“Tassisti” e “ariostisti”
La fortuna di Tasso è immediata (ancora vivente viene tradotto in latino e nelle maggiori lingue europee), ma da subito accompagnata da polemiche. Il dibattito tra “tassisti” e “ariostisti” – cioè tra i sostenitori dello stile rotto e inquieto di Tasso e i difensori della classicità armonica ed equilibrata dell’Orlando furioso – dura a lungo.
Tasso subisce l’ostracismo dell’Accademia della Crusca, che non lo inserisce tra gli autori selezionati per le prime due edizioni del Vocabolario (1612 e 1623), e non piace a Galileo Galilei, che nelle Considerazioni al Tasso arriva a definire il poema un «ciarpame di parole ammassate». Tuttavia la sua poesia è amata dai poeti barocchi, che vedono in lui un anticipatore di molte caratteristiche tipiche dei loro versi. Inoltre, artisti come Claudio Monteverdi (a cui si deve la nascita del melodramma) ne musicano i versi e pittori quali Tintoretto e Guido Reni rappresentano personaggi ed episodi della Gerusalemme liberata in cicli di affreschi. È però solo a partire dal Settecento che Tasso viene indiscutibilmente incluso nel canone dei massimi poeti italiani assieme a Dante, Petrarca e Ariosto.