Nell’Ottocento, l’entusiasmo per la scienza e per le nuove scoperte interessò anche l’arte e soprattutto il modo in cui venivano analizzati e studiati i colori.
I contrasti simultanei. Una delle figure più interessanti fu a questo proposito Michel-Eugène Chevreul, un chimico francese: divenuto direttore di un laboratorio di tessuti e tappezzerie, la manifattura dei Gobelins di Parigi, iniziò a interessarsi ai contrasti tra colori diversi proprio per migliorare la produzione della sua azienda, dopo aver ricevuto critiche dai clienti su come il colore nero appariva alla vista se accostato con il blu. In questo modo Chevreul scoprì che ciò che l’occhio umano vede dipende dalla presenza dei colori circostanti.
Accorgendosi infatti che, per esempio, certe tonalità di rosso, se accostate al verde, risultavano più vivaci, mentre se accostate al giallo tendevano a risultare più spente, Chevreul capì che due colori avvicinati l’uno all’altro tendevano a mescolarsi in un modo preciso: il giallo tendeva a colorare di un blu violaceo i colori vicini, il rosso di un verde tendente all’azzurro, il blu di un giallo aranciato.
Osservando e studiando questi fenomeni formulò la legge dei contrasti simultanei: se due colori sono posizionati vicini, l’occhio li percepisce in modo diverso da come sono realmente e da come appaiono se si trovano isolati.
Questa scoperta ebbe notevoli conseguenze nel mondo dell’arte: innanzitutto per gli impressionisti, che amavano studiare sfumature di luce e colore, e poi, in modo più scientifico e accurato, per i puntinisti (vedi p. 408): il modo con cui questi pittori studiavano come accostare i diversi colori puri dipendeva proprio dagli studi di Chevreul.