La lingua

La lingua

Linguisticamente la Commedia, insieme al Canzoniere di Petrarca e al Decameron di Boccaccio, ha fatto sì che il volgare fiorentino diventasse, concretamente, la lingua nazionale italiana, prima ancora che il letterato rinascimentale Pietro Bembo (1470-1547), duecento anni dopo, lo stabilisse anche sul piano teorico.

  La grande ricchezza del vocabolario dantesco

I vocaboli coniati da Dante e poi mai più utilizzati dopo di lui sono pochissimi, una parte infinitesima del gran corpo della lingua della Commedia, che tuttora vive nella lingua italiana.

Una risposta pratica alla questione della lingua Con la Commedia Dante risolve praticamente la questione linguistica affrontata teoricamente nel Convivio e soprattutto nel De vulgari eloquentia, dimostrando sia la capacità del volgare di trattare qualunque argomento, sia quali caratteristiche tale lingua dovesse possedere e come essa potesse essere utilizzata: una lingua fondamentalmente frutto di dottrina e di studio, ma viva, varia e aderente ad argomenti anche molto diversi tra loro.

Anche sotto questo aspetto, la Commedia riflette e conclude tutta la riflessione linguistica di Dante. E ancora una volta si rivelano il mirabile equilibrio e il felicissimo intuito dell’artista, nell’aver adottato come mezzo di espressione quel dialetto che egli avverte come il più idoneo, per armonia di suoni e di forme, tra tutti i dialetti della penisola, a diventare l’ideale volgare italico dei dotti, degli uomini della «curia» e della «reggia», ai quali specialmente intende rivolgersi con la Commedia.

L’aderenza al reale Conviene dunque concentrarsi sul lessico di quest’opera, che ha esercitato un influsso sulla storia della lingua italiana incommensurabile rispetto a quello delle opere precedenti. Dante si getta nella composizione del poema, puntando non sulla separazione ma sulla commistione degli stili.

Questa disposizione mentale è la condizione del suo straordinario realismo linguistico, della sua ricettività a 360 gradi, del suo saper trovare le parole per aderire, con la messa a fuoco più nitida, a qualunque aspetto della realtà, dal più alto e sublime al più basso e triviale.

  Le diverse componenti del linguaggio

Il lessico basso… La Commedia si apre al lessico fiorentino quotidiano e popolare, esibendo parole che il De vulgari eloquentia declassava come «puerili» (mamma e babbo), come «selvatiche»(greggia), come «scivolose» e «squallide» (femina e corpo), come «municipali» (manicare, mangiare, e introcque, intanto).

Parole basse, plebee, idiomatiche, come grattare, porcile, sterco, tigna, oscene come puttana, merda, fiche, magari poste in rima a scopo espressivo come incrocicchia (incrocia) – nicchia (si lamenta) – picchia oppure scuffa (divora grufolando) – muffazuffa, si concentrano nell’Inferno, e soprattutto in Malebolge, la zona di massima comicità (nel senso di realismo estremo e addirittura espressionistico) del poema. Ma ancora nel canto XXVII del Paradiso san Pietro inveisce contro il suo successore che «fatt’ha del cimitero mio cloa­ca / del sangue e de la puzza» (vv. 25-26).

… e quello alto: latinismi e gallicismi Al polo opposto, nella lingua della Commedia entrano molti latinismi, che raggiungono il massimo dispiegamento nel Paradiso, in corrispondenza delle tematiche filosofiche e teologiche, ma pervadono anche l’In

ferno (per esempio il «secreto calle» di memoria virgiliana del canto X), messi in rilievo in rime con parole quotidiane come azzurrocurro (latinismo per “carro”) – burro; sepe (siepe) – epe (latinismo per “fegato, addome”) – pepe; mentre nel Paradiso abbiamo rime latineggianti esclusivamente alte, come colubro (serpente) – rubro (rosso) – delubro (tempio).

C’è poi, accanto ai latinismi, un altro grande “serbatoio”: i gallicismi della tradizione letteraria. Le formazioni poetiche di origine provenzale-siciliana, che dopo gli esordi giovanili erano state eliminate dalla poesia stilnovistica, ricompaiono in forze nell’onnivora Commedia, dove alcune voci più frequenti si scrollano l’originaria connotazione tecnico-lirica e grazie a Dante diventano parole di uso generale: per esempio gioia e noia (quest’ultimo vocabolo, come molesto, ha in Dante un significato più forte che nell’italiano moderno).

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I vocaboli scientifici Sono numerose anche le parole scientifiche, che avevano fatto la loro apparizionenel Convivio: dall’astronomia (emisperio, epiciclo, meridiano, orbita, plenilunio) alla geometria (circunferenza, quadrare), alla medicina (complessione, idropico, oppilazione, quartana).

Ci sono poi non solo grecismi come archimandrita, baràtro (anche questo entrato nell’uso comune, con spostamento dell’accento), ma anche arabismi, desunti dalle traduzioni scientifiche latine, come alchìmia e cenìt (zenit).

Un grecismo dottissimo come tetragono è entrato nell’uso proverbiale a partire dall’espressione – presente in Paradiso, XVII, 24 – «tetragono ai colpi di ventura» (saldo sotto i colpi della sorte), e questo è uno dei numerosi esempi della forza con cui la Commedia ha impresso una diffusione generale ai vocaboli della più varia provenienza in essa confluiti.

Regionalismi e forestierismi Il contributo dell’esilio alla lingua di Dante fu cospicuo in molti sensi, e particolarmente in un limitato ma vistoso numero di lemmi dialettali, come la forma affermativa bolognese sipa (sia, sì), il lombardo mo e istra (ora), il lucchese issa (ora).

Troviamo nella Commedia parole evocative di particolari realtà regionali, come la forma sarda donno (signore). Evocativi sono anche alcuni francesismi contemporanei: alluminare, in «quell’arte / ch’alluminar chiamata è in Parisi» (Purgatorio, XI, 80-81), cioè la miniatura, e gibetto (forca), perché il suicida che «fece gibetto a de le sue case» (Inferno, XIII, 151) è un mercante fiorentino che, fallito, si impiccò a Parigi.

La porta dell’inferno

Nel 1880 lo scultore francese Auguste Rodin iniziò a lavorare al monumentale progetto della Porta dell’inferno: un portale ornamentale che doveva abbellire il Museo di Arti Decorative di Parigi. L’opera non fu mai portata a termine, e, quasi quarant’anni dopo, al sopraggiungere della morte, Rodin stava ancora lavorando a quello che è considerato il suo capolavoro. I bassorilievi dei battenti sono ispirati al poema dantesco e alle descrizioni precise e “lapidarie” che il fiorentino fa dei suoi personaggi: per Rodin, Dante è non solo un visionario e uno scrittore, ma quasi uno scultore, per la sua abilità di tratteggiare gesti, pose, aspetti e passioni.

Il tesoro della letteratura - volume 1
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento