PALESTRA di SCRITTURA

  PALESTRA di scrittura

Erminia fra i pastori

Gerusalemme liberata, canto VII, ott. 1-13

Erminia, invano innamorata di Tancredi, scappa dal campo cristiano e si rifugia presso alcuni pastori: lì potrà finalmente riposare dai propri affanni.

1

Intanto Erminia infra l’ombrose piante

d’antica selva dal cavallo è scòrta,

né più governa il fren la man tremante,

e mezza quasi par tra viva e morta.

5      Per tante strade si raggira e tante

il corridor ch’in sua balia la porta,

ch’al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,

ed è soverchio omai ch’altri la segua.


2

Qual dopo lunga e faticosa caccia

10    tornansi mesti ed anelanti i cani

che la fèra perduta abbian di traccia,

nascosa in selva da gli aperti piani,

tal pieni d’ira e di vergogna in faccia

riedono stanchi i cavalier cristiani.

15    Ella pur fugge, e timida e smarrita

non si volge a mirar s’anco è seguita.


3

Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno

errò senza consiglio e senza guida,

non udendo o vedendo altro d’intorno,

20    che le lagrime sue, che le sue strida.

Ma ne l’ora che ’l sol dal carro adorno

scioglie i corsieri e in grembo al mar s’annida,

giunse del bel Giordano a le chiare acque

e scese in riva al fiume, e qui si giacque.


4

25    Cibo non prende già, ché de’ suoi mali

solo si pasce e sol di pianto ha sete;

ma ’l sonno, che de’ miseri mortali

è co ’l suo dolce oblio posa e quiete,

sopì co’ sensi i suoi dolori, e l’ali

30    dispiegò sovra lei placide e chete;

né però cessa Amor con varie forme

la sua pace turbar mentre ella dorme.

5

Non si destò fin che garrir gli augelli

non sentì lieti e salutar gli albori,

35    e mormorar il fiume e gli arboscelli,

e con l’onda scherzar l’aura e co i fiori.

Apre i languidi lumi e guarda quelli

alberghi solitari de’ pastori,

e parle voce udir tra l’acqua e i rami

40    ch’a i sospiri ed al pianto la richiami.


6

Ma son, mentr’ella piange, i suoi lamenti

rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,

che sembra ed è di pastorali accenti

misto e di boscareccie inculte avene.

45    Risorge, e là s’indrizza a passi lenti,

e vede un uom canuto a l’ombre amene

tesser fiscelle a la sua greggia a canto

ed ascoltar di tre fanciulli il canto.


7

Vedendo quivi comparir repente

50    l’insolite arme, sbigottìr costoro;

ma li saluta Erminia e dolcemente

gli affida,e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:

«Seguite», dice «aventurosa gente

al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,

55   ché non portano già guerra quest’armi

a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi».


8

Soggiunse poscia: «O padre, or che d’intorno

d’alto incendio di guerra arde il paese,

come qui state in placido soggiorno

60    senza temer le militari offese?».

«Figlio», ei rispose «d’ogni oltraggio e scorno

la mia famiglia e la mia greggia illese

sempre qui fur, né strepito di Marte

ancor turbò questa remota parte.

9

65    O sia grazia del Ciel che l’umiltade

d’innocente pastor salvi e sublime,

o che, sì come il folgore non cade

in basso pian ma su l’eccelse cime,

così il furor di peregrine spade

70    sol de’ gran re l’altere teste opprime,

né gli avidi soldati a preda alletta

la nostra povertà vile e negletta.


10

Altrui vile e negletta, a me sì cara

che non bramo tesor né regal verga,

75    né cura o voglia ambiziosa o avara

mai nel tranquillo del mio petto alberga.

Spengo la sete mia ne l’acqua chiara,

che non tem’io che di venen s’asperga,

e questa greggia e l’orticel dispensa

80    cibi non compri a la mia parca mensa».


11

Ché poco è il desiderio, e poco è il nostro

bisogno onde la vita si conservi.

Son figli miei questi ch’addito e mostro,

custodi de la mandra, e non ho servi.

85    Cosí me ’n vivo in solitario chiostro,

saltar veggendo i capri snelli e i cervi,

ed i pesci guizzar di questo fiume

e spiegar gli augelletti al ciel le piume.


12

Tempo già fu, quando più l’uom vaneggia

90    ne l’età prima, ch’ebbi altro desio

e disdegnai di pasturar la greggia;

e fuggii dal paese a me natio,

e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia

fra i ministri del re fui posto anch’io,

95    e benché fossi guardian de gli orti

vidi e conobbi pur l’inique corti.


13

Pur lusingato da speranza ardita

soffrii lunga stagion ciò che più spiace;

ma poi ch’insieme con l’età fiorita

100  mancò la speme e la baldanza audace,

piansi i riposi di quest’umil vita

e sospirai la mia perduta pace,

e dissi: “O corte, a Dio”. Cosí, a gli amici

boschi tornando, ho tratto i dí felici».

COMPRENSIONE E ANALISI

1 Suddividi il brano in 4 sequenze e assegna un titolo a ciascuna.


2 Fai la parafrasi delle prime due ottave.


3 A chi si rivolge Erminia al v. 57 con l’espressione O padre? E perché utilizza il vocabolo “padre”?


4 Di che cosa si dice stupita Erminia osservando la condizione dei pastori?


5 Perché i pastori non sono toccati dalla guerra, secondo l’anziano che parla?


6 Che cosa racconta a proposito della corte il vecchio pastore?


7 Il paesaggio bucolico viene descritto in termini idilliaci: rintraccia nel testo gli elementi figurativi che contribuiscono a definire un tipico locus amoenus.


8 Nel passo sono presenti due similitudini: individuale e spiegane il significato.


9 Nel testo sono presenti alcuni esempi di personificazione: trovali e commentane l’effetto.

INTERPRETAZIONE E COMMENTO


Nelle parole del pastore è presente una rievocazione della sua personale esperienza della corte. Il bilancio è positivo o negativo? In ciò si può accostare il punto di vista del pastore a quello di Tasso? Perché la vita di corte viene qui contrapposta a quella campestre? Partendo da questo brano, ma utilizzando le informazioni in tuo possesso dallo studio della vita dell'autore, illustra il tema del rapporto tra Tasso e il mondo cortigiano in un testo di circa 2 facciate di foglio protocollo.

 >> pagina 1046 

Tasso, «pittor con le parole»

La storica della letteratura Lina Bolzoni (n. 1947) illustra in questo articolo i rapporti tra poesia e immagine nell’opera di Tasso.

Come si fa a ottenere a corte il favore del principe e a evitare, nello stesso tempo,
l’invidia dei cortigiani? È a questa difficile questione che cerca di rispondere Torquato
Tasso, in un dialogo scritto tra il 1584 e il 1585, quando ancora è rinchiuso
nella cella di Sant’Anna, accusato di una follia in cui l’umore malinconico si legava 

5      strettamente ai suoi difficili rapporti con la corte estense e si nutriva di una
inquietudine religiosa che l’aveva spinto a autodenunciarsi all’Inquisizione. Al suo
giovane interlocutore lucchese, Lorenzo Malpiglio, che desidera intraprendere la
carriera del cortigiano e ancora coltiva le illusioni della trasparenza e della sincerità
nei confronti del suo signore, Tasso mostra come infelice sia la vita del cortigiano, 

10    come il tempo presente sia dominato dalla finzione, come l’arte del nascondersi
sia fondamentale.

Il cortigiano dovrà dunque costruire di sé una specie di rappresentazione teatrale,
che investe le stesse virtù. Non tutte le virtù, spiega Tasso, si devono mostrare
in misura eguale, «sì come ne le pitture con l’ombre s’accennano alcune parti lontane, 

15    altre sono da’ colori più vivamente espresse», così la fortezza, la magnanimità
«si veggono adombrate e paiono quasi di lontano discoprirsi ma la magnificenza,
la liberalità e quella che si chiama cortesia con proprio nome e la modestia è
dipinta con più fini colori ch’abbia l’artificio del cortigiano». Il paragone con la
pittura interviene a dare un’idea di come il cortigiano debba costruire il proprio 

20    personaggio: egli dovrà mostrarsi e nascondersi mettendo in scena lo stesso gioco
 di ombre e di luci che usa il pittore, creando un effetto di presenza e di lontananza
 che sollecita l’attenzione e la curiosità di chi guarda, dello spettatore del quadro,
come del pubblico della corte.

È questo solo un esempio di come il Tasso fosse affascinato dalla pittura, tanto 

25    che nel suo poema possiamo spesso trovare quasi una gara con gli effetti visivi
delle arti figurative e proprio il gioco delle ombre, il fascino della notte vi hanno
gran parte [...]. Non solo l’indugio descrittivo, il gusto del chiaroscuro, gli scorci
notturni ispirati alla malinconia o all’orrore creano immagini memorabili, ma
l’intera regia del poema, il modo stesso in cui dialoga con i suoi grandi modelli, a 

30    cominciare da Virgilio, ha suggerito a Ezio Raimondi1 un parallelo con Ejzenštein2,
con le sue lezioni di regia, con il suo interesse per il montaggio cinematografico.

A sua volta la Gerusalemme ha un’enorme fortuna visiva, che supera ben presto
quella, pur notevole, che era toccata all’Orlando Furioso. [...] Quello che differenzia
il caso della Gerusalemme è che il poeta è coinvolto in prima persona nell’impresa. 

35    Nel maggio 1584 infatti il suo amico don Angelo Grillo gli manda i disegni di 
Bernardo Castello3; se il Tasso è d’accordo, egli scrive, verranno incisi in rame nella
nuova edizione della Gerusalemme «onde mentre si leggono le parole e gli atti, si
veggia insieme e chi parla e chi opera; e che la penna di Vostra Signoria sia così
spirito del pennello di messer Bernardo come la sua pittura sarà corpo de la vostra 

40    poesia». Tasso acconsente, dedica anche un sonetto al pittore, chiamandolo «muto
poeta di pittor canoro».

Esce così la prima edizione illustrata, quella mantovana del 1584 [...]; certo
con quella genovese del 1590 le cose si complicano. Il Tasso è insoddisfatto e
inquieto. «Mi doglio con esso lei, e di lei, e di tutta Genova - scrive al Grillo - c’abbiano 

45    voluto mandar fuori con tanti ornamenti opera da me non approvata... Fra
tanto, senza pregiudicio, la prego, che mi faccia donare uno di questi miei poemi
così belli, acciò ch’io possa compiacermi de la loro cortesia, se non mi compiaccio
della mia composizione». Quello che è bello agli occhi del poeta è appunto il
libro illustrato, i «tanti ornamenti» di cui si fregia, ma quello che non lo soddisfa, 

50    quello di cui si sente ancora una volta derubato, è il testo del suo poema, che rivede
e corregge continuamente, senza mai portarlo a una forma definitiva. Se, come
scriveva Grillo, i versi dovevano costituire l’anima cui le immagini davano corpo,
quell’anima era ancora indefinita, o almeno angosciosamente fluttuante agli occhi
di chi la creava.


Lina Bolzoni, Il Tasso, pittor con le parole, “La Domenica del Sole”, 9 aprile 2018

COMPRENSIONE E interpretazione

1 Chi è Lorenzo Malpiglio e quali consigli gli offre Tasso?


2 Che cosa significa che il cortigiano dovrà [...] costruire di sé una specie di rappresentazione teatrale (r. 12)?


3 In che senso il cortigiano, secondo Tasso, deve saper dosare abilmente “luci” e “ombre”?


4 Quale rapporto viene individuato da Tasso tra il lavoro del pittore e quello del cortigiano?


5 Da che cosa deriva l’accostamento, avanzato dal critico Ezio Raimondi, tra l’opera di Tasso e il cinema del regista russo Ejzenštein?


6 Con gusto tipicamente concettista, Tasso chiama Bernardo Castello «muto poeta di pittor canoro»: spiega il significato dell’espressione.


7 Perché Tasso rimase insoddisfatto dell’edizione genovese del suo poema?

Riflessioni E COMMENTO

L’attenzione all’aspetto visivo del poema e alla sua cura editoriale testimonia l’importanza, per Tasso, del fatto che il “contenuto” venga rivestito di una “forma” adeguata. Sei d’accordo, in questo, con lui? Quanto ritieni che ancora oggi le forme di un’opera (non solo letteraria: componimento poetico, romanzo, ma anche film, canzone ecc.) contino affinché i suoi messaggi vengano favorevolmente accolti dal pubblico e adeguatamente recepiti? Rispondi in un testo argomentativo di circa 2 pagine di foglio protocollo facendo riferimento all’odierno mondo della comunicazione massmediale.

Il tesoro della letteratura - volume 1
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento