T6 - La peste e la brigata

T6

La peste e la brigata

Prima giornata, Introduzione

Nell’Introduzione alla Prima giornata (che di fatto, come abbiamo detto, funge da introduzione all’intera opera) viene descritta la peste a Firenze e, subito dopo, si racconta della decisione dei dieci giovani della brigata di sfuggire al contagio recandosi nel contado. In un ambiente diverso si sperimenteranno nuove condizioni di vita, sottratte al disordine (materiale e morale) che l’epidemia ha prodotto in città. E soprattutto si deciderà di narrare le novelle che andranno a costituire il Decameron. Ne riportiamo alcuni passi significativi.

[…] Maravigliosa1 cosa è a udire quello che io debbo dire: il che, se dagli occhi di
molti e da’ miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che
di scriverlo, quantunque da fededegna udito l’avessi.2 Dico che di tanta efficacia
fu la qualità3 della pestilenzia narrata nello appiccarsi4 da uno a altro, che non 

5      solamente l’uomo all’uomo,5 ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente
fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato,6 o morto di tale infermità, tocca7
da un altro animale fuori della spezie dell’uomo, non solamente della infermità il
contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, sì
come poco davanti è detto, presero tra l’altre volte un dì così fatta esperienza:8 che, 

10    essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via publica
e avvenendosi a essi9 due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col
grifo10 e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo
alcuno avvolgimento,11 come se veleno avesser preso, amenduni12 sopra li mal tirati
stracci13 morti caddero in terra.

15    Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse
paure e imaginazioni14 in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine
tiravano15 assai crudele, ciò era di schifare16 e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e
così faccendo, si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare. E erano alcuni,
li quali avvisavano17 che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità18 

20    avesse molto a così fatto accidente resistere:19 e fatta lor brigata,20 da ogni altro separati
viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi, dove niuno infermo
fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente21 usando
e ogni lussuria22 fuggendo, senza lasciarsi parlare a23 alcuno o volere di fuori, di
morte o d’infermi, alcuna novella24 sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver 

25    poteano si dimoravano.

Altri, in contraria opinion tratti,25 affermavano il bere assai e il godere e l’andar

cantando a torno e sollazzando e il sodisfare d’ogni cosa all’appetito che si potesse
e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male:26 e
così come il dicevano il mettevano in opera a lor potere,27 il giorno e la notte ora a 

30    quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo28 e senza misura,
e molto più ciò per l’altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che lor
venissero a grado o in piacere.29 E ciò potevan far di leggiere,30 per ciò che ciascun,
quasi non più viver dovesse, aveva, sì come sé, le sue cose messe in abandono: di
che le più delle case erano divenute comuni, e così l’usava lo straniere, pure che a 

35    esse s’avvenisse, come l’avrebbe il proprio signore usate;31 e con tutto questo proponimento
bestiale sempre gl’infermi fuggivano a lor potere.32 E in tanta afflizione
e miseria della nostra città era la reverenda33 auttorità delle leggi, così divine come
umane, quasi caduta e dissoluta34 tutta per li ministri e essecutori di quelle, li
quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famiglie rimasi 

40    stremi,35 che uficio36 alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito
quanto a grado gli era d’adoperare.37

Molti altri servavano,38 tra questi due39 di sopra detti, una mezzana via,40 non
strignendosi41 nelle vivande quanto i primi né nel bere e nell’altre dissoluzioni allargandosi
quanto i secondi, ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano 

45    e senza rinchiudersi andavano a torno,42 portando nelle mani chi fiori, chi erbe
odorifere e chi diverse maniere di spezierie,43 quelle al naso ponendosi spesso, estimando
essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare, con ciò fosse cosa
che l’aere tutto paresse dal puzzo de’ morti corpi e delle infermità e delle medicine
compreso e puzzolente.44

50    Alcuni erano di più crudel sentimento,45 come che per avventura più fosse
sicuro,46 dicendo niuna altra medicina essere contro alle pistilenze migliore né
così buona come il fuggir loro davanti: e da questo argomento mossi, non curando
d’alcuna cosa se non di sé, assai e uomini e donne abbandonarono la propria
città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o 

55    almeno il lor contado,47 quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con
quella pistolenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere
li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa intendesse, o
quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser
venuta.48

60    E come che49 questi così variamente oppinanti50 non morissero tutti, non
per ciò tutti campavano: anzi, infermandone di ciascuna molti51 e in ogni luogo,
avendo essi stessi, quando sani erano, essemplo dato a coloro che sani rimanevano,
quasi abbandonati per tutto languieno.52 E lasciamo stare che l’uno cittadino
l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme 

65    rade volte o non mai si visitassero e di lontano:53 era con sì fatto spavento questa
tribulazione54 entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro
abbandonava e il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo
marito; e, che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli,
quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano. Per la qual cosa a coloro, 

70    de’ quali era la moltitudine inestimabile, e maschi e femine, che infermavano,
niuno altro subsidio55 rimase che o la carità56 degli amici (e di questi fur pochi)
o l’avarizia57 de’ serventi, li quali da grossi salari e sconvenevoli tratti servieno,58
quantunque per tutto ciò molti non fossero divenuti:59 e quegli cotanti60 erano
uomini o femine di grosso ingegno,61 e i più di tali servigi non usati,62 li quali 

75    quasi di niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl’infermi adomandate
o di riguardare63 quando morieno; e servendo in tal servigio sé molte
volte col guadagno perdeano.64 E da questo essere abbandonati gl’infermi da’
vicini, da’ parenti e dagli amici e avere scarsità di serventi, discorse65 uno uso
quasi davanti66 mai non udito: che niuna, quantunque leggiadra o bella o gentil 

80    donna fosse, infermando non curava d’avere a’ suoi servigi uomo,67 qual che egli
si fosse o giovane o altro, e a lui senza alcuna vergogna ogni parte del corpo aprire68
non altramenti che a una femina avrebbe fatto, solo che69 la necessità della
sua infermità il richiedesse; il che in quelle che ne guerirono fu forse di minore
onestà, nel tempo che succedette, cagione. E oltre a questo ne seguio70 la morte 

85 di molti che per avventura, se stati fossero atati,71 campati sarieno;72 di che,73 tra
per lo difetto74 degli oportuni servigi, li quali gl’infermi aver non poteano, e per
la forza della pistolenza, era tanta nella città la moltitudine di quegli che di dì
e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo.75 Per
che, quasi di necessità, cose contrarie a’ primi costumi de’ cittadini nacquero tra 

90    coloro li quali rimanean vivi.

Era usanza, sì come ancora oggi veggiamo usare, che le donne parenti e vicine
nella casa del morto si ragunavano e quivi con quelle che più gli appartenevano76

piagnevano; e d’altra parte77 dinanzi la casa del morto co’ suoi prossimi78 si ragunavano
i suoi vicini e altri cittadini assai, e secondo la qualità79 del morto vi veniva 

95    il chericato;80 e egli sopra gli omeri de’ suoi pari,81 con funeral pompa di cera82
e di canti, alla chiesa da lui prima eletta anzi la morte83 n’era portato. Le quali
cose, poi che a montar cominciò84 la ferocità della pistolenza, o in tutto o in
maggior parte quasi cessarono e altre nuove in lor luogo85 ne sopravennero. Per
ciò che, non solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, ma 

100 assai n’eran di quegli che di questa vita senza testimonio86 trapassavano: e pochissimi
erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi congiunti
fossero concedute,87 anzi in luogo di quelle s’usavano per li più88 risa e motti e
festeggiar compagnevole;89 la quale usanza le donne, in gran parte postposta la
donnesca pietà,90 per salute di loro91 avevano ottimamente appresa. E erano radi 

105 coloro i corpi de’ quali fosser più che da un diece o dodici de’ suoi vicini alla
chiesa acompagnato; de’ quali non gli orrevoli e cari92 cittadini ma una maniera
di beccamorti sopravenuti di minuta gente93 (che chiamar si facevan becchini,
la quale questi servigi prezzolata faceva) sotto entravano alla bara;94 e quella
con frettolosi passi, non a quella chiesa che esso95 aveva anzi la morte disposto 

110 ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro a quatro o a sei cherici con
poco lume e tal fiata96 senza alcuno; li quali con l’aiuto de’ detti becchini, senza
faticarsi in troppo lungo oficio o solenne, in qualunque sepoltura97 disoccupata
trovavano più tosto il mettevano. […]

98 fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente,99 né avvenne 

115 pure100 una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la
moglie e ’l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne
contenieno.101 E infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce per
alcuno, si misero tre o quatro bare, da’ portatori portate, di dietro a quella: e, dove
un morto credevano avere i preti a sepellire, n’avevano sei o otto e tal fiata più. […] 

120 Alla gran moltitudine de’ corpi mostrata, che a ogni chiesa ogni dì e quasi ogn’ora
concorreva portata,102 non bastando la terra sacra alle sepolture, e massimamente
volendo dare a ciascun luogo proprio103 secondo l’antico costume, si facevano per
gli cimiterii delle chiese, poi che ogni parte era piena, fosse grandissime nelle quali
a centinaia si mettevano i sopravegnenti:104 e in quelle stivati, come si mettono le 

125 mercatantie105 nelle navi a suolo a suolo,106 con poca terra si ricoprieno infino a
tanto che della fossa al sommo si pervenia. […]

Che più si può dire, […] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse
in parte quella degli uomini, che infra ’l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra107
per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati 

130 ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a centomilia creature
umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita
tolti, che forse, anzi l’accidente mortifero,108 non si saria estimato tanti avervene
dentro avuti?109 O quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili abituri110
per adietro111 di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo fante112 

135 rimaser voti! O quante memorabili schiatte,113 quante ampissime eredità, quante
famose ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini,
quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li quali non che altri, ma Galieno,
Ipocrate o Esculapio114 avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono115 co’ lor
parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell’altro mondo 

140 cenaron con li lor passati!116

A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante miserie ravolgendo:117 per che,
volendo omai lasciare star quella parte di quelle che io acconciamente118 posso
schifare, dico che, stando in questi termini la nostra città, d’abitatori quasi vota,
addivenne,119 sì come io poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile 

145 chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna
altra persona, uditi li divini ufici in abito lugubre120 quale a sì fatta stagione si
richiedea,121 si ritrovarono sette giovani donne tutte l’una all’altra o per amistà122
o per vicinanza o per parentado congiunte, delle quali niuna il venti e ottesimo
anno passato avea né era minor di diciotto, savia123 ciascuna e di sangue nobile e 

150 bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra onestà.124 Li nomi delle quali io in
propria forma racconterei, se giusta cagione da dirlo non mi togliesse,125 la quale è
questa: che io non voglio che per le raccontate cose da loro, che seguono, e per l’ascoltate
nel tempo avvenire, alcuna di loro possa prender vergogna,126 essendo oggi
alquanto ristrette127 le leggi al piacere, che allora, per le cagioni di sopra mostrate, 

155 erano non che alla loro età ma a troppo più matura larghissime;128 né ancora dar
materia agl’invidiosi, presti a mordere129 ogni laudevole vita, di diminuire in niuno
atto l’onestà delle valorose donne con isconci parlari.130 E però,131 acciò che quello
che ciascuna dicesse senza confusione si possa comprendere appresso,132 per nomi

alle qualità di ciascuna convenienti133 o in tutto o in parte intendo di nominarle: 

160 delle quali la prima, e quella che di più età era, Pampinea chiameremo e la seconda
Fiammetta, Filomena la terza e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla
quinta e alla sesta Neifile, e l’ultima Elissa non senza cagion nomeremo.134

Le quali, non già da alcuno proponimento tirate ma per caso in una delle parti
della chiesa adunatesi, quasi in cerchio a seder postesi, dopo più sospiri lasciato 

165 stare il dir de’ paternostri,135 seco della qualità del tempo molte e varie cose cominciarono
a ragionare. […]


[Pampinea lancia la proposta di reagire al presente stato di prostrazione della città e di pericolo per le loro stesse vite, lasciando Firenze per un’amena destinazione. Filomena accenna però alle difficoltà che incontrerebbe il loro gruppo senza un accompagnamento maschile; quand’ecco che, proprio in quel momento, entrano in chiesa tre giovani uomini, i cui nomi fittizi sono Panfilo, Filostrato e Dioneo. A loro le fanciulle decidono di estendere l’idea: alla richiesta di accompagnarle, essi accettano di buon grado. Il giorno seguente la brigata dei dieci lascia Firenze, insieme con la servitù, per raggiungere un luogo che dista soltanto due miglia dalla città.]

Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto
alle136 nostre strade, di137 varii arbuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene piacevole
a riguardare; in sul colmo della quale era un palagio con bello e gran cortile 

170 nel mezzo, e con logge e con sale e con camere, tutte ciascuna verso di sé138 bellissima
e di liete dipinture raguardevole e ornata,139 con pratelli da torno e con giardini
maravigliosi e con pozzi d’acque freschissime e con volte140 di preziosi vini: cose
più atte a curiosi bevitori141 che a sobrie e oneste donne. Il quale tutto spazzato, e
nelle camere i letti fatti, e ogni cosa142 di fiori quali nella stagione si potevano avere 

175 piena e di giunchi giuncata143 la vegnente brigata trovò con suo non poco piacere.
[…]


[Si stabilisce di eleggere, per ogni giorno, un re o una regina che stabilisca per tutti le regole della convivenza. Per la prima giornata la regina sarà Pampinea, che propone di trascorrere il tempo «novellando».]

Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, li giovani insieme con le belle
donne, ragionando dilettevoli cose, con lento passo si misero per un giardino, belle
ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente cantando. E poi che in quello
tanto fur dimorati quanto di spazio dalla reina avuto aveano,144 a casa tornati trovarono 

180 Parmeno145 studiosamente aver dato principio al suo ufficio,146 per ciò che,
entrati in una sala terrena, quivi le tavole messe147 videro con tovaglie bianchissime

e con bicchieri che d’ariento parevano,148 e ogni cosa di fiori di ginestra coperta; per
che, data l’acqua alle mani, come piacque alla reina, secondo il giudicio di Parmeno
tutti andarono a sedere. Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini fur 

185 presti:149 e senza più, chetamente150 li tre famigliari151 servirono le tavole. Dalle quali
cose, per ciò che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con
festa mangiarono. E levate le tavole con ciò fosse cosa che152 tutte le donne carolar153
sapessero e similmente i giovani e parte di loro ottimamente e sonare e cantare, comandò
la reina che gli strumenti venissero;154 e per comandamento di lei, Dioneo 

190 preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a
sonare; per che la reina con l’altre donne insieme co’ due giovani presa una carola,155
con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella
finita, canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare. E in questa maniera stettero
tanto che tempo parve156 alla reina d’andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia, 

195 li tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate, se n’andarono, le
quali co’ letti ben fatti e così di fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente
le donne le loro: per che, spogliatesi, s’andarono a riposare.

Non era di molto spazio sonata nona,157 che la reina levatasi tutte l’altre fece
levare e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire il giorno: 

200 e così se ne andarono in un pratello nel quale l’erba era verde e grande158 né vi poteva
d’alcuna parte il sole;159 e quivi, sentendo un soave venticello venire, sì come
volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a’ quali
ella disse così: «Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode
che le cicale su per gli ulivi, per che l’andare al presente in alcun luogo sarebbe 

205 senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci,160 come voi vedete, e
tavolieri161 e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all’animo gli è più di piacere,
diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale
l’animo dell’una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell’altra o di
chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia 

210 che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. Voi non
avrete compiuta162 ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato163 e
il caldo mancato, e potremo, dove più a grado vi fia, andare prendendo diletto: e
per ciò, quando questo che io dico vi piaccia, ché disposta sono in ciò di seguire il
piacer vostro, facciànlo;164 e dove non vi piacesse, ciascuno infino all’ora del vespro 

215 quello faccia che più gli piace».

Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.

«Adunque», disse la reina, «se questo vi piace, per questa prima giornata
voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a
grado».165

 >> pagina 483 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Questo lungo brano tratto dall’Introduzione alla Prima giornata può essere suddiviso in due parti: nella prima si descrivono i terribili effetti della pestilenza del 1348; nella seconda si narra di come sette fanciulle e tre giovani decidano di rifugiarsi in un luogo piacevole fuori città, stabilendo in seguito di occupare il proprio tempo narrando ciascuno una novella ogni giorno (esclusi il venerdì e il sabato, dedicati alle preghiere). La descrizione della peste è attenta e minuziosa. Boccaccio, però, non si limita a sottolineare la gravità del male o a elencare le scene orribili a cui la malattia ha dato origine, ma si sofferma ad analizzare le conseguenze morali e civili da essa provocate. In particolare l’autore mostra come la peste abbia finito per soffocare i sentimenti migliori degli esseri umani, quali la pietà e la carità nei confronti dei propri simili.

La peste ha dunque provocato una situazione di sostanziale disordine morale: gli animi delle persone si sono induriti, gli infermi vengono spesso abbandonati, la reverenda auttorità delle leggi, così divine come umane (rr. 37-38) è venuta meno, si è diffusa una generale dissolutezza ecc. A tutto ciò reagisce la brigata dei dieci giovani, scegliendo di ricostituire, in un luogo lontano dal contagio della malattia e dai suoi effetti devastanti, quelle basi di moralità e civiltà che a Firenze sembrano fortemente compromesse. Tutto è bello e ordinato (Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno…, rr. 185-186): appare chiaro, così, come il palazzo, il giardino, la stessa organizzazione quotidiana del tempo della brigata siano nettamente contrapposti a quanto ci si è lasciato alle spalle. Si tratta, in qualche modo, di rifondare la civiltà, riscrivendone le regole: ciò dimostra come l’intento di Boccaccio sia quello di offrire, con quest’opera, non soltanto svago e diletto, ma anche un preciso quadro di valori etici e sociali.

Uno scrittore completamente immerso nella mentalità medievale, se avesse scelto di trattare in una propria opera la peste e le sue conseguenze, avrebbe improntato questa descrizione a intenti morali e religiosi ben definiti, parlando del terribile flagello come di una punizione divina e sollecitando così, nei suoi lettori, una riflessione sulla precarietà della vita terrena. Invece nella nuova prospettiva di Boccaccio, lo scrittore – che pure alla peste annette, come abbiamo visto, un significato simbolico (la disgregazione della civiltà ecc.) – si lascia guidare, da un certo punto in poi, dal puro gusto del narrare. In altre parole, il teatro della peste è funzionale soprattutto a far sentire maggiormente la dolcezza del vivere: l’«orrido cominciamento» della peste serve a far risaltare ancora di più la serenità del luogo dove si rifugiano i dieci giovani. Non appena essi vi giungono, gli orrori dell’epidemia sono per loro già un lontano ricordo.

Tuttavia il significato della cornice non si esaurisce in quanto abbiamo detto sin qui: le sue valenze sono, a giudizio di alcuni critici, anche altre. Per esempio per lo studioso Franco Cardini la cornice del Decameron, con le tragiche descrizioni del sovvertimento sociale e familiare causato dalla peste, è comparabile alla «selva oscura» del primo canto della Divina Commedia. Allo stesso modo il percorso compiuto dai dieci giovani nei dieci giorni che trascorreranno narrando è equiparabile a un cammino iniziatico, a un viaggio all’interno di sé stessi, all’attraversamento del male per il raggiungimento del bene, grazie al quale vengono superati il senso di morte e i traumi causati dalla pestilenza (molti dei giovani, e specialmente delle giovani, sembrano aver perso tutti i propri familiari), ma anche e soprattutto le conseguenze negative di un’etica debole o corrotta.

 >> pagina 484 

Le scelte stilistiche

L’andamento del periodare appare ordinato e solenne, nella lentezza e nell’ampiezza delle frasi. La descrizione di Boccaccio potrebbe dunque sembrare, a prima vista, quasi fredda e distaccata; in realtà, leggendo con attenzione, si colgono i sentimenti dell’autore: l’amarezza, lo sdegno, l’orrore. La sua partecipazione emotiva è sottolinea­ta dal periodo con cui si conclude la descrizione della peste [Che più si può dire, […] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo…, rr. 127 e ss.]: un periodo retoricamente sostenuto, che rende il senso di sgomento dell’autore di fronte agli effetti del terribile morbo. Più semplice e pacata è invece la sintassi della parte relativa alla descrizione della vita della brigata in campagna: l’ordine che i giovani hanno ritrovato nell’esperienza di isolamento dal male si riflette sul piano stilistico.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Sintetizza nella tabella sottostante le quattro diverse teorie relative al modo di sfuggire la peste e i comportamenti che ne conseguono.


Teoria

Comportamento

   
   
   

2 A proposito di coloro che per denaro assistono gli appestati, l’autore scrive: e servendo in tal servigio sé molte volte col guadagno perdeano (rr. 76-77). Che cosa vuol dire?


3 Quale usanza funebre viene descritta da Boccaccio?


4 Boccaccio afferma che tra il marzo e il luglio del 1348 a Firenze

  • a rimasero in vita centomila persone. 
  • b si ammalarono centomila persone. 
  • c guarirono centomila persone. 
  • d morirono centomila persone. 

ANALIZZARE

5 Per quale motivo, all’inizio del brano, l’autore sottolinea il fatto di essere stato testimone oculare della peste?


6 Quali comportamenti dei suoi concittadini durante la peste sono particolarmente biasimati da Boccaccio e perché?


7 Individua, nel passo compreso tra le rr. 114-126, tutti termini indicanti numero o quantità: che cosa vogliono sottolineare?


8 L’autore ha molto a cuore l’onorabilità e la rispettabilità dei componenti della brigata: da che cosa lo si capisce?


9 Per quale motivo Pampinea propone di passare il tempo novellando? A quale altro passatempo lo contrappone e perché?

INTERPRETARE

10 L’autore riesce a dare una spiegazione delle cause della pestilenza? Che tipo di mentalità ne emerge?


11 A quali principi e valori si ispira la vita della brigata nel palagio? Sono valori cortesi o borghesi? Esponi le tue considerazioni.

Il tesoro della letteratura - volume 1
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento