inorgoglito dalla sterminata Fortuna (rr. 66-67), aspira a un potere senza limiti – un’allusione a Napoleone. Facendo riferimento a quanto hai finora studiato, illustra in un testo di circa 30 righe il rapporto tra il poeta e il condottiero, sottolineando come e perché esso evolva nel tempo.


12 Scrivere per raccontare. C’è, nella tua vita, una persona che consideri autorevole e con la quale trovi utile confrontarti sulle questioni importanti, per riceverne consiglio e orientamento? Parlane in un testo di circa 30 righe.

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento