Due “maestri del sospetto”
Per buona parte del Novecento Machiavelli e il suo Principe sono finiti sul comodino dei dittatori: l’analisi disincantata della realtà, la legittimazione della forza come mezzo di conquista e di mantenimento del potere, la spregiudicatezza del fare politica, la libertà dai condizionamenti della religione e della morale hanno alimentato nel secolo scorso la leggenda nera del Segretario fiorentino. Abbiamo già messo in evidenza le interpretazioni strumentali e banalizzanti della visione dell’uomo e della società promossa da Machiavelli, ma ciò non significa ridimensionare il carattere originale e demistificante della sua opera. Machiavelli ci invita ancora oggi a cercare la verità sotto le vesti edificanti della retorica, a svelare il carattere fittizio dell’agire umano, l’ipocrisia che si cela dietro le maschere del potere, a cogliere le ragioni effettive e materiali che determinano i moventi della Storia.
Anche il secondo Novecento italiano ha avuto il suo “maestro del sospetto”. Come Machiavelli per il primo Cinquecento, Pier Paolo Pasolini è stato un’autentica coscienza critica del proprio tempo: testimone della società e della cultura a lui contemporanea, egli ha rovesciato luoghi comuni, cantato fuori dal coro del conformismo imperante, denunciato vizi e scandali della politica, registrato con grande lucidità il profondo cambiamento della società italiana, l’omologazione del mondo intellettuale, l’inesorabile trasformazione degli individui e in particolare delle classi popolari, guastate dagli effetti del neocapitalismo e dalle lusinghe del benessere economico.
Intellettuale scomodo, Pasolini mette a nudo le contraddizioni della realtà borghese, vivendola da dentro: il suo dissenso utilizza gli stessi strumenti del potere (la televisione, il cinema, i giornali) per denunciarne l’azione e la corruzione. Al pari di Machiavelli, anch’egli ha piena consapevolezza del carattere spregiudicato delle sue idee e del suo pensiero: «scandalizzare è un diritto», scrive; laddove «scandalo» va inteso nel significato etimologico e biblico del termine, che in greco significa “ostacolo”, “inciampo”. L’effetto dell’impegno militante di Pasolini, in effetti, è stato proprio quello di denunciare, polemizzare, esprimere sempre un pensiero autonomo divergente e antagonista, a costo di disorientare e lasciare sconcertati: un ruolo di libero pensatore a cui non ha mai rinunciato.