L’opera

La  bottega del caffè

La bottega del caffè, commedia in tre atti composta nel 1750, si basa su un intermezzo musicale scritto da Goldoni nel 1736, il cui protagonista è un caffettiere.

La commedia riscuote subito un grande successo. I protagonisti sono Brighella e Arlecchino, maschere della commedia dell’arte. Nella versione a stampa del 1753 Goldoni cambia i loro nomi, li rende più realistici e psicologicamente definiti e non li fa parlare in dialetto.

La bottega del caffè è una delle sedici commedie composte da Goldoni nel 1750 per arricchire il calendario degli spettacoli del teatro Sant’Angelo. La necessità di assicurare la fedeltà del pubblico spiega la persistenza, in quest’opera, della tradizione scenica della commedia dell’arte, alla quale gli spettatori veneziani erano ancora affezionati; tuttavia, lo sguardo acuto di Goldoni, che ritrae le virtù e i difetti degli esseri umani nelle loro più minute e spontanee manifestazioni, la chiarezza con cui l’autore trasmette il proprio messaggio morale e la vivacità delle scene, da cui scaturisce una comicità immediata e al tempo stesso raffinata, fanno rientrare a pieno titolo La bottega del caffè nel novero delle commedie riformate.

Una commedia d’ambiente

  La genesi dell’opera

Dall’intermezzo alla commedia Fra gli intermezzi in musica scritti per il tea­tro San Samuele nel 1736 ne figura uno, in veneziano, che viene replicato ripetutamente anche anni dopo: il suo protagonista è Narciso, un caffettiere (cioè il gestore di una bottega in cui si vende e si consuma caffè) che, insieme alla scaltra Dorilla, approfitta della credulità del prodigo Zanetto per truffarlo. Il successo del soggetto è tale che Goldoni, nel 1750, decide di utilizzarne alcuni elementi per comporre una commedia articolata in tre atti.

Dalla rappresentazione all’edizione a stampa Nel 1750, quando viene portata sulle scene, prima a Mantova, poi a Milano e infine a Venezia, la commedia ha come personaggi principali Brighella e il suo immancabile compare, il garzone Arlecchino, entrambi maschere della commedia dell’arte, che Goldoni fa parlare in veneziano. Il pubblico risponde con grande entusiasmo, tanto che a Venezia lo spettacolo viene replicato ben dodici volte.

Nel 1753, però, in occasione della versione a stampa, Goldoni modifica la fisionomia dei personaggi, trasformandoli in individui dotati di caratteri specifici e di una propria, peculiare personalità: Brighella diventa Ridolfo, Arlecchino viene ribattezzato TrappolaInoltre, volendo rendere l’opera «universale» (come spiega egli stesso nella premessa dell’edizione a stampa, L’autore a chi legge), l’autore tratteggia vizi e virtù dei protagonisti non più mediante il dialetto, ma attraverso un italiano modellato sul toscano, comprensibile anche a un pubblico non veneziano.

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  L’ambientazione

Il caffè come simbolo di un’epoca Il luogo prescelto da Goldoni per ambientare la commedia è uno dei simboli della civiltà settecentesca. La bottega del caffè è un luogo molto frequentato non solo dagli intellettuali illuministi, che lo eleggono a punto di incontro e di riunione in cui far circolare idee, scambiare opinioni, instaurare relazioni (non a caso il periodico milanese più rappresentativo dell’Illuminismo lombardo si chiamerà, di lì a qualche anno, “Il Caffè”), ma anche da individui di tutti gli altri ceti sociali e di vario retroterra culturale, accomunati dalla passione per la bevanda. Potendoselo concedere anche i meno abbienti, il caffè è un piccolo lusso che rende tutti uguali, un segno del mondo che cambia: una «moda», come la definisce Ridolfo, un emblema dello spirito e del gusto del tempo.

Un punto d’osservazione privilegiato Proprio per questa sua prerogativa di attrarre le persone più diverse – esattamente come, a ben vedere, fa il teatro con il pubblico –, la bottega del caffè viene scelta dall’autore non solo quale centro dell’azione, ma anche come vera protagonista della commedia: non a caso il titolo rimanda, anziché a un personaggio, a uno spazio scenico (fatto raro nel tea­tro goldoniano, che si ripeterà con Il campiello, nel 1756, e in pochi altri casi), che funge da microcosmo catalizzatore delle esperienze quotidiane delle persone che lo frequentano.

Accogliendo avventori di tutti i tipi, la piazzetta veneziana sulla quale si affaccia il locale è un vero e proprio organismo in cui ogni singolo elemento contribuisce a una resa d’insieme: Goldoni ritrae questo spazio con lo sguardo «del poeta che guarda diritto alla realtà e sa introdursi senz’altro in un ambiente, cogliendone i piccoli particolari caratteristici» (Momigliano). Il luogo favorisce relazioni, offre occasioni d’incontro, esprime i caratteri nella loro varietà e originalità: la bottega rappresenta un punto di vista privilegiato su un’umanità multiforme e piena di contraddizioni.

  La trama

Il primo atto Sulla piazzetta veneziana in cui si svolge la commedia si affacciano, oltre alla bottega del caffè, quella di un parrucchiere, a destra, e una bisca, a sinistra. Ridolfo è l’onesto e virtuoso gestore della caffetteria, in cui lavora, come garzone, Trappola, servitore furbo e opportunista che, con gran disinvoltura, tratta con i clienti, divertendosi alle loro spalle.

Ridolfo ha preso a cuore le sorti di Eugenio, un giovane mercante di stoffe figlio del suo precedente datore di lavoro, che rischia la rovina a causa delle continue perdite al gioco. A dispetto dei buoni insegnamenti di Ridolfo, però, Eugenio non riesce a liberarsi da due truffatori che approfittano della sua debolezza di carattere: il finto conte Leandro, che si chiama in realtà Flaminio (sposato con Placida, egli ha lasciato il proprio lavoro di scrivano per arricchirsi nella bisca e, fingendosi nobile, è divenuto amante della ballerina Lisaura), e Pandolfo, il padrone della bisca.

Nel frattempo, nella piazza circolano i pettegolezzi diffusi da Don Marzio, un nobile decaduto di origini napoletane, anch’egli avventore della bottega. Vero artista della maldicenza, egli accusa in particolare la ballerina Lisaura, che Leandro ha promesso di sposare, di ricevere uomini in casa, di nascosto. Compaiono inoltre sulla scena, alla ricerca dei rispettivi mariti, Placida, travestita da pellegrina (termine con cui nel Settecento si definivano le donne viaggiatrici e avventuriere, considerate di dubbia moralità), e la moglie di Eugenio, Vittoria, mascherata per non farsi riconoscere, che minaccia di abbandonarlo se egli non si ravvederà.

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Il secondo atto Facendogli concludere un buon affare con la vendita di alcune stoffe, Ridolfo permette a Eugenio di saldare i debiti e di riscattare gli orecchini della moglie, precedentemente dati in pegno a Don Marzio a garanzia di un prestito di dieci zecchini. Il giovane, tuttavia, non smette di giocare, tanto più che Leandro-Flaminio, allo scopo di continuare a spillargli denaro al tavolo da gioco, lo incoraggia concedendogli una piccola vincita. Trascinato dall’entusiasmo per la somma guadagnata, Eugenio organizza una festa nella bisca, ma l’improvvisa irruzione di Placida, in cerca del marito, genera un tafferuglio. Solo Ridolfo riesce a calmare gli animi e a riportare tutti alla ragione.
Il terzo atto Quando Lisaura scopre che Leandro si chiama in realtà Flaminio ed è sposato con Placida, e che dunque è stata ingannata, lo caccia di casa. Questi, deciso a fuggire senza farsi scoprire dalla moglie, chiede aiuto a Don Marzio, che però rivela il suo piano a Placida. Mentre Ridolfo, con pazienza e diplomazia, riesce a convincere Eugenio e Leandro-Flaminio a darsi da fare per ottenere il perdono delle rispettive mogli, il nobile napoletano continua a spargere veleni. Inaspettatamente, però, giunge alla bottega il Capitano delle guardie armate (gli “sbirri”, come venivano comunemente chiamati nel Settecento): allertato da una denuncia riguardo alle losche attività di Pandolfo, egli cerca prove della sua colpevolezza. Non riconoscendolo – il Capitano si è presentato travestito –, Don Marzio finisce involontariamente per tradire Pandolfo, che viene perciò arrestato. Nel finale, mentre Eugenio e Flaminio, grazie a Ridolfo, si riuniscono alle mogli, Don Marzio, svergognato da tutti, è costretto a pentirsi e decide di andarsene dalla città.

Il tesoro della letteratura - volume 2
Il tesoro della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento