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La Chimera di Arezzo

Che cosa sappiamo?

Nel 1553 la scultura fu rinvenuta, insieme ad altri eccezionali bronzi, nel territorio di Arezzo, città di origine etrusca. Il duca Cosimo I de’ Medici la fece portare a Firenze, dove è ancora conservata.

Fra le sculture etrusche in bronzo pervenute, la Chimera è una delle poche di grandi dimensioni. È realizzata con la fusione a cera persa (vedi p. 71), tecnica imparata dai Greci.

Che cosa vediamo?

Secondo il mito greco, Chimera è un mostro con corpo e testa di leone, coda di serpente e un’altra testa di capra sul dorso. È uccisa dall’eroe Bellerofonte in groppa a Pegaso, il cavallo alato.

Leggiamo l’opera

La scultura è quasi a grandezza naturale. La muscolatura della Chimera è in tensione, gli artigli sporgenti, le fauci spalancate, il pelo irto sul dorso e nella criniera. La belva si acquatta e arretra mentre volge il muso verso l’alto, cercando di difendersi da Bellerofonte che la sta colpendo. Infatti la Chimera ha ferite su tutto il corpo e sul collo della testa di capra che ricade all’indietro, ormai moribonda.

Il terrore del mostro è descritto con grande naturalezza, ma le ciocche del pelo e la fisionomia del muso risultano schematici: elementi di influenza greca si uniscono a elementi arcaici, tipicamente etruschi.

Su una zampa anteriore dell’animale è incisa una dedica in caratteri etruschi: “donata al dio Tin”, la divinità etrusca più importante, che corrisponde a Zeus per i Greci e a Giove per i Romani. Questo ci fa pensare che forse era una statua votiva, destinata a stare nell’area di un santuario.

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Quando la Chimera venne rinvenuta, era priva della coda di serpente, che è stata in un secondo momento saldata al corpo dell’animale in maniera errata. Infatti il serpente morde le corna della capra, mentre in origine doveva volgersi altrove: in avanti verso il nemico oppure fra le zampe posteriori, come nella decorazione di questo vaso greco.

Le vie dell'arte - volume B
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