Consonanze/Dissonanze - Stefano Benni, Una Beatrice cartomante

CONSONANZE DISSONANZE

STEFANO BENNI

Una Beatrice cartomante

Nel suo libro Le Beatrici (2011), lo scrittore satirico Stefano Benni (n. 1947) immagina la donna amata da Dante in termini ben diversi da come la tradizione e la stessa opera dantesca ce l’hanno tramandata. In un monologo dal linguaggio ironico e salace Benni ci presenta una Beatrice cartomante, che mal sopporta la corte inconcludente del sommo poeta, mentre è innamorata di un giocatore di calcio fiorentino di nome Battistone: una dissacrazione che più completa non potrebbe essere.

Io sono Beatrice che il futuro predice, leggo le carte quindi so tutto del futuro. […] Canappione gliene stanno capitando di tutti i colori coi guelfi e i ghibellini e i bianchi e i neri e così via…

Chi è Canappione? Scusate, io l’Alighieri lo chiamo così, mia madre dice «non t’azzardare che è un grande poeta importante», però c’ha grande e importante pure il naso, via, c’ha un becco che pare una poiana, pare… una caffettiera, anche se non è ancora stata inventata.

[…]

Oh, lo dico a voi in confidenza. Io a quello non lo sopporto.

Mi ha visto la prima volta che c’avevo otto anni, lui nove, mica mi ha detto «si gioca insieme, ti regalo un gelato…», no, c’ha fatto dieci poesie di duemila versi, il piccino.

Ci siamo incontrati solo una volta l’anno scorso, c’avevo diciotto anni, e da allora sparito, di nebbia.

Gli è timido, dicono. E poi tutti a aggiungere «quanto sei fortunata! Quello è un poeta, ti dedicherà il capolavoro della letteratura italiana, ti renderà famosa, è come… come… uno sponsor… sponsor è una parola latina, non inglese. Sai quante vorrebbero esser cantate da lui?».

Va be’, ma io sono una donna, mica una serenata… Mica posso aspettare che abbia finito il capolavoro e mi abbia angelicato e intanto io buona e zitta. A diciannove anni al Medioevo si è già in anticamera da zitelle. […]

Oltretutto, bello non è. Mi passa a venti metri, lo vedo che mi guarda, sospira, si gratta il becco, ma mai che si facesse avanti. O vien più tosto, Dantino mio. E fammi, che ne so, un regalino, un anellino, va be’, non mi puoi invitare al cinema, si va a vedere la piena dell’Arno…

Dicono «sii paziente, gli è un poeta, ti regala i suoi versi».

[…]

Già ne ha scritto uno, di verso, che te lo raccomando:

Tanto gentile e tanto onesta pare.

Certo che il letterato capisce che pare sta per appare.

Ma quelli del borgo San Jacopo, quando passo li senti: «Guarda la Bea, la Beatrice Portinari… sai che c’è? Tanto gentile e tanto onesta… pare».

E giù che ridono. Bel servizio mi ha fatto, la Poiana canappiona.


Oh, sentite questi versi:

Beatrice tutta ne l’etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l’erba

che ’l fé consorto in mar de li altri dèi 1


Oh… io che guardo fissa, le rote di che? Una scema sembro… Nel suo aspetto tal dentro mi fei, mi fei… ti fei cosa? E ’sto Glauco che bruca l’erba, ma chi è? Un caprone?

Te l’immagini uno che torna a casa tutte le sere e ti parla così? «Mi fé, che mi fei, che hai fetto oggi?», «cosa si fé stasera?».

Il tesoro della letteratura - volume 1
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento