Una parentela umana e letteraria, a distanza di quattro secoli
Il più ariostesco degli scrittori italiano è senza dubbio Italo Calvino, che per tutta la vita e lungo l’arco di una produzione letteraria estesa lungo diversi decenni ha intrattenuto un dialogo continuo e diretto con l’Orlando furioso. Come autore, come critico e perfino come trascrittore-espositore del poema di Ariosto, egli ha individuato nel proprio modello preferito non solo una precisa idea della letteratura, ma anche una concezione dell’individuo, desideroso di vivere e cogliere le mille sfaccettature di quella interminabile e appassionante «giostra delle illusioni» che è il mondo.
Nato nel 1923 a Santiago de Las Vegas a Cuba, Calvino si trasferisce ben presto in Liguria insieme alla famiglia, che gli dà una formazione culturale di tipo scientifico, laica e antifascista. Studente della Facoltà di Agraria prima a Torino poi a Firenze, dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla Resistenza. Finito il conflitto, viene in contatto con intellettuali come Elio Vittorini e Cesare Pavese, che lo introducono presso la casa editrice Einaudi. Il suo esordio come romanziere avviene nel 1947: Il sentiero dei nidi di ragno tratta l’esperienza autobiografica della lotta partigiana, ma attraverso lo sguardo ingenuo di un bambino, Pin, che trasfigura in modo fiabesco, spesso deformandoli, i tragici avvenimenti di cui è stato testimone. Quando Pavese legge il romanzo, afferma che è opera di uno «scoiattolo della penna», che si arrampica sulle piante «più per gioco che per paura» e scrive con l’agilità e la freschezza stilistica e inventiva di un Ariosto moderno.