LETTURE critiche

LETTURE critiche

Cristiani e “infedeli”

di Italo Calvino

Italo Calvino (1923-1985) spiega nella prima parte di questo brano l’ideologia politico-religiosa dell’autore dell’Orlando furioso, così come essa emerge dal testo: cristiani e Mori sono rappresentati su un piano di sostanziale parità in termini di valore militare e costumi civili. L’epica delle crociate appare lontana.

L’essere «di fè diversi» non significa molto di più, nel Furioso, che il diverso colore dei pezzi di una scacchiera. I tempi delle Crociate in cui il ciclo dei Paladini aveva assunto un valore simbolico di lotta per la vita e per la morte tra la Cristianità e l’Islam, sono lontani. In verità nessun passo avanti sembra sia fatto per comprendere gli «altri», gli «infedeli», i «Mori»: si continua a parlare dei Maomettani come «pagani» e adoratori di idoli, si attribuisce loro il culto d’una strampalata trinità mitologica (Apollo, Macone e Trivigante). Però essi sono rappresentati su un piano di parità con i Cristiani per quel che riguarda il valore e la civiltà; e senza quasi nessuna caratterizzazione esotica, o notazione di costumi diversi da quelli d’Occidente. (Notazioni esotiche che pur erano presenti in Boiardo, il quale rappresentava i Saracini sdraiati «come mastini / Sopra i tapeti: come è loro usanza / Sprezando seco il costume di Franza».) Sono dei signori feudali tal quale i cavalieri cristiani, e neanche li distingue la convenzionale differenziazione delle uniformi negli eserciti moderni, perché qui gli avversari si contendono e scambiano sempre le stesse corazze e elmi e armi e cavalcature.

In realtà «i Mori» sono un’entità fantastica per la quale non vale alcun riferimento storico e geografico, ma non un’entità astratta: anzi, si direbbe che nel «campo nemico» tutto sia più concreto e caratterizzato e corposo, a cominciare dal diretto antagonista d’Orlando: Rodomonte.

Gli storici della letteratura hanno molto discusso su quale era l’atteggiamento di Ariosto verso il passato medievale che è la materia del suo poema, e in particolare verso la cavalleria. Pur vedendo le gesta dei suoi eroi attraverso l’ironia e la trasfigurazione favolosa, egli non tende mai a sminuire le virtù cavalleresche, non abbassa mai la statura umana che quegli ideali presuppongono, anche se a lui ormai pare non resti altro che farne pretesto per un gioco grandioso e appassionante.

Ariosto sembra un poeta limpido, ilare1 e senza problemi, eppure resta misterioso: nella sua ostinata maestria a costruire ottave su ottave sembra occupato soprattutto a nascondere se stesso. Egli è certo lontano dalla tragica profondità che avrà Cervantes, quando un secolo dopo, nel Don Chisciotte, compirà la dissoluzione della letteratura cavalleresca. Ma tra i pochi libri che si salvano, quando il curato e il barbiere dànno alle fiamme la biblioteca che ha condotto alla follia l’hidalgo2 della Mancia, c’è il Furioso


Italo Calvino, Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, Mondadori, Milano 1995

Comprendere il pensiero critico

1 Qual è l’ideologia politico-religiosa di Ariosto, secondo Calvino?


2 Qual è l’atteggiamento di Ariosto nei confronti della cavalleria?

 >> pagina 803 

Il poema della bellezza

di Giulio Ferroni

Errori, inganni, illusioni, fallimenti: tutte le miserie umane trovano nell’Orlando furioso una sorta di insperata ricchezza grazie alla bellezza che avvolge nel poema gli uomini e le cose. Secondo lo studioso Giulio Ferroni (n. 1943), è proprio il valore della bellezza, oggi spesso inafferrabile, a costituire una delle ragioni del fascino e dell’immortalità del capolavoro ariostesco.

Proprio per la sua accecante luce, per la ferma inarrestabile sicurezza del suo ritmo, per la molteplicità degli elementi che lo compongono, l’Orlando furioso ha lasciato inquieti ed esitanti anche lettori molto raffinati […]. E oggi è certo troppo trascurato e pochissimo letto nella scuola e in genere in un’Italia che dovrebbe riconoscervi una delle espressioni essenziali della sua cultura moderna. Eppure, se si prova davvero a percorrerlo, con l’abbandono al libero ritmo della lettura, si finisce per restare catturati dal gioco sempre mobile delle armi e degli amori, dagli scatti verso la più dispiegata evasione fantastica, dall’ironia che corrode la stessa consistenza dell’invenzione, dal prezioso ricamo di figure e di forme ricavate dalla tradizione classica. Tutto vi si fonde e si riavvolge in una incessante clausola di bellezza: volta per volta, alla fine di ognuna delle ottave di cui è fatto il poema, sembra giungere a termine qualcosa che non ha termine, il respiro stesso del tempo e del mondo, catturato e contemporaneamente fatto evaporare e disperdere. L’Ariosto muove verso una bellezza solare e fuggitiva, che ha un emblema nella rigogliosa, esuberante, indifferente, inafferrabile Angelica: la donna amata da Orlando e da tanti cavalieri, il cui fascino è proprio nel rivelarsi, offrirsi e poi sottrarsi in squarci improvvisi, tra quasi infantili timori e repentini capricci. Nella sua libera misura dello spazio e del tempo, il poema proietta i più vari riflessi della realtà, come distillandoli, privandoli della loro densità materiale; trasforma la stessa ripetitiva banalità degli scontri cavallereschi, infinite volte raccontati nella precedente letteratura, in giochi di concertanti simmetrie, in combinazioni che si cancellano nel momento stesso in cui si danno. È una bellezza che ingloba l’errore, il limite, la vanità delle esperienze e dei desideri, l’insufficienza del sapere e della vita sociale, l’impero dell’illusione, della simulazione e dell’inganno (fino all’estremo della follia); e insieme la fedeltà, la dolcezza dei sentimenti, il senso dell’onore e del coraggio. Bellezza trionfante e insieme amara, insidiata dalle contraddizioni infinite di cui è fatto il mondo, dalla stessa realtà storica contemporanea sulla quale apre molteplici squarci: una bellezza con cui sembra sempre più difficile confrontarsi oggi, assaliti da un’esibizione di bello esteriore, da consumare e da violare, in una moltiplicazione translucida e plastificata, invasione simulata, pubblicitaria e turistica, che esclude ogni autentica esperienza. […]

L’Ariosto è uno di quei pochi autori che ci trasmettono universi di totale dedizione alla bellezza (la famosa armonia di Croce): con un’intensità che, guardata e ascoltata dal nostro essere “dopo”, ci spinge ancora a credere nella resistenza della bellezza, nella possibilità di catturarla nel mondo. Certo la sua voce ci parla da lontano, ma con una luce che ci fa sentire che quell’esperienza vitale non può essere del tutto spenta. Parla, come poche altre […] in una forma pura che assume in sé tutta la varietà e la contraddittorietà della vita, come per bruciarla in un esito assoluto: una voce che non possiamo credere o presumere di riconoscere come “fraterna”, che non permette facili identificazioni, che è resa distante, irraggiungibile proprio da quella dedizione alla bellezza: ma che proprio da questa distanza traccia ancora oggi per noi un segno essenziale e definitivo. Essa risolve l’esistenza e l’essere nel mondo in qualcosa di incommensurabile, che pone domande senza fine, a cui non si può e non si deve trovare risposta, ma che sonda in profondità il senso della realtà e della parola, l’evanescenza della vita, il limite della ragione e dell’esperienza. È una bellezza che si affaccia ad ogni istante sui propri limiti, che si fa strada attraverso l’ironia, la correzione di sé, la proiezione su ciò che è fuori di essa e la disloca, la mette in pericolo: continuamente minacciata dalla cecità del mondo e dalla medesima condizione cortigiana a cui, nel suo orizzonte storico, l’autore resta necessariamente legato, contorna l’abisso e ne estrae il piacere della liberazione, della saggezza, della tolleranza, dell’amore, pur sapendo che tutto è in definitiva fragile, illusorio, destinato a perdersi.


Giulio Ferroni, Ariosto, Salerno editrice, Roma 2008

Comprendere il pensiero critico

1 Per quali motivi, secondo Ferroni, l’Orlando furioso cattura il lettore?


2 La bellezza a cui Ariosto mira e di cui parla il critico è una bellezza formale? Motiva la tua risposta.

Il tesoro della letteratura - volume 1
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento